C’ERA UNA VOLTA BORAT

Amazon Prime. VOTO: 5

Il giornalista kazako torna a invadere l’America con le sue scorribande crudeli e provocatorie, ma l’idea di cinema di Cohen ha perso smalto.

Nel 2006 un personaggio misogino, antisemita e razzista come Borat era funzionale a mostrare il vero volto delle persone. Oggi i razzisti sono fieri di esserlo. Quando è lo stesso presidente a dichiararsi apertamente fascista, tutta la comunicazione cambia, a partire dal basso.”

Con queste dichiarazioni, rilasciate al New York Times, Sacha Baron Cohen spiega e promuove la decisione di tornare a interpretare il suo personaggio più celebre a 15 anni di distanza dal primo film.

Il giornalista immaginario kazako Borat Margaret Sagdiyev, spregevole ma naif, con il suo armamentario di travestimenti grossolani e istigazioni gratuite, sbarca stavolta nell’America Trumpista per togliere la maschera a un tessuto sociale dove predominano i pregiudizi più ignobili.

Borat – Seguito di film cinema” replica la formula del mockumentary demenziale all’insegna del trash con cui Cohen divise critica e pubblico.

Con esiti stavolta più discutibili e una furia anarchica che si è arrugginita con il tempo, venendo a mancare l’effetto sorpresa della prima volta, quando la sua opera fu uno spiazzante oggetto inclassificabile che destabilizzava dall’interno il genere commedia, muovendosi con spudorata libertà fra il piano della realtà e quello della finzione. Spiazzante e divisivo: per alcuni Cohen era da considerarsi un genio, per altri solamente un volgare e astuto provocatore che amava umiliare il prossimo.

Il meccanismo narrativo di questo sequel rimane il medesimo dell’esordio ed è, dunque, nuovamente basato sul ‘qui e ora’, che rivela in presa diretta la costruzione della messa in scena.

Sulla falsariga di quanto avviene nei reality show e nelle candid camera, quindi, e lavorando su una sceneggiatura esile ma funzionale al procedimento che lo vede scegliere il bersaglio, tendergli un agguato e poi inchiodarlo nell’imbarazzo con il disvelamento del loro lato più reazionario.

Una tipologia di satira insolente che nel suo svolgersi si propone di provocare disagio anche nello spettatore a cui vengono a mancare le basi solide della commedia.

Il prolungamento del climax della gag oltre il limite, la rinuncia alla ‘punchline’ e agli automatismi della fiction tradizionale sono scelte stilistiche e narrative anticonvenzionali che mostrano un’idea precisa di cinema. Tuttavia ne emerge un solo livello di lettura: incastrare alla rinfusa le tessere di un puzzle sociale, puntando la macchina da presa e il microfono sull’esibizione di convinzioni tanto dogmatiche quanto abiette.

Ma Cohen appare fuori tempo massimo, perché la cultura yankee che ci mostra non ha niente di diverso da quella che percepiamo da Internet e dai documentari. E’ già scolpita nell’immaginario che ci siamo via via costruiti con l’abbondanza di news in nostro possesso. Fake o non fake.

La sua comicità sembra infatti appartenere a un mondo non globalizzato. Come se tutto il pubblico corrispondesse alla caricatura della popolazione kazaka e non fosse invece stato smaliziato nel corso degli anni dalle intemperie dell’intrattenimento.

La realtà riprodotta non ha più bisogno di un testimone oculare sul campo che ci mostri il fanatismo bifolco, il negazionismo oltranzista, il radicalismo di certe convinzioni religiose, il feticismo per le armi. O meglio, non ne ha bisogno in una versione comica che si riduce, come nel caso di questo secondo Borat, ad essere didascalica e paradossalmente tranquillizzante.

Un cinema, quello di Cohen, che nega il valore della fiction tradizionale ma ci si rifugia nel colpo di coda finale, la zampata vincente che risolleva il film dall’abisso, insieme a un paio di parentesi comunque di alto livello (la sequenza del ballo e il doppio senso sull’aborto). Lo risolleva dal fondo del barile in cui è precipitato con la famigerata sequenza in cui Rudolph Giuliani viene provocato dalla giornalista in una scena ad uso e consumo degli attivisti del #metoo. Ma è un buco nell’acqua. E le teorie di Giuliani sulla diffusione del coronavirus, seppur sconcertanti, rimangono confinate al gioco delle parti della politica.

Il motivo per cui il film del 2006 (sia per i detrattori che per gli adulatori) è di un altro calibro rispetto a questo datato 2020 va forse cercato proprio nella debolezza del personaggio principale. A un mutamento che ha visto Borat trasformarsi da scomodo intruso capace di catapultarsi nella realtà e seminare il caos, a rassicurante icona a cui chiedere un autografo. Se il Re Trump è ormai nudo, il giullare Borat indossa solamente una mascherina.

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L’algoritmo umano consiglia:

JACKASS – IL FILM (Netflix)

Nel 2003  il controverso format televisivo ideato da Spike Jonze diventa una commedia orgogliosamente trash e demenziale. Johnny Knoxville e la sua folle banda di stuntmen si cimentano in imprese pericolose, al limite della barbarie e dell’autolesionismo fine a se stesso. Grande successo negli States di inizio nuovo millennio e primo film di una lunga saga.

 

I SOLITI IDIOTI – IL FILM (Netflix / Infinity)

Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio dedicano un lungometraggio ai personaggi del loro omonimo sketch show. Al centro del film c’è il laido Ruggero De Ceglie, il classico cafone arricchito, che vuole svezzare il timido figlio Gianluca durante un viaggio a Roma. L’obiettivo è fargli sedurre la top model Sorcicova. Le sue massime sulla vita e sulle donne sono diventate per un periodo un tormentone per gli amanti del trash.

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