“AL NUOVO GUSTO DI CILIEGIA”: UNA SERIE IN 8 EPISODI CHE CI SCARAVENTA IN UNA GIUNGLA FITTA DI MISTERI SOPRANNATURALI DOVE SIA LA REALTA’ CHE LA FABBRICA DEI SOGNI DEVONO PIEGARSI ALLE REGOLE DI UN MONDO ULTRATERRENO, DISEGNATO UNENDO I PUNTINI LANCIATI NELLA STORIA DEL CINEMA DA DAVID LYNCH, JOHN CARPENTER E DAVID CRONENBERG.
AL NUOVO GUSTO DI CILIEGIA VOTO: 5
(Netflix)
Hollywood, anni ’90. Lisa Nova, giovane aspirante regista di origine brasiliane, approda nella città del cinema con il sogno di dirigere un film tratto dal suo cortometraggio sperimentale “Lucy’s Eye” con il quale attrae il losco produttore Lou Burke, che in quei pochi minuti di girato intravede la possibilità di rilanciare la sua carriera in declino.
Burke introduce Lisa nell’ambiente che conta, le promette il successo, la massima libertà artistica e il nome stampato sulla locandina, ma l’idillio si interrompe quando Lisa rifiuta le sue avances sessuali. Il produttore ci ripensa e ruba alla ragazza idea e diritti per affidare la regia a qualcun altro. Storia trita e ritrita, se non fosse che Lisa, dopo aver fatto un patto con questo diavolo terreno, viscido e cocainomane ma all’acqua di rose, decide di vendicarsi interpellando Boro, una misteriosa maliarda che vive in una serra circondata da gatti e morti viventi. Basterà un intruglio magico per lanciare la maledizione e Lisa potrà punire il suo ex mentore infliggendogli del vero e proprio male fisico, approfittando di servigi ultraterreni. Magari riuscendo anche a riprendersi il maltolto. Inizia invece un trip lisergico e splatter che spalanca la porta di un regno esoterico con effetti collaterali incontrollabili.
Tratto dal romanzo di Todd Grimson, “Al nuovo gusto di ciliegia” esagera il concetto di Hollywood come luogo di perdizione, andando oltre la sfida fra il mondo reale e il classico mondo corrotto dell’industria cinematografica che abbiamo visto mille volte: quello che dietro lo slogan da marketing di ‘ fabbrica dei sogni’ nasconde un covo di pescecani. Lo esagera piegandolo alle regole arcane di un’altra realtà, un terzo incomodo: un universo occulto che incombe ai bordi del visibile e del tangibile. E che si basa su un sistema di regole molto più potente, capace di attrarre fra le sue spire gli sconfitti e di plasmare la realtà con la stessa propensione all’inganno e alle illusioni della sua controparte oggettiva, quella città simbolica attraversata dal Sunset Boulevard e da Mulholland Drive.
Una volta aperto il varco con la chiave del cerimoniale magico e dato libero accesso all’invasione di questo terzo incomodo, succede che la protagonista incominci a vomitare gattini; spuntano inoltre ragni forestieri il cui veleno letale ha gli stessi effetti del Viagra, oppure diventa normale che i defunti rimangano ancora nei paraggi come zombie e che si nutrano di carne umana. Si assiste inoltre alla penetrazione di un braccio all’interno di una vagina che si è sviluppata sul fianco della ragazza protagonista in una spiazzante e bellissima scena dal potente erotismo cronenberghiano. Forse l’unica sequenza memorabile dell’intera serie.
David Cronenberg è uno dei registi più citati: gli autori hanno voluto omaggiare la sua ossessione per l’alterazione del corpo che svela la sua rappresentazione più estrema quando viene pesantemente deformato nella carne e negli organi esagerando la sua sconfinata possibilità di mutazione.
“Al nuovo gusto di ciliegia” è anche un body horror, dunque. Il mondo occulto e intangibile sfoga il suo potere sui corpi, continuamente modificati stravolgendo la loro struttura, considerata una prigione fisica e mentale: corpi martoriati, straziati, penetrati nelle loro componenti più molli e vulnerabili. Specie gli occhi, con il suo facile rimando metaforico allo sguardo e alla visione. Le incursioni nel gore però sono protette da una patina di ironia che se da un lato riesce a smorzare il delirio citazionista, dall’altro non argina quella sensazione di manierismo di chi ha deciso di raccontare una storia come se fosse un grande revival-contenitore di certo cinema anni 80 e 90.
Ne risente l’impianto drammaturgico non proprio coeso e che procede per accumulo, smarrendo il filo del discorso a furia di aprire botole dell’immaginario da cui rimbalzano brutali allucinazioni.
Tornando alle citazioni, gli altri due nomi forti che arricchiscono di fronzoli questo variopinto luna park sono John Carpenter e David Lynch. Dal primo si saccheggia la visione dell’esistenza di un mondo parallelo e irrazionale che preme ai confini del nostro piccolo mondo antico, dribblando i normali canoni percettivi. Si pensi a “Il signore del male”, in cui però alla chiesa, come approdo dei demoni delle tenebre, si sostituisce l’intera Hollywood, intesa simbolicamente come luogo sacro del cinema che può essere in ogni momento espugnato dalle forze del male.
E poi sicuramente Lynch, specie quello della terza stagione di “Twin Peaks”, ma nel complesso, un po’ tutto il Lynch perturbante, per una sorta di glassa che ricopre l’intero package della serie. Senza mai, però, nemmeno per una scena riuscire ad avvicinarsi a quelle vette surreali e a quei sortilegi disturbanti di cui è capace l’autore di “Strade perdute”, film peraltro palesemente citato in apertura. Né, sicuramente, in “Al nuovo gusto di ciliegia” lo spettatore rischia di perdersi nei meandri della psiche, di una psiche qualsiasi, proprio per questo volontario scorrazzare dentro un parco divertimenti senza mai il brivido di farci finire in uno stato di trance, lasciandoci finalmente lì, impauriti e persi, in mezzo al buio pesto della percezione.
In conclusione, “Al nuovo gusto di ciliegia”, è una serie dall’entertainment fugace e troppo meccanico. Ridondante come il suo titolo, suggestivo più a parole che nei fatti: un prodotto assoggettato a una volontà esasperata di organizzare l’incontro impossibile fra il reale e il metafisico, senza mai metterne a fuoco le sfumature e le conseguenze più aberranti, accontentandosi di affastellare spunti narrativi e stregonerie a casaccio, tenendosi a distanza dall’inconscio e disorientandosi fra simbolismi e citazioni di maestri davvero troppo più grandi e irraggiungibili.