COME IN UNA BUONA RICETTA DI ALTA CUCINA, IL NUOVO PROGRAMMA CON CARLO CRACCO E OSPITI VIP SU AMAZON PRIME MESCOLA DIVERSI INGREDIENTI E DA’ COME RISULTATO UN PIATTO SORPRENDENTE, PER GUSTO, DIGERIBILITA’ E VOGLIA DI PRENDERNE ANCORA

Accettando di non essere lui, per una volta, il più ‘fico del bigoncio’ (come dicono i contadini del centro Italia), lo chef televisivo per eccellenza Carlo Cracco dimostra di essere intelligente e abbastanza carismatico da non temere di rimanere in ombra, e ottiene un punteggio alto per sé e per il programma, anche presso i suoi non-estimatori.

Già, perché con sei personaggi come quelli di cui si circonda in questo nuovo show di Amazon non può essere lui il ‘migliore’: lui è quello bravo a cucinare, ma sono gli altri che fanno lo spettacolo, perché questo è lo specifico di Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto, Diego Abatantuono, Valerio Mastandrea, Sabrina Ferilli, Pierfrancesco Favino. Attori, alcuni attori bravissimi, e talenti comici, personaggi che funzionano al cinema, in tv, a teatro, ed evidentemente anche in un programma un po’ particolare, una specie di ratatouille fatta con ingredienti molto eterogenei e che alla fine risulta migliore di ognuno di essi. Non è un cooking show, Dinner Club, nonostante si cucini e si guardi cucinare. Non è un talent o un game show, anche se Sabrina Ferilli cerca di corrompere Cracco pur di vincere. Non è un travel game alla Pechino Express (o travelog culinario come avevano cercato di spacciarlo), anche se i partecipanti viaggiano uno alla volta insieme a Cracco lungo il Po in barca, in Puglia in camper, nel Cilento in bicicletta, in Sardegna su un’auto d’epoca, in Maremma su un fuoristrada, in Sicilia su una precarissima spiaggina. Non è nessuna di queste cose, anche se è un po’ di tutto questo.

LA PRIMA REGOLA DEL DINNER CLUB, E’ CHE NON CI SONO REGOLE

Quando la voce strascicata e francamente, volutamente fastidiosa di Carlo Cracco che recitava questa citazione dal capolavoro di David Fincher Fight Club è uscita a tradimento perfino dall’altoparlante del supermercato, ho capito che era ora di capire di cosa si parlava. Ne parlavano tutti, di questo programma, e i nomi di richiamo degli ospiti erano un’esca molto succulenta per la curiosità dei potenziali spettatori, tuttavia per chi non sia fan di Masterchef e tutti i suoi infiniti derivati, la presenza di Carlo Cracco che salmodia le regole della trasmissione non era di certo un biglietto di invito altrettanto allettante.
Ma, si sa, questo sporco lavoro qualcuno deve pur farlo, e quindi il vostro algoritmo umano si è accinto, seppur con poca convinzione, a guardare il nuovo programma di Carlo Cracco su Amazon, aspettandosi al più una variante ‘simpatica’ di un Masterchef Vip.
Ebbene l’algoritmo non ha paura di ammettere di essere stato sonoramente smentito, e di essere rimasto avvinto al binge watching dell’intera serie, che si è dimostrata molto divertente, piacevole e soprattutto inaspettatamente avvincente.

 

Non spiegherò come è fatto il programma, per chi non lo ha visto, perché non è facile da spiegare e comunque non è questo che interessa: si sappia solo che in ogni puntata uno dei protagonisti fa un viaggio con Carlo Cracco, e i due finiscono ospiti da gente davvero comune, mangiando e carpendo ricette da riproporre una volta tornati a cena, a Roma, insieme a tutti gli altri. Ma le ricette non sono il focus della trasmissione, e anzi l’abilità culinaria rimane davvero un argomento marginale: basti pensare che Abatantuono, spanne e spanne sopra tutti gli altri per carisma del personaggio e sublime distacco dallo stesso, non fa nemmeno finta di mettersi ai fornelli, lasciando fare a Cracco quello per cui, come tutti sanno, è famoso e stra-pagato.
Il viaggio compiuto dalla coppia improbabile chef-attore spaesato di turno è, diciamo, il lievito del programma, un po’ tipo Linea Verde, ma fatto con mezzi e stile infinitamente superiori. Ben montata, ben – perdonate la supponenza – fotografata, con una colonna sonora vintage perfettamente adeguata al personaggio protagonista dell’episodio, questa tranche dell’episodio è già per sé sorprendente. I ‘testi’ di Cracco e del suo compagno sono scritti con mano leggera, e interpretati come fossero reali, tanto che fanno pensare che, spesso, lo siano stati. La gente comune che viene in contatto coi personaggi fa la gente comune che viene in contatto con Cracco, la seduttiva Ferilli, il gigante di Mediterraneo o la viperetta che vede sempre da Fazio: non fanno finta di niente, anzi commentano, ridacchiano e fanno le loro dichiarazioni, aumentando quel senso di autenticità che invece in tutti i cooking show del mondo è il grande assente, con un risultato per alcuni di noi insopportabile.
E il senso di spontaneità permane nel punto ‘alto’ del programma, cioè la cena dei sei protagonisti più Cracco, in cui si assaggiano le specialità riproposte dopo il viaggio. Ecco: queste sei cene sono la carta vincente di Dinner Club, sono il condimento finale che lo differenzia dagli altri programmi sul genere, e lo rende appunto sui generis.
Uno è a cena con quattro attori e due attrici che hanno fatto della loro simpatia e dell’attrattiva un mestiere di grandissimo successo, cosa si aspetta che succeda? Succede che si diverte un sacco. E infatti Carlo Cracco, dismessi i panni ormai stucchevoli del ‘cattivone snob’ (che con sagacia aveva veramente abbandonato da un po’, lasciando la trasmissione che lo aveva reso famoso), si diverte sganasciandosi dal ridere, mostrando il suo lato non solo umano, ma comune, con una risata fessa e un po’ ridicola che fa dimenticare per un attimo tutta la fascinazione supponente da primo della classe che ha fatto la sua fortuna. Ma non è una critica, è un punto a favore, come si diceva all’inizio. Cracco ha rinunciato all’antipatia fascinosa, probabilmente per fare un passo avanti nella sua ‘carriera’ televisiva, e con intelligenza si è lasciato spogliare della maschera, per indossarne un’altra, diversa e più spendibile.
Perché certamente è vero che i sei personaggi sono divertenti sul serio e le risate di Cracco sono sicuramente reali (non essendo un attore, quelle non potrebbe simularle così bene), ma niente di quello che si vede è spontaneo o tanto meno ‘vero’. Ed è questo il guizzo, il punto di forza, e l’inaspettata qualità di questo apparentemente innocuo programma: i sei personaggi non sono in cerca di autore, perché lo hanno trovato. E’ quello che ha scritto i dialoghi, immaginato le situazioni e pensato i ruoli per ognuno, creando quell’illusione di spontaneità e di naturalezza che sono il fine ultimo dell’intrattenimento leggero. E che dimostrano, senza che sembri un’esibizione di bravura, quanto sono bravi questi sei attori italiani: un cast eccezionale, che recita attorno a un tavolo il suo ruolo più difficile da rappresentare, quello di sé stesso.

 

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