SEGNALIAMO SU AMAZON IL CRIME ISPIRATO AI GIALLI DI ALESSANDRO ROBECCHI, PROTAGONISTI FABRIZIO BENTIVOGLIO, INVESTIGATORE PER CASO, E UNA SPLENDIDA MILANO: UNA SERIE DA 7 PIENO

 

CRIME, DI NUOVO TU? MA NON DOVEVAMO VEDERCI PIU’?

Ci si potrebbe chiedere: serviva davvero un altro crime regionale italiano, nato dal successo di un ciclo di romanzi, interpretato da un attore outsider per un ruolo di genere? Solo che la domanda, così, è mal posta. Non è che a un appassionato di calcio si possa chiedere ‘ma serve davvero ogni domenica un altro incontro tra la solita squadra del cuore nel solito campionato?’, perché l’appassionato ti dirà che non è questione di servire, ma di godere, e soprattutto non è mai la SOLITA partita.
Quindi possiamo dire che i numerosissimi appassionati di crime accettano a priori e di buon grado la novità di un inedito esemplare del loro genere televisivo preferito: ora quindi vediamo com’è riuscito questo tentativo, perché la pena di guardarlo vale sempre.

Tanto più che, come dice l’autore di Monterossi, Alessandro Robecchi, citando Petros Makaris, il giallo è il nuovo romanzo sociale. Quindi, e giallo sia, senza nemmeno il complesso che si ha quando si consumano prodotti ‘di genere’, dicendoci che nel caso delle indagini di Monterossi andremo a fare un tuffo nei meandri più oscuri e meno conosciuti della società, cogliendola nelle sue situazioni più estreme e dunque più significative. E non istituzionali. Infatti Carlo Monterossi, il protagonista dei romanzi e della serie, non è un investigatore né un poliziotto: è un uomo comune, che per caso si trova ad indagare e guarda caso riesce a farlo meglio di chi lo fa per mestiere. La serie dunque non è un poliziesco in senso stretto, alla Montalbano o alla Rocco Schiavone, ma appartiene più al filone dell’investigatore per caso che ha il suo padre, anzi, la sua madre nobile nella sempreverde Signora in Giallo (scusate il gioco di parole cromatico), a sua volta debitrice della letteraria Miss Marple, sempre in odor di menagramo perché dove compare le c’è sempre un cadavere nei paraggi.

Carlo Monterossi appunto è un uomo comune, anche se comune di fascia decisamente alta. Sceneggiatore televisivo ricco e famoso (come lo stesso autore Robecchi, che nega ogni autobiografismo con un sorriso sornione), quest’uomo maturo deve la sua fortuna a un talk show sentimental-gossipparo che si chiama Crazy Love, che ha un successo straordinario ma di cui lui si vergogna tremendamente, perché il format ràvana nel torbido delle pulsioni peggiori dello spettatore medio (di fascia bassa stavolta) e entra in conflitto con le idee e ideali pedagogici che animano il suo creatore. Inseguito dalla sua agente (Maria Pajato, impagabile nel ruolo di un’avida senza cuore dotata di un’eleganza senza tempo) e dalla star della trasmissione (Carla Signoris che fa senza dichiararlo il verso a Barbara D’Urso), Monterossi cerca di fuggire dal vincolo di quel programma che ormai odia, ma alcuni casi lo porteranno invece ad essere di nuovo uno dei suoi autori. Quali casi? Casi criminali. Monterossi infatti, nei sei episodi che seguono due trame, si trova veramente per caso al centro di un tentativo di omicidio e di una sostanziosa manciata di delitti e crimini veri. E quindi per il caso cinico e baro, lui, pacato e riflessivo scrittore in crisi morale, si trova a fare il piedipiatti nella sua città, ‘usando’ come segugi due suoi collaboratori della tv, in una perfetta imitazione di una squadra investigativa di ultima generazione con tanto di tecnologia avanzatissima. Anche perché della Polizia si fida pochino, Monterossi, dato che capisce subito, dagli interrogatori che gli fanno mentre è in veste di vittima, che gli investigatori ufficiali sanno dove sbattere la testa. Nonostante diventi amico del sovrintendente Ghezzi, simpatico e bonario ma tosto nel suo lavoro, Monterossi capisce che serve la sua propria creatività, la sua predisposizione per il dramma e la sua fantasia di scrittore per sbrogliare la matassa complicata di vendette, mandanti, omicidi, faide tra zingari e corruzione al dettaglio che formano la trama che gli si sta stringendo attorno.

Le indagini sono forse al limite del complicato, e la trama crime non facilissima da seguire (si consiglia la visione degli episodi in streaming tutti a stretto giro), ma i personaggi della serie sono talmente ben scritti, talmente vividi da reggere anche da soli tutti gli episodi, facendo sperare nella comparsa di altri a breve.
Consigliamo quindi Monterossi?
Sicuramente, se si è appassionati di crime, e sicuramente anche se non lo si è: soprattutto per un motivo

MONTEROSSI E BENTIVOGLIO

Il personaggio di Monterossi è un uomo malinconico, con gli occhi tristi e l’aria sempre un po’ spaesata, disincantato sulla realtà e la società ma nonostante questo ancora idealista e determinato a non commettere mai ingiustizie, innamorato di una donna che non lo vuole più e non disposto ad accontentarsi di storie insignificanti, fondamentalmente pensoso ma con un guizzo di ironia e autoironia che gli impedisce di risultare noioso. Appassionato di Bob Dylan, di buon whisky e di citazioni cinematografiche, è irresistibile e stropicciato, e non si prende troppo sul serio pur essendo serissimo.
E Fabrizio Bentivoglio è perfetto per questo ruolo. Ogni ruga, ogni sguardo in tralice che la dice più lunga di mille discorsi, ogni gesto stanco, raccontano la storia di una vita che non sta esattamente andando come avrebbe dovuto e di una consapevolezza che non lascia scampo. Bentivoglio è eccezionale: non interpreta un personaggio malinconico, in certi passaggi E’ la malinconia.
Estimatori della prima ora dell’attore, siamo convinti che la sua semplice presenza rilasci classe in ogni cosa che fa.
Ecco, non sappiamo precisamente come sia il personaggio di Monterossi sulla carta (non avendo letto i romanzi), ma la cifra del Monterossi televisivo è proprio questa: la classe. Sobrio, rappresentante di quel sentimento sottostimato che è la nostalgia di qualcosa di indefinito, ironico ma non sarcastico, elegante e colto, verrebbe da dire –in linea con il tono della messa in scena- crepuscolare. Irresistibilmente pacato nel turbinio delle cose che accadono e –sopra ogni cosa – nella volgarità dell’ambiente televisivo in cui lavora.

NELL’INSIEME

Che la critica a certa televisione che corre a incontrare i gusti del pubblico sempre più in basso sia fatta da uno sceneggiatore che ne conosce i meccanismi, dà la misura della sua importanza: Alessandro Robecchi è autore di diverse trasmissioni e molti comici, tra cui l’impagabile Crozza. La sua satira sull’ambiente dunque, o sulla parte deteriore dell’ambiente, sa bene dove graffiare e non manca il colpo. Insieme a questa vena critica che percorre la trama, a dare personalità alla serie c’è una Milano non banale, bellissima dal centro alle periferie abitate dagli zingari (che vengono fuori meglio di molti milanesi da bere) e che fa da sfondo altero e indifferente alle vicende di Carlo Monterossi e dei numerosi personaggi che si affacciano nella trama. Un altro ‘più’ da mettere vicino al voto sono i dialoghi: veramente e finalmente realistici, un po’ smozzicati come quelli veri che tutti abbiamo in macchina o al bar, rendono l’insieme una riuscita, anche se bizzarra, mistura di realismo ed eleganza, di naturalezza e snobismo intellettuale.
Come il suo protagonista quindi, un ottimo interprete che sotto pelle rimane sempre sé stesso, questa serie ha una sua riconoscibilità, un’unicità fatta di buongusto e misura, che sono ben lungi dal renderlo ‘il solito’ crime all’italiana.
Il giudizio complessivo sintetico è: serie da 7, da dividersi in sufficienza piena a sceneggiatura personaggi trama scenografia fotografia e amenità elencando, e un plusvalore dato dall’interpretazione di Fabrizio Bentivoglio, che si salda al personaggio in un abbraccio fatale che lascia il segno.

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