SU  NETFLIX LA SECONDA STAGIONE DI “BRIDGERTON”, LA SERIE FIRMATA SHONDA RHIMES E AMBIENTATA NELLA LONDRA DEGLI ANNI ’10 DELL’OTTOCENTO, CONSIGLIATA ESCLUSIVAMENTE A CHI IMPAZZISCE PER LE MISE STILE REGENCY E LE SVOLTE NARRATIVE ULTRA PREVEDIBILI

NO E POI NO: DUE MOTIVI DI DELUSIONE

Poco sesso, siamo Inglesi
Nella seconda stagione la serie prodotta e ideata da Shonda Rhimes, e ambientata in un Ottocento inglese ricostruito in modo volutamente impreciso, invece di alzare la posta fa un passo indietro. Rimangono validi i caratteristici anacronismi e le forzature storiche (la regina e tanti cortigiani di colore, le giovani nobili che scorrazzano libere per la città, la scelta della sovrana di una super-nubile da maritare a piacimento, i titoli nobiliari dati a casaccio e non corrispondenti a proprietà di terre, la musica dei nostri anni suonata con violini e arpe…) ma diminuisce parecchio il tasso di sensualità a tinte osè, e ci si domanda come mai, dato che era proprio questa ultima cosa che il pubblico aveva apprezzato maggiormente nella prima stagione.

Da ‘L’amante di Lady Chatterley’ ai romanzi Harmony, cioè dalla passione più scollacciata al romanticismo più glicemico, il percorso di Bridgerton ci rimane incomprensibile, e gli ‘spettatori femmine’ (il target di elezione sono le donne tra i 20 e i 120: tocca dirlo anche se fa tanto discriminazione di genere) già delusi dalla defezione dell’ultra figo protagonista della prima stagione (Regé-Jean Page), hanno protestato in modo vibrante: aridatece il Duca, aridatece il sesso.

Invece no. I protagonisti dell’edizione d’esordio (successo internazionale, di visione, social e interazioni) sono uno sparito dalla circolazione, e l’altra (Daphne, Phoebe Dynevor impegnata in altro) relegata a fare la mamma del duchetto nel castello di famiglia, comparendo solo come grillo parlante inascoltato del fratello maggiore, il visconte Anthony Bridgerton, vero protagonista di questa edizione. Il maggiore dei Bridgerton, che come da saga letteraria di Julia Quinn avranno ognuno un capitolo espressamente dedicato, ha deciso di mettere la testa a posto.

Da libertino impenitente affezionato alle cortigiane a pagamento, senza soluzione di continuità diventa un uomo oppresso dal peso della responsabilità verso la famiglia, e decide di trovare moglie per essere un capofamiglia migliore (più credibile?). Sceglie come futura viscontessa Bridgerton il ‘diamante’ della stagione, ovvero la Lady che la Regina ha scelto come più bella e – quindi – sposabile di quell’anno.

Lady Edwina Sharma è perfetta sotto tutti i punti di vista, come Mary Poppins, ma ha un problema. L’algida, severa, fascinosissima sorella maggiore che veglia sulla sua virtù e sulle sue scelte sentimental maritali. Esotica (indiana) e cazzutissima, naturalmente Lady Kate Sharma detesta il frivolo Anthony, e altrettanto naturalmente lui impazzisce di attrazione e anche amore per lei. Stesso identico schema della prima stagione, in cui l’attrazione tra Daphne e l’apollineo Duca che viene ostacolata da pretesti narrativi sempre più assurdi, sempre più fragili.

La procrastinazione della soddisfazione
Anthony e Kate si piacciono da impazzire, ma il Visconte ha già scelto la sorella minore, che è quella da maritare, e quindi i due vivono il più classico degli amori impossibili.

Occhi negli occhi, mani sfiorate, lunghissimi minuti di sospiramenti faccia a faccia, tremori e sudori a sfare: il desiderio dei due è palese ma continuamente, sfibrantemente rimandato di scena in scena, di puntata in puntata.

L’inevitabile caduta nel letto arriva al penultimo episodio, ed è presumibilmente ormai troppo tardi. Lo spettatore o si è addormentato, o ha smesso di guardare. Onestamente, mettendosi nei panni del target per cui è stata pensata questa serie, seguire otto lunghe puntate per vedere un’unica, manco tanto passionale, scena di passione, sono un po’ troppe.

I libri Harmony con le loro storie di virtù e riscatto e amore che trionfa non vanno più di moda, e oggi la legge del desiderio è invertita: se non è soddisfatto entro cinque minuti, il desiderio non aumenta, si sposta su altro. Dura legge del mio cuore, diceva Venditti, che raramente si innamora.

DUE MA PERCHE’?

Data la decisa scelta fatta nella direzione dell’intrattenimento più zuccheroso, e della ricostruzione storica meno credibile del mondo, perché gli sceneggiatori insistono nel seminare nella trama argomenti ‘impegnati’ e femministi?

A che serve rimarcare che la fanciulla scelta come ‘diamante’ non sia solo bella e capace a ballare, ma che abbia interesse nella cultura? A che serve che la sorella maggiore sia insofferente alle regole, spari come un maschiaccio e abbia scelto di rimanere nubile (salvo cadere tra le braccia nerborute di un Visconte che poi le proporrà di certo il più classico matrimonio riparatore)?

A che serve tutta la sottotrama della sorella Bridgerton ribelle Eloise (una copia vagamente coatta della stupendissima Jo March di Louisa May Alcott) che si avvicina per poi non farne niente a posizioni politiche sovversive?

Ma  soprattutto, se l’unica cosa che viene risolta e a cui si dà veramente importanza nella serie è il concupimento finale della statuaria sorella maggiore Sharma da parte dell’allocchito Anthony, a che serve la trama che riguarda Lady Whistledown, la cui identità misteriosa lo spettatore ha scoperto nell’ultimo episodio della serie precedente?

Lady Whistledown è l’anonima autrice di un foglio di pettegolezzo letto in tutta Londra, che mette alla berlina alcuni personaggi e ne esalta altri, con un’intelligenza sarcastica che sottotraccia condanna l’edonismo e il valore portante dell’estetica e della forma senza sostanza che permea la società nobiliare inglese. Se non avete ancora visto la prima stagione smettete ora di leggere: nell’ultimo episodio della stagione uno scopriamo che Lady Whistledown, del cui giudizio si preoccupa anche nientemeno che la sovrana in persona e parrucca, altri non è se non la piccola, goffa, deliziosamente ingenua figlia minore dei Featherington, Penelope, che tutti (a parte la sua migliore amica Eloise Bridgerton) giudicano solo una piacevole ‘tappezzeria fiorata’.

Svolta intelligentissima, questa di dare un volto così inaspettato al personaggio principale, anche se scorrettissima da parte degl sceneggiatori, dato che la voce fuori campo che illustra i suoi pensieri fuorvia gravemente lo spettatore, essendo la voce di un’anziana signora (in originale Julie Andrews, la ‘vera’ Mary Poppins).

Nella seconda stagione quindi viene meno il ‘grip’ della curiosità su chi sia la pennivendola dall’acuminato ingegno, e per compensare si dà molto spazio a Penelope e la sua doppia vita, condotta tra ricevimenti in cui fa da tappezzeria e lunghe sessioni di scrittura con le quali influenza la vita sociale della capitale del Regno.

Spiace dirlo, perché la parte di Lady Whistledown è davvero la più originale della serie, ma la compensazione non avviene. La vicenda è sfilacciata, gli interventi di Pen sono sempre meno credibili, il fatto che non venga scoperta da nessuno (fino alla solita ultima puntata, naturalmente) inverosimile, e nell’insieme il personaggio perde quello scintillìo trasgressivo e geniale che aveva nella prima stagione.

Un’ambivalenza segna il personaggio ora compiutamente doppio: Lady W influenza col suo giudizio l’intera corte d’Inghilterra, ma la piccola Pen è un’emarginata e una vittima che dipende sempre dal giudizio altrui. I suoi strali appaiono ora rancorosi, perdendo quindi la cristallina equanimità che li aveva resi contrappunto ideale nella storia della stagione 1.

UN TUTTAVIA
Tuttavia Shonda Rhimes la sa lunga, è essa stessa una specie di Lady Whistledown dei giorni nostri,
intelligente, con una punta di livore vendicativo e soprattutto capace sempre di catturare l’attenzione.

Come nel più famoso dei suoi prodotti, il medical Grey’s Anatomy, la sceneggiatrice/produttrice/imperatrice televisiva non cerca critiche favorevoli, premi eccezionali, attestati di stima intellettuale. Shonda vuole avvincere, conquistare, farsi amare, far tornare lo spettatore in luoghi che ha reso familiari.

L’amore che vince sopra ogni cosa, i personaggi che coi loro tormentoni ti diventano abituali come il cugino strano o lo zio complottista, i costumi ottocenteschi di bellezza incomparabile (si resta stupiti a sapere quanti siti e account social siano dedicati agli abiti delle serie tv in costume: siamo una generazione orfana di balli delle debuttanti, la conquista dell’informalità ha lasciato in noi un vuoto incolmabile), i dialoghi friccicarelli e ironici, le sentenze sull’amore seminate a piene mani, un cliffangher gigantesco per la prossima stagione (Lady Wisthledown verrà alfine smascherata pubblicamente?): gli ingredienti per l’incantesimo ci sono tutti, e anche chi fa lo spiritoso critico come la scrivente è già in attesa della stagione 3, che vedrà protagonista uno degli altri fratelli Bridgerton, sperando sia il proprio preferito.

Quindi che dire? Lady Shonda ha colpito ancora, e sicuramente non è il suo ultimo colpo in canna.

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