Ma com’è che La Regina degli scacchi piace a tutti?
LA REGINA DEGLI SCACCHI – NETFLIX – VOTO 8
La Regina degli scacchi rischia di ‘scippare’ la corona Netlfix alla vera/finta sovrana Elisabetta di The Crown: la miniserie di Scott Frank ispirata al romanzo di Walter Travis è la serie più ricercata sulla piattaforma, e si vedrà come se la cava ora che è arrivata la corazzata della quarta stagione della seguitissima serie sui reali inglesi.
Una specie di inaspettato fenomeno, un po’ come un paio di mesi fa fu Emily in Paris, ma con la differenza che The Queen’s Gambit (il titolo originale si riferisce a una mossa degli scacchi, il gambetto di donna) ha solo critiche favorevoli e lodi da parte di utenti e critici. Per dire, su Twitter un tale di nome Stephen King, alla domanda su quale fosse una serie tv VERAMENTE buona ha risposto, tutto maiuscolo “LA REGINA DI SCACCHI”.
Già, i social. Sui social, primo e poco sindacabile banco di prova per le serie tv della piattaforme di streaming, sono davvero ‘Tutti pazzi per la regina’, e i tantissimi commenti esprimono sempre un’ammirazione che sconfina nell’entusiasmo, e a volte anche il rammarico che la visione delle sette puntate si sia troppo rapidamente conclusa. Una serie che, con metafora libresca, si divora.
Eppure leggendo solo la trama, non sembra un prodotto per tutti: ambientata nell’America della metà degli anni ’50, segue la vicenda di una bambina rimasta orfana che, scoprendo per caso il gioco degli scacchi, ne diventa in brevissimo tempo un’appassionata, un prodigio e poi una campionessa conosciuta in tutto il mondo, sfidando un ambiente quasi esclusivamente maschile.
Gli scacchi sono un gioco antico e conosciutissimo, ma non precisamente un argomento pop, o mainstream che dir si voglia. E allora come mai una miniserie in costume su un gioco che sanno fare bene veramente in pochissimi attira così tante persone?
Ecco, la tentazione di dire ‘guardate la prima puntata e lo saprete’ è molto forte, ma se guardate la prima puntata scoprirete che la recensione di questa serie è del tutto superflua, quindi non lo dirò, e mi cimenterò nello spiegare l’ineffabile.
Sin dal primo fotogramma le immagini catturano l’attenzione dello spettatore, che finisce preda di un incantamento inspiegabile che lo tiene avvinghiato alla storia e lo spinge a consumarla il più presto possibile (salvo appunto rammaricarsi di averla già finita): La Regina degli scacchi sembra pensata apposta per il binge watching, quella pratica modernissima che è consentita dal moltiplicarsi delle piattaforme on demand, e che consiste nel guardare una serie tv di 8, 10 anche 12 ore tutta di seguito, o in folle seduta unica, o in brevi maratone continuative da due o tre puntate a sera. Insomma una droga, che però esclude i tempi di attesa della dose successiva, in una specie di frenesia non tossica che fortunatamente non manda in overdose.
Il merito del successo è del carisma della protagonista.
Vero, verissimo, sacrosanto. Anya Taylor-Joy, modella e attrice ventiquattrenne di origini anglo-spagno-argentino-scozzesi, non solo ha un volto che aggancia la telecamera e la calamita su di sé grazie soprattutto a degli occhi grandi in modo inconcepibile, ma ha anche una capacità di interpretazione straordinaria, che fa del ‘levare’ una formula quasi magica, garantendo il massimo dell’intensità con il minimo della mobilità, di modo che ogni espressione del suo strano volto finisce per fissarsi nella retina e nella memoria di chi guarda. Tuttavia non è tutto o solo per lei che la storia ti incatena allo schermo, se è vero, come è vero, che il primo episodio è incentrato sulla Beth Harmon bambina: la piccola protagonista è interpretata ovviamente da un’altra attrice, una bambina, straordinariamente brava anche lei, e anche lei magnetica al punto da catturare l’attenzione praticamente senza pronunciare più di due battute in ogni scena. Non solo interpreti, dunque.
Allora parliamo dell’eccezionale bellezza della messa in scena.
L’ambientazione e le scenografie, ma soprattutto l’atmosfera di un periodo, gli anni ’50 e poi ’60, sono rese con fedeltà al documento storico ma non con realismo, piuttosto con un intento calligrafico che rende ogni dettaglio ammaliante e che permette al critico che è in ogni spettatore di poter dire ‘che costumi, che fotografia, che mood eccezionali’. E non si può negare che fa parte del fascino di questo piccolo gioiello la resa nitida e cinematografica di un’ atmosfera che restituisce non tanto il passato quanto un tempo senza tempo, che ricorda certi eleganti futuri da film, come quello sottilmente inquietante di Gattaca.
Gli scacchi come metafora della vita.
In una storia di successo sportivo, è inevitabile che la trama rifletta in qualche modo simbolico una gara di quello sport, o gioco intellettuale, come in questo caso. E in effetti quello che succede a Beth negli anni che vanno dall’infanzia ai primi venti ricorda una partita a scacchi: le prime mosse indecise, poi la comprensione dell’insieme della partita, il sacrificio dei pedoni (diversi personaggi che entrano e escono dalla sua vita), l’aiuto della torre (le ‘due madri’ di una ragazza orfana), le mosse dell’alfiere (irraggiungibile quello che vorrebbe, a disposizione quelli che non le piacciono), il temporaneo stallo (dovuto all’aggravarsi delle sue dipendenze da pillole e alcol), la ripresa della regina che, tra mille difficoltà e ragionamenti, alla fine uccide il re per prevalere e affermare la sua vittoria, in una simbologia che lascia in piena luce un femminismo tanto necessario da non dover essere ribadito ma solo, appunto, rappresentato.
Ma forse la verità è una sola e come al solito è semplice: quello che piace vedere, ascoltare, leggere, conoscere, è una bella storia.
E La Regina degli scacchi è una bella storia. E’ la storia di un riscatto, la vicenda di una persona che nella vita parte svantaggiata e che, grazie alle sue capacità incredibili in un settore e nonostante i suoi limiti in tanti altri, riesce ad arrivare in cima, a cosa? In cima alla scala sociale, al successo nella vita, ma soprattutto riesce dove ognuno di noi si augura davvero di riuscire, cioè nel vivere facendo qualcosa che si ama, e facendolo al meglio. Una storia molto classica, molto americana, ma raccontata senza retorica e senza grandi discorsi, senza nemmeno frasi memorabili da citare nei meme. Una storia, nella sua essenza, concentrata sulla protagonista, attorno alla quale i comprimari si muovono come in una coreografia vintage ma dal sapore post-moderno, e su un mondo, quello degli scacchi, che da millenni mantiene vivo il suo fascino misterioso e quasi atavico.
Tra le rarissime critiche che vengono mosse a questa serie per il resto così benevolmente accolta, c’è quella di ‘essere prevedibile’. In effetti, anche non volendo lasciarsi tentatre dagli spoiler, quando si parla di ‘riscatto’ sembra abbastanza ragionevole aspettarsi che la storia della protagonista andrà a finire bene. E tuttavia definire la trama prevedibile è, se non un errore, sicuramente una banalità: è come dire che una partita a scacchi è prevedibile, perché alla fine il re diventa matto e muore. Eppure non è la meta, che conta, ma come ci si arriva, come in tutte le cose. E questo vale nella vita come in una bella storia. Anzi, in una storia di più, perché il ‘come’, almeno qui, si può decidere.
Se ti piace l’attrice con gli occhi da cartone anime, l’Algoritmo umano consiglia:
The Witch (TIM Vision e Google Play)
Nel 2016, a 20 anni, Anya Taylor-Joy, attualmente La Regina degli scacchi, è protagonista di un horror atipico di grande successo pubblico e critica, The Witch. Nella storia di una famiglia che, nel New England del 1600, viene espulsa dalla comunità e sceglie di vivere isolata in un bosco per ritrovare il contatto con Dio, Anya interpreta la figlia maggiore, inquieta e inquietante nella sua crescente paura di essere una strega e di essere la causa dei continui drammi che capitano e che non hanno altra spiegazione che quella sovrannaturale. In un cupo e bellissimo film d’atmosfera, oppressivo e debitamente spaventoso, Anya Taylor-Joy è emersa per maturità di interpretazione e aderenza ad un personaggio che riesce ad esprimere allo stesso tempo la fragilità, il desiderio di ribellione e un’insana tendenza ad arrendersi alla perversione (dando però la colpa al demonio).