UMORISMO NERO, RIFLESSIONE SUL DIPARTIRE, UN PO’ DI SCARAMANZIA: NELLE SERIE TV SPIRITI, ANGELI E MORTI ARZILLI HANNO LA LORO FETTA DI ASCOLTI, E NOI SUGGERIAMO DUE TITOLI NETFLIX PER DUE MODI DI RACCONTARE LA VITA (ODDIO…VITA…) DEI TRAPASSATI

 

The Good Place: morir dal ridere

Buone notizie: l’Aldilà esiste, le religioni hanno più o meno individuato come funziona la location, che effettivamente si divide in ‘posto buono’ e ‘l’altro posto’, e questa è la notizia meno buona. Eleanor, una bionda dall’aspetto angelico (e le fattezze di Kristen Bell) scopre con sconcerto di essere morta in un incidente, ma con sollievo di essere finita nel ‘good place’, un posto che più che al Paradiso somiglia a un quartiere residenziale di Los Angeles, inteso come complimento. Eleanor è lì perché lei, come tutti, è stata giudicata in vita per le azioni compiute, secondo un rigidissimo computo realizzato da un algoritmo spirituale, ed essendo stata eccezionalmente buona, ecco che si ritrova nel posto più bello e comodo di tutte le dimensioni, con anche un’anima gemella accuratamente selezionata con cui condividere questa paradisiaca non-vita. Già questa situazione, riportata ad Eleanor e agli spettatori con incrollabile entusiasmo dal ‘gestore’ del quartiere para-paradisiaco post-mortem (un incredibilmente vivace Ted Danson, lui sì forse davvero immortale), introduce al tono generale di questa serie del 2016: una comicità surreale e scanzonata. Ma il bello deve ancora venire. Quello che il gestore Michael non sa, e che lo spettatore scopre ben presto, è che lui, alla sua prima prova autonoma come architetto di un quartiere, ha fatto almeno un grosso errore. Eleanor si chiama effettivamente Eleanor, ma non è la missionaria/scienziata/filantropa che avrebbe meritato l’altissimo punteggio e quindi il para-paradiso: anzi in vita è stata una amorale, scroccona, razzista, cinica e opportunista piccola mortale, e il fatto che non si trovi nel ‘posto cattivo’ è decisamente una botta di fortuna a cui non ha intenzione di rinunciare. E qui la serie trova la sua vera cifra: Eleanor cerca di diventare eticamente migliore, ma la sua indole è quella che è, quindi tende a riproporre nell’Eden immobiliarista di Michael le porcate che la caratterizzavano in vita. Inoltre, lentamente scopriamo che non è mica la sola ad aver sbagliato post.

Insomma in breve il bellissimo angolo di Nirvana si scopre popolato di bastardi, imbroglioni e falsari, che iniziano a distruggere l’aspetto e il contenuto di quell’ambiente che doveva regalare loro l’eterna felicità.

Cinico, grottesco, politicamente scorretto, ferocemente allegro: ecco il vero tono di una serie che sceglie di prendersi gioco delle speranze dei credenti, fingendo invece di aderirci completamente. Apprezzata in patria e con un buon successo su Netflix, la consigliamo solo a chi all’idea della morte fa volentieri una pernacchia scaramantica.

 

Tredici – 13 Reasons Why: le colpe dei vivi

Serie evento, come si dice, del 2017, è la versione pensosa e declinata al sociologico della serie tv con protagonista una defunta. O meglio, i protagonisti sono un gruppo di ragazzi, vivi come solo i diciassettenni sanno essere, ai quali sono indirizzate tredici (appunto) audiocassette realizzate da Hannah, una di loro, per spiegare a tutti (e colpevolizzare ognuno) il perché si sia suicidata. La voce di Hannah guida Clay, il suo migliore amico e innamorato di lei sia da viva che da morta, in un percorso a ritroso all’origine di un dolore di vivere che ha portato alla negazione stessa della vita. Hanna ovviamente si rivede nei flashback del passato, che ricostruiscono un’esperienza fatta di ingenuità, bullismo, indifferenza, amore, desiderio, errori e clamorose coincidenze esistenziali.

Un thriller, a tratti, un trattato di sociologia e pedagogia per genitori assenti, nella seconda stagione un crime processuale: la serie è avvincente nel senso letterale del termine, ha avuto grandissimo meritato successo per come racconta il passaggio cruciale dall’adolescenza alla maturità, in questo secolo diventato una sorta di esperienza estrema, pericolosissima e ad alto rischio di fallimento.

Durissimo per chi abbia figli dell’età dei protagonisti, forse faticoso anche per i giovani che possono rispecchiarsi nella difficile realtà descritta, il  telefilm è caratterizzato dall’incombente presenza della morte, da subito protagonista indiscussa dei fatti e della trama. Consigliato a chi non si sgomenta di viaggi nel precipizio del dolore, che qui si mostra come perfettamente nitido già nei agli esordi delle esperienze di vita degli uomini.

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