Il festival di Sanremo rappresenta oggi, più che la musica italiana, la televisione italiana. E’ un fatto. Lo chiamiamo amichevolmente Sanremo, come quando dai del tu al signore dell’alimentari sotto casa di cui non sai il nome di battesimo: lo chiami Alimentari.
Ecco Sanremo è come l’alimentari sotto casa. Ci vai solo quando proprio hai bisogno, pensi sia troppo caro e che abbia un’offerta troppo limitata, ma ci sei affezionato e sotto sotto pensi che sia migliore di quelli sotto le case degli altri.
Ieri la redazione di Guidatv.it si è accinta a guardare la prima serata del Festival, una 71esima edizione fortemente voluta e altamente limitata dalle restrizioni dovute alla pandemia.
La visione congiunta (a distanza s’intende) dà coraggio di affrontare una serata che si sa lunghissima, probabilmente noiosa, prevedibilmente imprevedibile.
Avevamo deciso di giocare a redattore buono e redattore cattivo, uno che segnasse i punti a favore e uno quelli contro: ma Sanremo spariglia tutto e, alla fine, molto più che l’alimentari sotto casa, riesce a stupire e a conquistare.
Di seguito qualche cenno misto, tra pollici su e pollici giù, ma niente di definitivo.
L’Ariston vuoto:
l’assenza del pubblico è un elemento straniante, soprattutto durante le presentazioni e i siparietti del duo di conduttori, l’immarcescibile Amadeus e Fiorello che fa Fiorello siciliano. Ma quando arriva la gente che sa cantare ed esibirsi, il pubblico non manca, anche perché ricordiamo tutti che il pubblico del Festival è il meno partecipativo del mondo, e le cariatidi che applaudono a comando si sostituiscono facilmente con uno scroscio di battimani preregistrato.
La conduzione:
Amadeus si cambia d’abito come una diva della Metro Goldwin Mayer degli anni 40, e i suoi intermezzi con Fiorello sono sempre gli stessi: Fiorello dice cose moderatamente spiritose e Amadeus ride come un pazzo, sulla fiducia. Troppo lunghi questi momenti, se alle 23.30 si erano esibiti solo 6 artisti e Fiorello ha fatto un pezzo lunghissimo sui nomi delle dita dei piedi, mentre i social esplodevano di prese in giro: la cosa grave è che la quota di umorismo degli utenti medi di Twitter batte 10 a 1 quella del fantasista di Rai1.
Gli ospiti:
Slatan Ibrahimovic: per quale motivo? L’anno scorso si era umiliato il campione di tennis Djokovic, quest’anno il gigante del calcio europeo mantiene una parvenza di dignità forse dovuta alla stazza imperiale, ma sfugge totalmente il senso della sua presenza, come sempre.
Matilda De Angelis: punto a favore. La giovane attrice bolognese, rivelazione internazionale con la mega produzione The Undoing, non solo è veramente bellissima, ma è brava e convincente anche con testi disastrosi, disinvolta per una certa sicurezza da star internazionale, ammiccante il giusto. Per niente intimidita, affianca l’impalato Amadeus mandandolo in confusione, e se ne va sorridendo. Poi canta, e mette in ombra diverse interpreti: del resto ha iniziato come cantante in una band.
Inserti ‘sociali’: discorsi sulle misure di sicurezza, incontro con l’infermier eroica contro il COVID, un appello per la liberazione di Patrick Zaki. Tutto necessario, ma inserito in modo meccanico e stridente. Forse non si poteva fare altrimenti.
La musica: ultima ma ovviamente non ultima.
I cantanti sono troppo emozionati. Troppo timidi, insicuri. Un’apertura con un’Arisa che stecca, un veterano come Fedez che quasi piange dalla tensione, un Aiello che urla come a una seduta di autocoscienza nel parco… La musica vera arriva solo con la prima ospite: una Loredana Bertè dall’aspetto fumettistico, sopra le righe, quasi parodistico, che però innerva l’ambiente di energia, competenza e… MUSICA.
Il rock invade la sala, il carisma acciaccato e roco dell’eterna Loredana conquista tutti, i social impazziscono, e povero Max Gazzé che si esibisce dopo di lei, che vede penalizzata la sua divertita performance travestito da Leonardo Da Vinci (sui social i ragazzi pensano sia Albus Silente di Harry Potter).
Achille Lauro, ospite anche lui coi capelli azzurri casualmente come la mitica Berté ma con molte più piume sulle spalle, porta sul palco il concetto di esibizione teatrale, come sempre. Spettacolo, poesia, filosofia e una canzone molto in linea col suo stile, per non dire già sentita. L’eroe del trasformismo è un po’ fiacco ad oggi, ma svetta comunque per determinazione a sperimentare, e anche per lui comunque pollice su.
Tra i cantanti in gara i preferiti della redazione sono i Maneskin: l’arrivo della chitarra elettrica, letteralmente, elettrizza un palco ammosciato da virtuosismi vocali fini a sé stessi e punte di inspiegabili autotune, la canzone echeggia un rock eternamente ribelle e la voce del giovane Damiano porta il peso degli anni che ancora non ha vissuto, e regala brividi.
Altre emozioni non sono pervenute. La serata è oggettivamente, insopportabilmente troppo lunga, e continuiamo, noi dal millennio passato, a non capire che bisogno ci sia di allungare il brodo con tutta questa fuffa che non diverte, non aggiunge, non dà senso.
Rai: i siparietti dei conduttori fanno cambiare canale agli spettatori, e molti di questi ‘cadono’ nell’operazione. Meditate.