Per capire se ci interessa l’atteso film di Denis Villeneuve nei cinema, un breve percorso di avvicinamento televisivo al regista, e agli interpreti

Se dico ‘dune’ verso fine agosto, la prima cosa a cui pensa il vacanziero (o colui che lo è appena stato) sono le ondulate collinette di sabbia che digradano verso il mare lungo la costa italiana. Ok, potete indugiare in questa fascinosa visione per qualche secondo, ma questo articolo parla di Dune (dai che ce la facciamo anche noi italiani: si dice diun), il film del regista canadese Denis Villeneuve che verrà presentato a settembre alla 78esima e sempre prestigiosa Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.

Non un rifacimento del celebre ma diversamente fortunato film del 1984 che quasi stroncò la carriera di David Lynch (quello che aveva nella locandina l’effige di Sting, che poi invece aveva un ruolo marginalissimo), ma un film direttamente ispirato al romanzo di Frank Herbert. Romanzo del 1965 che ha dato vita ad un vastissimo ciclo, una esalogia potremmo dire se questa parola esistesse, comunque una saga letteraria ampliata dal figlio di Herbert negli anni 2000 e arrivata a comprendere sei romanzi più uno e soprattutto a descrivere un universo completo che inghiotte i suoi fan e che ha sedotto per anni il regista canadese. Addirittura Villeneuve ha dichiarato che Dune è il film per realizzare il quale ha deciso di fare il regista: il film della vita, in tre parole. Niente male come frase ad effetto, potevano usarla come lancio di marketing. Ma è vero? Che un autore come lui, candidato all’Oscar a trent’anni per La donna che canta, nominato e premiato in tutti i festival e le mostre cinematografiche che contano, coccolato dalla critica, incline alla ricerca sia stilistica che di significato, stimato come uno dei migliori registi della sua generazione (è del 1967), veda il culmine della sua carriera in un pretenzioso film di fantascienza?

Cioè un autore apprezzatissimo sceglie come film per cui vuol essere ricordato uno che ha la preoccupantemente complicata trama che segue?

Dune: la trama

In un futuro lontano ma proprio lontano (undicesimo millennio), il nobile Duca Leto Atreides ha l’incarico di governare il pianeta Arrakis detto Dune, fondamentale perché su di esso nasce ‘la spezia’, una sorta di droga che garantisce grandi poteri e una vita innaturalmente lunga. Ovviamente Dune è al centro dell’interesse di tutte le forze dell’Universo, oltre che del popolo Fremen, nativo del Pianeta, e di orribili creature vermiformi anche esse di ‘produzione locale’. Una guerra dunque nasce dal momento in cui gli Atreides atterrano su Dune, e la famiglia, i consiglieri del Duca e soprattutto il giovane figlio Paul, vero protagonista della storia, sono coinvolti in un succedersi frenetico e roboante di tradimenti, scontri, combattimenti, inseguimenti e fughe.

Eppure sì, è questa la materia che l’ex enfant prodige del cinema canadese vuol lavorare e rendere malleabile, coerente al suo itinerario per avvicinare la fantascienza al cinema d’autore. Perché Villeneuve questo sta facendo, dal 2015, e ispirandosi ai più grandi intesi come Kubrik, Cuaron, Nolan e soprattutto Ridley Scott: usare la fantascienza come contenitore di significati filosofici superiori, come mezzo per arrivare a una grandezza espressiva che non si disgiunga dalla fascinazione popolare del racconto fantastico. Hai detto un prospero, diceva mia nonna…
Eppure sì, questa è la missione di Denis Villeneuve, che usa le atmosfere come suprema forma espressiva, e la fotografia come uno degli strumenti comunicativi più importanti. Questo Dune infatti è girato nel deserto della Giordania, dal vero, e il regista ha dichiarato di aver usato la vera luce del luogo, e mai utilizzato il famoso green screen, escamotage tecnico che va per la maggiore nei film d’azione e fantascienza ad alto ed altissimo budget. Solo la verità, trasfigurata dall’occhio vero ma visionario del regista, chiaramente.
Per sapere se questo vi potrebbe piacere, l’algoritmo suggerisce i due precedenti film di fantascienza dello stesso regista.

Il primo è:
Arrival (2015)  – Chili, TIM Vision, InfinityTV

Quando 12 navicelle spaziali arrivano sulla Terra, il problema che si pone è capire cosa vogliono. L’esercito americano, prima di attaccare, chiama un team di esperti di linguistica per cercare di comunicare con gli alieni e capire se le loro intenzioni sono pacifiche o bellicose. Una trama complicatissima si dipana da questo incipit, per un film candidato a 8 premi Oscar (tra cui Miglior film e Miglior regia, uno vinto per Miglior montaggio sonoro) che si incentra sul valore della comunicazione, sul potere del linguaggio che può al limite incidere sulla percezione e quindi sulla manipolazione del tempo. Amy Adams regge bene il peso di questa storia che esplora il lato metafisico e pensoso della fantascienza piuttosto che quello di pura action, e che indaga il lato ‘umano’ dell’alieno e quello alieno delle relazioni umane.

Il secondo è:
Blade Runner 2049  (2017) –  Starz, Chili, Infinity Tv, TIM Vision

Nel 2017 esce il film con cui Villeneuve denuncia la sua ambizione e il suo coraggio, e e cioè l’ideale seguito di quel miracolo cinematografico (nel senso che è considerato un capolavoro da critica E pubblico mainstream) e fenomeno pop che è Blade Runner di Ridley Scott. Firma dunque un secondo capitolo di un’eccellenza, senza temere l’inevitabilità delle critiche pre (e post) ventive. La storia è ambientata trent’anni dopo le vicende del primo Blade Runner, e il giovane cacciatore di replicanti Ryan Gosling deve ricorrere all’anziano Harrison Ford per far fronte a una scoperta che potrebbe cambiare le sorti del mondo come lo conosciamo, anzi lo conosceremo nel 2049. Prodotto dallo stesso Ridley Scott, questo Blade Runner non imita né ripropone, ma si ispira al film originale estremizzandone l’estetica per rendere l’atmosfera di un tetro futuro il primo e più affascinante personaggio della storia. Involuto e complicato, il film ha un ‘mood’ che è difficile da dimenticare, e analogamente (ma non ugualmente) al primo ha qualcosa che si pianta nell’ippocampo cerebrale di chi guarda e non se ne va più. Premiato con due Oscar, dei 5 a cui era candidato, e un centinaio di altri riconoscimenti, Blade Runner 2049 non ha certo convinto tutti, però va visto, almeno per immergersi in una atmofera imperfetta ma ammaliante, che potrebbe essere antesignana di quella che il regista ha deciso di proporre per la sua ultima fatica, appunto DUNE.

Per concludere:

Le aspirazioni e le dichiarazioni di intenti del regista preannunciano il suo Dune come un prodotto non per tutti i palati. Ma le scelte autoriali e difficili del regista in fatto di stile e contenuti sono ampiamente bilanciate da quelle del cast, selezionato tra i nomi più attuali, popolari e quasi ‘prevedibili’ del momento. Tra i tanti, scegliamo di indicare i due giovani protagonisti, che rappresentano l’apice della ‘divitudine’ dell’oggi, due attori già famosissimi sul grande schermo e come personaggi dell’universo espanso di social, riviste web e immaginario tele/cinema/informatico.

Zendaya, 25 anni, ha già ampiamente fatto dimenticare le serie Disney che pure l’hanno lanciata, ha superato in scioltezza un paio di ruoli in action movie di supereroi come Spider Man, e stravolto in positivo critica e pubblico per la sua bravura nel bellissimo Malcolm & Marie (qui la nostra recensione del film).

 

Timothée Chalamet, 26 anni, richiederebbe un capitolo a parte (e lo avrà prossimamente). Un attore giovane, osannato -come suol dirsi- dalla critica e adorato dalle e dai fan, che porta su di sé il peso di essere una promessa del cinema internazionale. Ogni volta che la promessa viene mantenuta, qualcuno aspetta Chalamet al varco della prossima prova. Prima di vederlo in Dune, l’algoritmo consiglia di vedere almeno due film che, con i loro ruoli diversissimi, sottolineano la versatilità del giovane interprete, che non è come potrebbe sembrare solo un gran bel faccino amato dalla telecamera, ma un attore sensibile e davvero camaleontico.

A dimostrarlo consigliamo il film che lo ha reso celebre, Chiamami col tuo nome (Netflix, Amazon Prime, Chili). Nel film di Luca Guadagnino Timothée interpreta un giovanissimo talento della musica classica, tormentato e incerto nella vita privata, che intraprende con stupore e passione una relazione con un ragazzo affascinante di qualche anno più grande di lui. Il film è di una bellezza struggente (sconsigliatissimo a chi predilige l’azione alla parola e alle lunghe ipnotiche inquadrature) e il suo Elio ha la statura dei personaggi indimenticabili della storia del cinema, sancita anche dalla nomination all’Oscar come miglior attore. Per far capire chiaramente che Chalamet non è destinato alla fine ingloriosa di Bjorn Andresen (il Tadzio di La morte a Venezia, interprete di questo unico ruolo di efebico e bellissimo giovane), si può guardare almeno Un giorno di pioggia a New York (Sky VOD, Now TV, Tim Vision), di Woody Allen (la cui storia produttiva è stata maltrattata dalle vicende del regista col Me Too). Nella frizzante ‘storia jazz’ ambientata nella meravigliosa Grande Mela, Chalamet mostra le sue doti di attore brillante, interpretando convintamente un perfetto personaggio alleniano, e riuscendo a ‘piegare’ la sua irresistibile coolness naturale creando credibilmente un personaggio goffo e sperduto in mezzo agli eventi.

 

Lascia un commento