Arriva in Italia su Sky (dal 10 Dicembre) una serie comedy scritta e interpretata da Abby McEnany, stand-up comedian americana rappresentante del mondo LGBT
Abby McEnany è una stand-up comedian americana, comica e scrittrice, che con Work in Progress scrive e interpreta il suo primo programma televisivo, una miniserie in otto puntate che si può definire semi-autobiografica, disponibile ora in Italia nel pacchetto Boxset della piattaforma Sky. Curiosità: a produrre questo gioiellino di comicità intelligente è Lilly Wachowski, che prima di cambiare genere e col nome di Andy, in duo col fratello Larry (ora Lana) ha diretto la saga cult di Matrix.
La Abby di Work in Progress, come l’autrice di monologhi esilaranti che l’ha creata, definisce sé stessa come una 45enne lesbica, mascolina, grassa e costantemente in cura dallo psicologo. Nelle prime scene della serie il personaggio rivela alla sua terapista di essersi data 180 giorni per trovare uno scopo di vita, prima di rinunciarci definitivamente. Alla vita. Parla sul serio, l’ironica e divertente Abby? Sul suicidio non si sa, ma sul fatto che la vita di una donna di mezza età lesbica, depressa e sovrappeso possa essere complicata, la vera McEnany ha costruito la sua carriera di comica e improvvisatrice, anche con discreto successo. Abby in ogni caso è sicura che una come lei non è destinata alla felicità, all’amore vero e soddisfacente, e convinta di dover rimanere per sempre ai margini della società perché non ne realizza il modello dominante, sola e vittima di quasi tutti gli ‘shaming’ disponibili (contro le persone grasse, con disturbi nervosi, omosessuali e volendo pure occhialute) e ha deciso che riderci su è la cosa migliore da fare. La novità della serie tv rispetto alla rassegnazione divertita e mordace degli spettacoli dal vivo, è che la Abby di fiction si dà una possibilità. L’arguta 45enne sempre a dieta incontra l’amore, forse quello della vita, sembrerebbe, vuoi vedere che…? Certo la relazione è complicata dal fatto che invece che di una donna, Abby stavolta di innamora di un ragazzo trasgender: ma complicata va bene, va benissimo, se questo amore risulta inaspettatamente, meravigliosamente rigenerante e vivificatore.
Continuando a ridere sulle proprie goffaggini, sulla stupidità della gente che non vuol capire e su quella delle persone che vorrebbero capire ma proprio non ce la fanno, Abby stavolta prova a rappresentare la felicità diversa di una persona normale nel senso di comune, simile a tante. E per cui la ricerca della felicità è, come per tutti, un perenne work in progress.
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Se vi interessano le stand-up comedian che parlano della comunità LGBT, l’algoritmo umano consiglia anche:
Tig Notaro: Happy to be Here, 2018, Netflix
Il più recente spettacolo della stand-up comedian Tig Notaro, esponente del cosiddetto dry-wit humor e lanciata da uno dei più famosi nomi del genere, Louis C.K, è allo stesso tempo un prodotto accessibile a tutti e molto specificamente dedicato ad un certo pubblico, definito da una critica americana ‘un raro esempio di irrefrenabile gioia lesbica’. Fino ad ora i suoi monologhi sono stati in pratica un modo per elaborare sul palco una serie di tragedie strazianti ridendoci su (la protagonista ha subito una veramente cospicua dose di sfortune, guai di salute, lutti, dolori di vario genere), questo Happy to Be Here invece è una sorta di lezione di sopravvivenza post-sfortunati eventi, un vademecum su come crogiolarsi sulle piccole gioie delle conseguenze di eventi nefasti. In pratica è l’occasione di vedere in televisione una lesbica che parla di sua moglie, dei sue figli e del suo gatto: cose normali raccontate in modo divertente, ma che il pubblico che si riconosce in questo orientamento sessuale definisce ‘entusiasmante’, dal momento che fino ad oggi la ‘normalità’ era vedere sullo schermo la versione triste, disperata, emarginata del mondo lesbo, che, fortunatamente, non è solo così.
Hannah Gadsby, Nanette, 2018, Netflix
Monologo di un’ora della stand –up comedian australiana Hannah Gadsby, versione televisiva e ‘netflixiana’ (sulla piattaforma disponibile in originale sottotitolato) del suo premiatissimo spettacolo teatrale che parla di omosessualità, ruoli di genere, discriminazione e difficile affermazione della propria identità.
Lo spettacolo in parte è un classico della tradizione della stand-up comedy, in questo caso omosessuale, ovvero punta a far ridere grazie all’autoironia, al disvelamento delle difficoltà di essere quello che si è in un mondo che non ti accetta ma allo stesso tempo della propria capacità di trasformare quelle difficoltà in punti di forza. Ma la particolarità di Hannah è che decide di fermarsi, a un certo punto, e di destrutturare il suo monologo, analizzandone gli elementi, ‘isolandoli’ prima che diventino materia di battuta. Quindi la discriminazione individuale, il modo in cui il mondo e la società guardano agli omosessuali e a tutta l’esperienza umana della comunità LGBT+, il dolore lancinante che il non poter affermare la propria identità può provocare nell’animo di un individuo, tutte queste cose oggettivamente drammatiche vengono messe in piena luce nella loro crudezza, e smettono, tutt’a un tratto, di far ridere. E iniziano a far pensare, come quando l’attrice rilegge la storia di grandi personaggi attraverso la chiave interpretativa di quello che li ha accomunati: la misoginia. Uno spettacolo forte, ruvido, in cui si ride in modo liberatorio ma in cui il maschio necessariamente dovrà masticare amaro: e se non pensa valga la pena, probabilmente ha capito di essere stato, più spesso di quanto non voglia ammettere, una persona misogina.