IL BIOPIC SKY ORIGINAL CHE RIPERCORRE LA VITA E IL TALENTO DI CLARICE CLIFF, ARTISTA PIONIERA DELL’ART DÉCO E ICONA DEL FEMMINISMO. UN FILM SULL’EMANCIPAZIONE DELLE DONNE SU CUI BRILLA LA STELLA LUMINOSA DI PHOEBE DYNEVOUR, LA GIOVANE ATTRICE INGLESE TRA I PROTAGONISTI DI “BRIDGERTON”.

The Colour Room

(Sky/Now Tv)

Siamo in Inghilterra, a Stoke-On Trent, negli anni ’20 del Novecento. E nella cittadina famosa per la sua industria di ceramica, tanto da essere soprannominata “The Pottery”, la giovane Clarice Cliff entra per la prima volta in una fabbrica, armata di ambizione e di quella creatività connaturata che ha solamente bisogno di una spinta per sprigionarsi in tutta la sua passione.

Con moltissime intuizioni sui colori e le forme, Clarice sfida e manda in frantumi un mondo fin lì dominato dagli uomini, facendo colpo sull’eccentrico proprietario dell’officina, Colley Shorter, il tipico imprenditore con una latente anima progressista che ha solo bisogno di essere coccolata e stimolata.

Lavorando al fianco del famoso Art Designer Fred Ridgeway, rinomato mentore che sarà superato dall’allieva, Clarice inventa l’inedita gamma ‘Bizarre’, guadagnandosi la notorietà come una delle maggiori esponenti dell’Art Déco e assicurando la sopravvivenza della fabbrica che arrancava nel mezzo della crisi dovuta alla Grande Depressione.

“The Colour Room” è un ‘feelgood’ period drama in piena regola, un biopic sull’ottimismo e il riscatto che si focalizza su un concetto semplice e vincente: la storia non è fatta solamente di grandi eventi, ma di piccole avventure in cui le persone forgiano il mondo in cui vivono, dando forma e identità a un nuovo modello sociale.

‘Forgiare’ è il verbo cardine del film, scritto da Claire Peate e diretto da Claire McCarthy, per gli ovvi riferimenti interni alla lavorazione della ceramica e per la metamorfosi che la protagonista Clarice aziona nell’universo quasi totalmente maschile, in cui irrompe insieme alle sue idee innovative che stravolgono il ruolo a cui le donne erano relegate nelle officine.

Le officine che ancora, all’epoca, erano plasmate su una percezione estetica standardizzata di stampo vittoriano, limitandosi a decorazioni vezzose e tecnicamente ineccepibili, ma ormai inflazionate. Clarice Cliff, con la sua linea originale e moderna, scartò la produzione tradizionale conquistando i gusti delle donne, e permettendo al suo datore di lavoro di vendere più di 8 milioni di pezzi.

PHOEBE DYNEVOUR

Quasi irriconoscibile, con il trucco ridotto al minimo, l’acconciatura semplificata in ricci e il corpo sexy nascosto da un look operaio, la giovane attrice di Manchester riassume e amplia, con coerenza esemplificativa, il senso stesso del film, essendo lei, sex symbol proveniente dal mondo dorato della serie tv “Bridgerton” (una versione più audace di “Downton Abbey”) ad essere forgiata a immagine e somiglianza del messaggio che il film vuole comunicare.

Sua è la metamorfosi più corposa nel passaggio da “Bridgerton” a “The Colour Room”: da figlia di una delle più potenti famiglie dell’aristocrazia inglese durante l’Età della Reggenza (1811-1820), con il debutto in un ambiente nobile tutto balli, feste e vestiti sgargianti, la Dynevour atterra, come un angelo caduto dal cielo, nelle fuligginose atmosfere di una Gran Bretagna industrializzata degli anni ’20, nel ruolo di donna non convenzionale e ragazza lavoratrice di una famiglia povera formata da lei, da una sorella minore e da una madre vedova.

In comune, i due scenari completamente opposti di “Bridgerton” e “The Colour Room” sfoggiano una notevole accuratezza storica e iconografica, oltre all’astuta e tempestiva messa a fuoco della parte romantica che, nel caso di “The Colour Room” è tuttavia ricalcata sulla storia vera di Clarice Cliff.

La pioniera dell’Art Déco finì, infatti, per innamorarsi del proprietario della fabbrica, interpretato da Matthew Goode, che ha già fatto svettare il suo fascinoso portamento british proprio in alcuni episodi di “Downton Abbey” (ma noi ne parliamo anche QUI a proposito di “A Discovery of Witches”).

 

“The Colour Room”, prevedibile nei suoi snodi narrativi e mono-dimensionale nella rifinitura psicologica dei personaggi negativi, compie tuttavia egregiamente il suo compito di biopic pittoresco che costruisce lo sfondo sociale in cui sono calate le vicissitudini della Cliff come se fosse una tela su cui dipingere il climax del riscatto e dell’emancipazione in nome del Girl Power ante-litteram.

Un contesto illustrativo ben costruito ma vagamente patinato che culla la storia di un’eroina fuori dagli schemi, capace di emergere dalle viscere della working class, spezzando vincoli e regole centenarie.

Un film che dà ciò che ci si aspetta, una consacrazione scolastica della formula ‘tratto-da-una-storia-vera, senza eccedere in sfaccettature né complicarsi troppo la vita (narrativa), preferendo, perciò, ammorbidire gli spigoli e spianare le asperità drammatiche. In controtendenza, quindi, con il personaggio rivoluzionario di cui parla.

E’ un biopic targato Sky Original, quindi senza velleità militanti o accentuati ardori ideologici, che asseconda il gusto attuale per le storie di personaggi femminili forti. E soprattutto mette al centro della scena Phoebe Dynevour nel classico ruolo dell’attrice bellissima che vuole dimostrare di essere anche bravissima.

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