L’8 Aprile su Amazon Prime le ultime due (di sei) puntate del programma comico di cui tutti parlano: guardare per decidere se fa davvero ridere oppure no.

Il format è un originale giapponese, e la trasmissione ha già diverse versioni internazionali: ci sono dieci comici professionisti chiusi insieme in un teatro per sei ore, ognuno deve far ridere gli altri, ma chi ride viene ammonito la prima volta ed espulso la seconda da due implacabili giudici ( da noi Mara Maionchi e Fedez) che, dalla loro postazione in regia, sono liberi di sganasciarsi dalle risate.

Elio, Fru e Ciro dei The Jackal, Lillo Petrolo, Angelo Pintus, Frank Matano, Katia Follesa, Luca Ravenna, Michela Giraud, Caterina Guzzanti: questi i nomi dei comici che fanno di tutto per dimostrare la propria superiorità professionale, cercando di far ridere i colleghi, cosa non facile già di per sé, difficilissima quando c’è in ballo l’eliminazione da un gioco.

Noi abbiamo visto la trasmissione e abbiamo riso, anche parecchio, e abbiamo sentito ridere tutti quelli che hanno seguito i primi 4 episodi. Stavamo per segnalare semplicemente questo programma con un ‘finalmente si ride!’ classico e chic, ma poi è arrivato il  critico televisivo Aldo Grasso a rompere il coro unanime di sgangherata approvazione che si era alzato, dando voce a quanti sono rimasti freddi davanti a questo nuovo format originale, e che si sono convinti che potrebbero vincere la gara dato che non hanno scucito nemmeno un sorriso davanti al programma. Così ora niente più è scontato: i social si sono animati, e come sempre le posizioni sono estreme ed estremamente difficili da contestare. Fa ridere, LOL, o è un patetico tentativo di spacciare per comicità un giochetto demenziale delle elementari? I comici che cercano di far ridere i comici sono irresistibili,  sono patetici, oppure Aldo Grasso è un guru della televisione ma non è tanto spiritoso?

Noi siamo della squadra #lolfaunsaccoridere, e vi diciamo perché, però a questo punto, chi non verifica da solo se la trasmissione fa ridere o meno, è fuori.

L’idea alla base di LOL è semplice ma ha del geniale:
è moderna: perché il programma è strutturato come un gioco, quindi rientra pienamente nell’attuale tendenza del contest, del reality e della gara a eliminazione che in televisione da anni va per la maggiore
vecchia come il cucco: di base il gioco è quello che tutti hanno fatto da piccoli, cioè ‘facciamo che chi ride per primo perde’, e sappiamo che non ridere in quella situazione è difficilissimo
garantita: statisticamente parlando, su dieci comici ce ne sarà almeno uno che ti faccia ridere, ma empiricamente ce ne sono sempre due o tre. Nel gruppo di questa prima edizione ce ne sono tanti molto forti, ma quello che è bello è che mentre guardi, pensi che anche tu con 9 dei tuoi amici potreste fare faville chiusi sei ore con l’obbligo di rimanere seri come stoccafissi.

Ma va da sé che tanto più è difficile non ridere, quanto più sono bravi i comici professionisti.

Così, mentre ognuno fa di tutto e dà il meglio (che per un attore comico è anche il peggio) di sé per divertire gli altri, allo stesso tempo ognuno forza sé stesso a non ridere per non perdere la sfida. Intanto in regia, mentre commentano le uscite dei comici e ancora di più i tentativi di rimanere seri con espressioni da catalogo della commedia dell’arte, i due giudici si sbellicano senza ritegno. E questa è la chiave di volta del programma: come si sa, la risata è contagiosa, e se lo spettatore avesse solo i musi forzatamente lunghi dei comici davanti a sé, non riderebbe nemmeno lui. Invece viene spontaneo accodarsi alle sghignazzate scomposte di Mara e Fedez, e poi via via degli attori eliminati che vanno ad unirsi a loro, finalmente liberi di dare spazio all’allegria repressa. E a quel punto, contagiato, lo spettatore ride. E si ride tanto.
Ride il giovane e ride l’attempato, ridono i ragazzini e ridono anche gli snob, si ride insieme ma anche da soli davanti alla tv. I comici fanno le voci, si travestono, fanno battute di repertorio, improvvisano, si mandano reciprocamente a quel paese quando un tentativo è particolarmente riuscito. Spiegare il meccanismo non è efficace: bisogna guardare il programma, possibilmente però lasciando la spocchia seduta su un altro divano, in un’altra dimensione. In questo modo, sarà difficile credere a quanti dicono di non aver nemmeno sorriso.
La misura del successo di questo programma la sta dando il rimbalzare sui social di battute, immagini, personaggi nati in quelle poche ore, dentro un teatro in cui ridere è una missione quasi impossibile.

Perché è vero quello che dice Elio (lo dichiaro: in assoluto il mio preferito, renderebbe divertente anche un telegiornale in piena pandemia) nella prima puntata ‘Per far ridere devi essere scemo’, e la risata che volutamente sollecita questo programma è una risata scema, liberatoria, grassa ma senza peso: non è una comicità che fa pensare, che fa riflettere, che usa l’ironia, che fa ridere amaro. Fa ridere come quando sei un po’ alticcio, o come quando ti rivedi coi compagni delle superiori ( e quindi poi sei un po’ alticcio) e il secchione si mette a fare l’imitazione di quella di italiano, e la fa UGUALE. Ecco, si ride così, come scemi. E, banale dirlo ma drammaticamente vero, in un momento come questo in cui c’è veramente poco da ridere, una cosa così a noi è parsa quasi preziosa, un regalo scemo, ma apprezzato.

 

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