DIECI PRIME TV (O QUASI) PER UNA SCORPACCIATA CINEFILA DA CENTELLINARE DURANTE IL LUNGO PERIODO NATALIZIO. INIZIAMO DA UN FILM ATTUALISSIMO E MOLTO ATTESO, CONSIGLIANDOVI POI UN KOLOSSAL STORICO, UN HORROR PREGEVOLE, UNA MANCIATA DI COMMEDIE NERE, GIALLE, COATTE E SOPRANNATURALI. NON MANCA L’ACTION A TUTTA VELOCITA’ E NATURALMENTE UNA STORIA PER BAMBINI, L’AMERICA DEGLI ANNI 50 E UN ANTHONY HOPKINS DA STANDING OVATION.
DON’T LOOK UP
(Netflix, dal 24 dicembre )
Il cast è da addobbo: Jennifer Lawrence e Leonardo DiCaprio in cima e poi, a cascata, ci sono Cate Blanchett, Meryl Streep, Jonah Hill e Timothée Chalamet. Tutti ad illuminare la commedia di Adam McKay che declina in cinica ironia uno spartito da disaster movie. Una laureanda in astronomia e il suo professore partono per un tour mediatico con la speranza di sensibilizzare l’umanità sull’incombente minaccia di una cometa in rotta di collisione con la Terra, ma l’enormità dell’impatto e della tragedia vengono ignorate, persino dal Presidente degli Stati Uniti. Si scatena però il tipico circo social-mediatico, simbolo dell’epoca attuale, in cui non ci sono trapezisti, clown e donne baffute, ma opinionisti ignoranti, negazionisti, allarmisti, haters, like e sondaggi. 4 le nomination ai prossimi Golden Globe: miglior film, miglior sceneggiatura, e migliori attori protagonisti.
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COME UN GATTO IN TANGENZIALE – RITORNO A COCCIA DI MORTO
(Sky Dal 25 dicembre)
Quando il pubblico apprezza, il sequel è un obbligo. Paola Cortellesi (a lei spettano le battute migliori) e Antonio Albanese confermano la grande sintonia e si avvalgono di due rinforzi: Luca Argentero nel ruolo del sacerdote attizzante e Claudio Amendola che fa il tipo da spiaggia. Il regista e gli sceneggiatori rimpolpano la ricetta del primo capitolo e tirano fuori uno ‘spaccato di un’Italia spaccata’. Dalle diffidenze, soprattutto, che brulicano nel tessuto sociale di un Paese un po’ snob e un po’ coatto. Come per i Cinepanettoni ci si ritrova sia davanti allo specchio, sia con il mirino della cinepresa puntato su quello che ci circonda nel quotidiano. Il tutto condito con ironia. Mordace ma non letale. Si viaggia più verso una rassicurante medietà da commedia graffiante ma con le unghie limate e un gruppo di attori multipartisan. Inclusivo e senza spargimenti di sangue.
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A QUIET PLACE II
(Rakuten, Chili, Google Play, Tim Vision, Apple Tv, Amazon)
Il silenzio non basta. Recita così la frase di lancio del sequel, diretto ancora da John Krasinski, di un horror apocalittico che nel 2018 fece breccia nei cuori dei fan del genere. ‘Da paura’ anche il riscontro al box office. Questo secondo capitolo allarga la visuale, oltre le malefiche creature spaziali dall’udito ipersensibile, che costringono chi vuol salvarsi la pelle a non emettere nessun suono. Nello specifico la famiglia Abbott che lascia il suo rifugio per addentrarsi nel pianeta ormai colonizzato dai mostri. Anche “A Quiet Place II”, come il suo magnifico predecessore, è un horror che incastona una dramma familiare di formazione, girato pensando a Spielberg e alle guerre dei mondi e con un’ammirevole dimestichezza della grammatica cinematografica.
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THE LAST DUEL
(Disney +)
La vera storia dell’ultimo ‘Duello di Dio’, chiamato così perché al vincitore spettava il premio più prestigioso: la verità. Si riteneva infatti che tali duelli non fossero decisi dal valore dei contendenti ma dalla volontà del Padreterno. Siamo nella Francia del 1356 in un Medioevo oscurantista, sporco e solenne che Ridley Scott disegna con impareggiabile cura scenografica, ogni sequenza sembra misurata con il righello. Ma la sfida all’arma bianca tra Jean de Carrouges e Jacques Le Gris, rispettivamente marito e presunto aggressore della nobildonna Marguerite, è il vincolo narrativo da rispettare per raccontare innanzitutto il ruolo della donna in un ambiente patriarcale e misogino. Ridley Scott sceglie la triplice prospettiva, offrendo a ognuno dei tre protagonisti la possibilità di raccontare la sua versione. In questo kolossal d’altri tempi, magniloquente e dilatato, fa paura la forza propagandistica delle istituzioni dell’epoca: la chiesa e la corte. Emerge soprattutto il potere egoistico e vanesio degli uomini contro cui combatte fieramente un’eroina destinata al rogo. In nome di Dio. Il trio di star è composto da Matt Damon, Adam Driver e una Jodie Comer finalmente presa d’assalto dai riflettori, essendo una della attrici più dotate del momento.
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FAST AND FURIOUS 9
(Sky dal 5 gennaio)
Immaginare il cinema come se fosse una macchina truccata, in grado di superare la velocità consentita e con un permesso speciale per violare le regole. Cinema clandestino ma furiosamente mainstream, in costante accelerazione, che punta verso direzioni impossibili, seguendo traiettorie impossibili. Giunto al nono capitolo, il fortunato franchise non rinuncia a nessuna scarica di adrenalina, richiama Justin Li al sedile di guida e offre un passaggio a John Cena nel ruolo del villain megalomane per arricchire un cast già bulimico. Di Dominic Toretto veniamo a sapere qualcosa in più, spiando nel suo passato familiare e quel fratello ha il sapore della nemesi ed è una scelta narrativa da cinecomic. E come nei cinecomic non ci sono limiti, basta riempire il serbatoio con nuove insidie. Una saga che riunisce nello stesso abitacolo una banda di fuorilegge come se fosse una famiglia surrogata in vacanza. La famiglia deve rifare la convergenza e rimettersi in pista per sfidare un parente biologico e rinnegato. Action metropolitano che come nelle missioni impossibili e negli spy-tragitti bondiani lascia che il dito scivoli sul mappamondo impazzito per accompagnarci in giro per il mondo e anche oltre. Giù il cappello inoltre alla regia, al concepimento stesso degli inseguimenti spettacolari e folli. A tavoletta sempre e comunque. Anche questa è una visione del mondo e del cinema.
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BEING THE RICARDOS
(Amazon)
Terzo film da regista per Aaron Sorkin. Lo sceneggiatore premio Oscar per “The Social Network” ritorna dietro la macchina da presa dopo “Molly’s Game” e “Il processo ai Chicago 7”, riportandoci nella Hollywood anni 50 con una storia d’amore e di televisione. “Being the Ricardos” infatti è incentrato sul sodalizio, privato a professionale, tra Lucille Ball e Desi Arnaz che per sette anni furono i protagonisti di “Lucy e io”, un classico del piccolo schermo negli Stati Uniti. La prima sitcom che prevedeva il pubblico in sala e l’utilizzo di tre telecamere. Non un periodo qualunque, perché siamo in pieno Maccartismo e la relazione tra i due viene messa in crisi dalle accuse alla Ball di simpatie comuniste. Proprio lei che negli anni di Eisenhower simboleggiava la donna americana per eccellenza. Regina del focolare ma con ambizioni artistiche che Lucy provava a concretizzare all’insaputa del marito, direttore d’orchestra in un night club. Il film di Sorkin scoperchia dall’interno i meccanismi della fiction e della famiglia tradizionale, mostrando tutto ciò che all’epoca era fuoricampo. Siamo agli albori della televisione, considerata una specie di pacco infiocchettato e inviolabile, un sogno confezionato a misura di spettatore per il cui immaginario quei divi dentro quella scatola sono incorruttibili eroi senza macchia né peccato. Una finzione e un trucco ostentati anche nel volto di Nicole Kidman, protagonista insieme a Javier Bardem, ed inesorabile calamita per lo sguardo di Sorkin che si infila con cinismo in ogni anfratto del backstage, dietro al palco e dentro la coppia. Tra colore e bianco e nero, per riempire di grigi il caro vecchio e troppo variopinto American Dream da luna park.
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THE FATHER – NULLA E’ COME SEMBRA
(Sky dal 29 dicembre)
30 anni dopo “Il silenzio degli innocenti” Anthony Hopkins si riaggiudica l’Oscar come miglior attore, come se fosse ancora un interprete nel massimo fulgore della sua carriera, come se 30 anni non fossero passati. Questo film è il suo film più di quanto non lo fosse quel capolavoro del 1991 con lo psichiatra antropofago Hannibal Lecter. E non regge l’insinuazione che abbia vinto l’Oscar perché interpreta un uomo malato di Alzheimer, pur sapendo che per l’Academy Award qualsiasi disabilità sia un bonus nonché una garanzia di inclusività politically correct. “The Father” è un film sul dubbio, sulla distorsione della percezione, sull’inganno della mente e della visione. Tutti elementi che spesso condiscono discutibili esperimenti avanguardistici mentre nel film di Florian Ziller, all’esordio alla regia, questi abbindolamenti sono incastonati dentro uno spartito solido e classico in cui suonano a pieno regime non solo Hopkins ma anche una Olivia Colman da quadrupla aggettivazione. La sceneggiatura dello stesso Ziller, che l’ha scritta a quattro mani con Christopher Hampton, è da mettere dentro una teca per tutti gli aspiranti scrittori di cinema. E non crea quindi sconcerto il fatto che anche i due screenwriter si siano portati a casa la statuetta. Un film che è una ricostruzione emotiva, un flusso di coscienza dove la memoria sbanda e l’identità si smarrisce. Nulla è come sembra.
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IO E ANGELA
(Sky dal 4 gennaio)
La morte ha le sembianze di Ilenia Pastorelli che si presenta a casa di Pietro Sermonti e con modi sbrigativi da nera mietitrice coatta, inguainata in un outfit di pelle che ne accentua il già notevole sex appeal, lo invita all’estremo saluto. La sua ora è giunta. Che non rompesse le palle. Però Sermonti, che interpreta Arturo – un quarantenne onesto (“e pure un po’ coglione”, lo incalza la Morte romanaccia) – prima di dire addio vorrebbe vendicarsi di tutti quelli che lo hanno sfruttato e deriso. Angela, ossia la Morte, accetta il patto e trascina ‘dickensianamente’ Arturo in una Roma notturna e underground per sbattergli in faccia le bugie su cui è fondata la sua vita. Prima la vendetta e poi ciao ciao mondo crudele. Il problema è che questo patto non rispetta affatto il protocollo dell’aldilà, ma Angela è una Morte dal cuore buono e accetta l’eccezione alla regola. Le piacciono le scommesse, oltre al sesso e alla tequila. Un rischio grosso persino per Lei. La coppia è improbabile ma i due insieme sono un buon match e i loro dialoghi si annodano attorno a una black comedy dal taglio fantastico, un po’ sgangherata ma gustosa che permette a Herbert Simone Paragnani di tornare alle regia 11 anni dopo “Una canzone per te” con uno sguardo nostalgico ai suoi primissimi passi quando collaborò con i Manetti Bros.
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MIA MOGLIE E’ UN FANTASMA
(Sky dal 28 dicembre)
Ancora una commedia che apre un varco con l’aldilà. L’innesco della trama promette bene: uno scrittore in crisi creativa si rivolge a una medium sperando che un intervento mistico lo aiuti a rimboccare il serbatoio prosciugato della creatività. La seduta spiritica, tuttavia, evoca il più grosso dei problemi: Elvira, la prima moglie dello scrittore, con conseguente gelosia dell’attuale consorte. La donna è pericolosa ma è pure una musa infallibile, peccato che la medium non sappia come rispedirla indietro. E lei si trova proprio a suo agio, da fantasma innamorato che rompe le uova nel paniere coniugale. Tratta dalla commedia “Spirito allegro” di Neil Coward del 1941, “Mia moglie è un fantasma” resuscita vivi e morti per finezza retrò e humor sagace dall’accento british. Il resto lo fa un gruppetto di attori incantevoli per come sanno recitare sempre un po’ sopra le righe. Judi Dench, Isla Fisher, Dan Stevens e Leslie Mann si calano alla perfezione nell’atmosfera degli anni 40. Una commedia elegante, briosa e priva di volgarità che gioca a rifare il cinema classico, anzi ad evocarlo come in una seduta spiritica cinefila.
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PETER RABBIT II – UN BIRBANTE IN FUGA
(Sky dal 24 dicembre)
Concludiamo questa carrellata di consigli con un film che mescola computer grafica e live action. Anzi due film, perché su Sky trovate anche la prima avventura dedicata al coniglio creato da Beatrix Potter. Omaggiamo quindi l’illustratrice e scrittrice inglese che inventò Peter Rabbit a cavallo tra l’800 e il ‘900, stampando a proprie spese le prime 250 copie, dal riconosciuto valore pedagogico oltre che artistico. Personaggio popolarissimo nel mondo anglosassone, Peter è stato anche protagonista di una serie animata che potete godervi sia su Netflix che su Amazon. Ma tornando ai lungometraggi, nel primo capitolo il dispettoso Peter ingaggiava una battaglia con il vicino, il burbero signor McGregor e con il di questi pronipote. Nel secondo capitolo l’azione abbandona i confini dell’orto e si catapulta in città, dove Peter fa la conoscenza di Barnabas vecchio amico di suo padre. E la storia quindi si fa più movimentata e affollata, con Peter che diventa a tutti gli effetti il protagonista di un racconto di formazione. Uscendo fuori dal seminato (anche perché le nozze tra Thomas e Bea non gli sono proprio andate giù), il coniglio vuole fare i conti con la sua cattiva reputazione da mela marcia e imparare a tenere a bada il suo istinto, finendo quindi per sbugiardare la sua autrice, la Bea del film, che lo ha etichettato come incorreggibile guastafeste. Più pungente di quanto possa sembrare, Peter Rabbit è un film che sa essere educativo, ma non disdegna colpi bassi al genere umano con qualche battuta tagliente. In un’epoca in cui i film d’animazione o i live action sono ormai kolossal dall’irreprensibile confezione, i prodotti come “Peter Rabbit” ci restituiscono un po’ di benefica sobrietà.