DALL’IDEA DI UN ESORDIENTE, UNA SERIE ORIGINALISSIMA DIRETTA DA BEN STILLER CON UN CAST DI DIVI ATIPICI: SU APPLE TV ‘SCISSIONE’, COSA SUCCEDE QUANDO TI IMPEDISCONO DI PORTARTI IL LAVORO A CASA, E I PROBLEMI PERSONALI AL LAVORO

 

 

 

 

 

Non so cosa mi piace di più di questa serie americana visibile su Apple Tv: il regista, il cast, il soggetto, l’idea di base originale, il fatto che sia difficile farla rientrare dentro una categoria ma servano almeno tre definizioni.
Ma, come si dice quando si sta per farla davvero lunga, andiamo con ordine.

L’IDEA
Scissione (Severance)
si basa su un ‘miracolo’, ovvero su un’idea originale in un mondo che sta rovinando verso l’eterna ripetizione dell’uguale, tra repliche, reboot, rifacimenti e ennesime stagioni. L’idea è questa: in un tempo tipo il nostro in una città tipo le nostre, la futuristica società Lumon Industries sottopone i suoi dipendenti alla ‘scissione’, cioè un’operazione chirurgica che riesce a scindere la loro memoria, separando quella personale da quella lavorativa e quindi di fatto creando due persone totalmente diverse all’interno dello stesso involucro. Quando è a casa, il dipendente della Lumon non sa che lavoro fa, mentre quando è al lavoro, non sa proprio chi è.
Semplice, come tutte le idee geniali. Però in realtà questo è solo il punto di partenza: appare chiaro che l’azienda non propone questo sistema estremo e irreversibile solo per aumentare l’efficienza dei suoi lavoratori. Anche se chiunque abbia lavorato in un ufficio sa quanto tempo si può perdere dietro ai casi propri, con ore di telefonate per organizzare i turni della baby sitter o le partite di calcetto (post pandemia sarà il padel, si immagina) oppure raccontando dell’amore finito male allo sventurato che ci ha incontrato alla macchinetta del caffè. Ma per quanto la ‘scissione’ possa effettivamente essere un buon metodo per stroncare le perdite di tempo in ufficio, non è questo a cui mira la Lemon: sotto c’è di più. E già vediamo che la serie distopica (alla black mirror) prende una piega crime thriller, come piace a noi. Il protagonista Mark, che come tutti i volontari della scissione ha un chip che regola l’alternanza della memoria della persona (il Mark outie, alle prese col dolore di un lutto quindi sicuramente non ‘performante’) e del lavoratore (il Mark innie appena assunto che fa di tutto per fare bella figura) fa conoscenza con una nuova collega che, diversamente da tutti gli altri, inizia a farsi delle domande: dopo un misterioso incidente, i due hanno un primo indizio del vero perché l’azienda non vuole che nessuno sappia cosa succede sul lavoro, nemmeno, appunto, chi ci lavora. E il vero perché non promette niente, ma proprio niente di buono.
Geniale, sorprendente, intelligente, fantastica: i critici americani e i non tanti utenti di Apple Tv sono unanimi nel giudicare più che positivamente la realizzazione di questa ottima idea dell’esordiente Dan Erickson.

IL REGISTA

Già, la realizzazione: il regista dell’operazione è Ben Stiller. Attenzione però, per quelli che pensano al Ben Stiller di Tutti pazzi per Mary, Zoolander e Una notte al museo (e parecchi altri, ma lo spazio è tiranno): anche qui bisogna operare una scissione. Stiller è sì l’attore che ha basato il suo successo su personaggi comici stolti, caciaroni e volgarotti, ma è anche già regista serio, competente e pensoso, premiato dalla critica per il suo esordio nella serialità, l’intenso Escape at Dannemora (2018). I diciannove episodi di questa stagione, quasi tutti diretti da lui, sono un piccolo manuale di regia televisiva, con la costruzione del mood inquietante e a cavallo tra fantascienza, horror e atmosfere vintage, e l’ottima caratterizzazione dei personaggi. Con la collaborazione essenziale (ecco che ci siamo) del cast.

IL CAST
Del cast in tre casi possiamo anche fare solo i nomi, che sono già in sé autocelebrativi: John Turturro, Christopher Walken e Patricia Arquette, gli ultimi due anche vincitori di Oscar, sono indimenticabili qualsiasi cosa facciano, scommettiamo che anche stavolta sarà così? A me basta guardare Patricia, che ha rinunciato al suo classico biondo ammiccamento seduttivo per interpretare la gelida fino al robotico manager Peggy. O vedere i baffetti ribaldi di John Turturro, in una versione pulitina che promette vette di ambiguità. O lo sguardo marmoreo di Christopher Walken, attore gigantesco che da decenni compie la sua danza sull’orlo dell’abisso della cupa follia. Mi basta questo per essere fiduciosa nella riuscita del progetto.
Il nome del protagonista magari è meno universalmente noto, ma lo è invece il suo viso: da Parks and Recreations a The Good Place, Adam Scott con la sua faccia da bravo ragazzo destinato a prenderle è presente da tanti anni nel mondo televisivo americano, e ultimamente ha trovato una platea internazionale col ruolo dell’unico personaggio senza ombre dello strepitoso Big Little Lies, dove interpretava con dignità il più difficile dei ruoli, quello di un marito cornuto e mazziato. Qui l’intera storia si muove attorno a lui, al suo accettare di venire scisso per poi mettere in dubbio la vera identità di entrambi i suoi sé, quello lavorativo e quello personale, due tipi per bene ma che alla fine non hanno davvero molto in comune.

 

INFINE

Racconto distopico, thriller fantascientifico, crime psico-tecnologico. Se alla fine della visione non riusciremo ancora a dare una definizione univoca di questo titolo, ne saremo ancora più contenti: a volte le definizioni sono gabbie, e per ogni prodotto originale e unico si potrebbe tentare una descrizione a parte.
Ma sarà difficile: come all’interno della misteriosa e angosciante Luman Industries, anche in questa serie si cerca di coinvolgere senza far capire, di ottenere comprensione e collaborazione senza svelare segreti, di convincere senza spiegare. Siamo disposti a lasciarci scindere? Io non vedo l’ora.

 

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