SU SKY ATLANTIC “IL RE”, PRIMO PRISON DRAMA TUTTO ITALIANO E PRIMA VOLTA DI LUCA ZINGARETTI SU SKY. CON L’OCCASIONE, SEGNALIAMO DUE CLASSICI DEL GENERE ‘DA GALERA’
Sky Atlantic propone, con il ‘vecchio’ metodo di due episodi alla volta (ma comunque recuperabili in streaming), una serie di ambientazione carceraria, la prima di questo genere di produzione italiana. Per far presa sul pubblico Il Re si gioca un atout potente, che potrebbe però risultare un boomerang. Infatti il protagonista della serie è Luca Zingaretti, santo patrono dei commissari televisivi, volto rassicurante e bonario della legge da più di vent’anni per gli spettatori della tv generalista. Ma il personaggio che l’amato attore romano interpreta questa volta è l’antitesi perfetta del bravo rappresentante della legge Salvo Montalbano: Bruno Testori è ‘il re’ del San Michele, ambiguo e torvo direttore di un carcere di frontiera dove tutto fila apparentemente liscio proprio grazie alle sue regole. Regole, come si capisce dal primo fotogramma del primo episodio, del tutto personali e opportunistiche: Testori è il sovrano di un sistema corrotto in cui gli agenti sono peggio dei criminali su cui dovrebbero vigilare, e che vengono tenuti buoni a suon di concessioni amorali, commerci viziosi e violenza impronunciabile. Quando il comandante delle guardie, amico personale del direttore, viene ucciso, la furia di Testori esplode sorda e implacabile: la sua indagine interna affiancherà quella ufficiale del sostituto procuratore (un’Anna Buonaiuto in un ruolo inedito e volitivo, da tener presente per una galleria di personaggi femminili istituzionali credibili), naturalmente sovrapponendosi ad essa e cercando di non far venire a galla l’inimmaginabile palude di corruzione su cui si fonda il cosiddetto carcere modello.
DA VEDERE SE: si è appassionati di un genere duro e oscuro, di cui Il Re non risparmia nessun clichè, dai topi che corrono nei sotterranei alle funzioni fisiologiche espletate in pubblico, dalla violenza esplicita all’ambiguità morale dei personaggi, dall’orrore della pena senza fine a quello dei compromessi a cui i ‘buoni’ finiscono per arrivare.
DA NON VEDERE SE: le vostre motivazioni sono la nostalgia delle luminose strade di Vigata in cui gli omicidi sono tutti già successi e non si vede una goccia di sangue, e la mancanza del sorriso sornione di Montalbano: sul San Michele non batte mai il sole e per vedere Zingaretti fare un sorriso bisogna forse attendere il backstage.
SOLO SE SIETE ATTREZZATI PER SOPPORTARE LA DUREZZA DEL GENERE CARCERARIO, L’ALGORITMO UMANO SEGNALA DUE GIOIELLI DEL GENERE.
IL CLASSICO: Le ali della libertà, Netflix, Sky Now, Apple Tv.
Diretto da Frank Darabont, il film è tratto dal romanzo breve di Stephen King Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank. Tim Robbins è Andy, un pacato bancario che nel 1946 viene condannato per l’omicidio della moglie e dell’amante, di cui si dichiara sempre innocente. Mentre sconta ben due ergastoli nel durissimo carcere di Shawshank, Andy Dufresne prima viene debitamente bullizzato sia dai carcerati che dai carcerieri, poi si fa qualche amicizia solida, infine diventa il perno di un sistema che si basa su guardie corrotte e un direttore che più marcio non ce n’è. Ma tutto quello che Frank fa nel corso degli anni, in realtà, è preparare con pazienza, disciplina e in modo totalmente incognito la propria evasione. Che potrebbe o non potrebbe riuscire in modo mirabolante…
DA VEDERE PER: la trama ricchissima di colpi di scena e il tratto approfondito dei caratteri dei personaggi, tipico della narrazione ‘fertile’ di Stephen King, e per la storia dell’amicizia di Andy e Red, che trasforma il dramma carcerario, già colorato da thriller psicologico, in sublime buddy movie. Coinvolgente fino alla fine delle lunghissime due ore e mezza di durata.
L’ETERODOSSO: The Night Of – Cosa è successo quella notte?, Sky Now, Chili
Otto episodi che mescolano thriller, legal drama e appunto dramma carcerario. Il giovane Nasir, di origine pakistana, dopo una delle sue rare sere fuori, si risveglia a casa di una ragazza, che giace al piano di sopra in un bagno di sangue. La girandola di eventi che partono da questo momento, e l’apparente incapacità di Nasir di ricordare cosa sia successo quella notte, lo portano comunque in prigione, e a contattare un bislacco avvocato difensore. Se Nasir sia colpevole o meno continua per tutti gli episodi a non essere chiaro, nel classico crescendo di tensione, ma quello che è certo è che in carcere il ragazzo perde la sua ingenuità e parte della sua purezza, diventando una specie di mostro di freddezza per il quale è veramente difficile parteggiare.
DA VEDERE PER: Da vedere perché se si inizia, non si può non arrivare alla fine, grazie a una trama che aggancia come una calamita, e poi per i personaggi di Nasir e dell’avvocato difensore John Stone. Riz Ahmed (premiato nel 2017 con l’Emmy per questo ruolo e successivamente nominato all’Oscar 2 volte: teniamolo d’occhio) è eccezionale nel dare vita a un personaggio profondamente ambiguo, sicuramente vittima ma che passa a tratti a carnefice, e comunque non lascia mai arrivare chi ha davanti a penetrare nelle profondità della sua anima che si capisce tormentata e forse duplice, triplice. E poi lui, John Turturro, attore così unico che si fa fatica a trovare l’aggettivo giusto, dona al suo personaggio un’umanità difficile da dimenticare. Un avvocato in disarmo, con la carriera ammaccatissima, ridotto a fare l’avvocato d’ufficio a poveracci di cui non importa a nessuno, grazie a questo caso torna a credere nel valore del suo ruolo e all’ideale di una legge ‘giusta’. Mentre cerca davvero di aiutare Naz, l’avvocato Stone tenta anche di arginare lo sfacelo della sua vita, tenendo a bada un problema sgradevolissimo che ha ai piedi, e che invece di renderlo disgustoso ce lo fa sentire se non fratello d’anima, almeno cugino. L’algoritmo umano ‘scende in campo’ personalmente per consigliare questa serie di rara qualità, sempre però nell’ambito del genere carcerario che, come detto, non è proprio per tutti.