Li avrete visti nelle vostre città, i super-mega-maxi  cartelloni di questa serie tv, in programmazione su Amazon Prime Video: cupi, oscuri, un po’ minacciosi. Campeggiano su queste tinte grigio pessimismo due volti cupi, oscuri, un po’ minacciosi.

Sono quelli di Orlando Bloom e Cara Delevigne.

Lui, l’attore che non ha il bene di indossare un paio di jeans o abiti del ventunesimo secolo dai tempi del suo primo successo, la saga del Signore degli Anelli in cui era l’elfo Legolas. Lei, la modella nemica delle pinzette per sopracciglia, bella in modo atipico, fieramente e diremmo platealmente bisessuale.

Ma chi vogliono attirare, gli esperti di pubblicità e marketing, con tutta quell’oscurità? Tenendo conto del successo planetario, di serie horror, fantasy e gotiche… vogliono attirare il pubblico più vasto possibile, naturalmente. I nomi di Gulliermo del Toro e Travis Beacham (quello di Pacific Rim) danno un’ulteriore idea del livello di ambizione di questa serie.

LA STORIA

Siamo in un mondo alternativo, ma che ricorda la solita Inghilterra Vittoriana, con il suo apparente puritanesimo e l’atmosfera di opprimente industrializzazione. Gli uomini sono la razza dominante, hanno avuto la meglio su altre razze, creature magiche dei boschi come gli esseri fatati e i fauni (chiamati dispregiativamente e collettivamente critch), che ora vivono in condizione di inferiorità e semi-schiavitù nelle città umane.

Nella città di Burgue, l’ispettore Rycroft ‘Philo’ Philostrate (Orlando Bloom) indaga su una serie di barbare uccisioni di fate, vittime che alla Polizia non interessano quasi per niente, ma che lui invece ha a cuore perché, come si scopre attraverso lunghi flashback, era stato innamorato di una fata, Vignette Stonemoss (l’accigliata Cara Delevigne).

La giovane (giovane per una fata… si porta comunque sulle spalle alate un centinaio di anni) ha partecipato alla ribellione delle creature fatate contro Il Patto, emanazione autoritaria di un governo umano, ma è stata catturata e ora serve come cameriera nella casa della famiglia Spunrose, benestante ma sull’orlo del collasso finanziario.

Quando Vignette scopre che il suo ex amato che credeva morto è ancora vivo, scappa dalla casa degli Spunrose e si unisce ad un gruppo criminale, mentre la giovane Imogen Spunrose cerca di salvare la famiglia dalla bancarotta corteggiando un fauno, che scandalosamente e inopportunamente ha fatto fortuna e si è stabilito nel quartiere…

E tutte queste cose accadono solo nell’arco dei primi due episodi, di otto! Trame e sottotrame si sprecano, per un risultato molto ricco ma effettivamente piuttosto caotico.

A complicare i plot e ad arricchire (appesantire?) il tutto, in ognuna delle diverse story line sono presenti creature magiche e mitiche, ispirate alla mitologia celtica e non immuni dalla citazione tolkeniana costante: fate, centauri, kobold, marrok, e poi lupi mannari, throw, darkasher, haruspex… Basti pensare che il primo sospettato per le uccisioni delle fate è una sorta di ammasso golemico di carne e corna…

DI TUTTI I GENERI

Ma quindi, questa serie, come la definiamo? Fantasy, noir, gothic, distopic novel? Non solo o non tanto… Ispirata alle atmosfere gotiche, si lascia sedurre dall’immaginario fantasy che rimanda alla saga iconica del Signore degli Anelli, ma con la crudezza narrativa che ha caratterizzato Game of Thrones.
E non basta mica: Carnival Row è anche un crime, un’indagine d’atmosfera vittoriana, secondo il prolifico sottogenere della caccia a un ‘Jack lo Squartatore’.

Inoltre è una storia di guerra e di ribellione dei vinti, come nella migliore tradizione di fantascienza che fa capo a Star Wars, anche se è ambientata in un passato reinterpretato, invece che in un futuro distopico. E non dimentichiamoci la storia d’amore interraziale, con l’uomo che vive un’esaltazione affettiva ma soprattutto erotica con la fatina che, al culmine del piacere, svolazza a lui avvinghiata intorno all’alcova.

Tante tante cose, troppe forse? Sembra quasi che scrivendo la serie gli autori abbiano cercato di compiacere veramente tutti, o anzi meglio, siano andati a cercare ogni possibile chiave per poter accedere alle aree tematiche che oggi definiscono l’utenza televisiva, per diventare insomma un asso pigliatutto del ‘ti potrebbe interessare anche’, un sovrano del consiglio di visione che ormai domina l’offerta televisiva. Uno stratagemma per arrivare davvero a chiunque, in un mondo che ha bisogno di definizioni e rimandi per poter orientare i gusti e dunque gli acquisti degli utenti/spettatori.

EPPUR CI PIACE

Ma c’è un ma. La serie è non solo ben fatta, ma il suo caotico fascino finisce per avvincere perché nella ridda di richiami, crea e mantiene una sua propria cifra stilistica. È avvincente proprio per il suo impianto poliziesco, e affascinante per la sua misteriosa e scostante ombrosità, che è cupa ma non buia grazie all’intento sociale che la anima.

E qui veniamo al nodo che per noi è salvifico, quello che ci permette di promuovere quella che potrebbe sembrare un’operazione ben fatta di marketing, e ci fa mettere like all’insieme. Infatti su tutta la storia aleggia una consistente dose di critica sociale: guardando questo mondo in cui gli umani spadroneggiano e vilipendono creature immensamente superiori per cultura, conoscenze e storia, è facile vedere in trasparenza il nostro di mondo, la società occidentale, che pensa di dominare e poter sfruttare l’altro, il diverso, l’immigrato clandestino che arriva senza documenti e senza i segni del benessere, ma che spesso ha una storia di ricchezza spirituale e culturale che affonda le radici all’inizio dei tempi.

Una morale un po’ troppo esplicita? Mai troppo, per la nostra epoca superficiale e didascalica, in cui per un ‘cuoricino’ in più si è disposti a qualsiasi bassezza: in questo caso invece il cuoricino viene cercato con dovizia di storie, stile, rimandi e valori positivi.

Possiamo davvero chiedere di più, alla televisione?

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