CON “THE CLOSER” DAVE CHAPPELLE COMPLETA LA SUA COLLEZIONE DI SPECIALI SU NETFLIX. UN’ALTRA LEZIONE DI STAND-UP COMEDY DA PARTE DELL’ARTISTA AMERICANO PREMIATO NEL 2019 CON IL PRESTIGIOSO MARK TWAIN PRIZE FOR AMERICAN HUMOR. UNO SHOW IN CUI CHAPPELLE SI DIFENDE DALLE POLEMICHE, SVENTOLANDO IL VESSILLO DEL DIRITTO ALLA SATIRA CONTRO CHIUNQUE. ENTRANDO COME SEMPRE NEL CUORE DELLA QUESTIONE, SENZA CENSURE.

THE CLOSER  (Netflix)                                                                                       VOTO 8

In questo paese puoi ammazzare un nero, ma non puoi ferire i sentimenti di un gay”. È questa la frase più scottante e controversa estrapolata da “The Closer”, lo speciale – il sesto – con cui Dave Chappelle conclude la sua esperienza con Netflix. Il riferimento è alla recente vicissitudine che ha coinvolto il rapper DaBaby, accusato di transfobia dalla comunità LGBTQ+ per le sue dichiarazioni durante un concerto a Miami.

Lo stesso DaBaby che nel 2018 – racconta Dave Chappelle – in un Walmart nel North Carolina, uccise per legittima difesa un diciannovenne afroamericano senza che nessuno sentisse l’urgenza di ‘cancellarlo’ o di scatenare un putiferio su Twitter di cui, aggiunge con sdegno, “Non me ne frega una cazzo perché non è nemmeno un posto reale”.

E anche stavolta la condanna della comunità LGBTQ+ nei confronti di Chappelle è stata pressoché unanime. La produttrice di “Dear White People”, Jaclyn Moore ha dichiarato che non lavorerà più per Netflix “Finché continueranno a distribuire e trarre profitto da contenuti palesemente e pericolosamente transfobici”. Sulla stessa lunghezza d’onda le reazioni del GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation): “Il nome Dave Chappelle è diventato sinonimo del ridicolizzare le persone trans e altre comunità emarginate. Le recensioni negative e gli spettatori che hanno fortemente condannato il suo ultimo speciale dicono all’industria che il pubblico non vuole che venga dato spazio alle diatribe anti-LGBTQ. Concordiamo”.

LA STAND-UP COMEDY

Cerchiamo di capire i motivi di tanto astio e parlare di “The Closer” partendo da un dato di fatto. La Stand-Up Comedy negli Stati Uniti, ma per estensione in tutta la cultura anglosassone (il pensiero va all’inglese Ricky Gervais e all’australiano Jim Jefferies, ma è un panorama artistico affollato da decine di nomi) è tornata ad essere il luogo principale dove si cerca di afferrare la realtà delle cose e individuare le infinite traiettorie sociali e politiche che trafiggono il mondo attuale in tutte le sue componenti. Un fenomeno del genere, di queste dimensioni almeno, non esiste in Italia. Fenomeno per il quale gli show di Dave Chappelle vengono persino incisi in vinile e aggregano masse di fan, specie nella comunità black.

È nella stand-up comedy che si fa politica, intesa come partecipazione intellettuale, individuazione e approfondimento di opinioni e contraddizioni. Più che nei film, nei talk-show e nelle serie tv. Nella Stand-Up comedy non esiste il filtro della fiction, non c’è la necessità – non alla portata di tutti – di interpretare simboli o dedurre significati indiretti. Nella Stand-Up Comedy è all’interno dei confini ben definiti di uno sketch che i topic del momento si setacciano e si stritolano per cavarne un’intuizione sagace, una verità che vada oltre la miope e spesso sonnacchiosa opinione comune. Ma, e questo va chiarito, l’unità di misura principale è la qualità della battuta, il suo potere di scatenare una risata. Se una battuta fa ridere è riuscita, se non fa ridere non è riuscita.

LA STAND-UP COMEDY E DAVE CHAPPELLE

Dave Chappelle è un maestro dell’eloquio, un guru della liturgia della strada, scremata però da ogni retorica stucchevole. Ciò che afferma può scandalizzarvi, divertirvi o lasciarvi indifferente (abbastanza improbabile…) ma il suo stile, il ritmo con cui costruisce i suoi show vi condurranno in un posto dove correte il rischio di stare scomodi. Come degli ospiti desiderati, ma pur sempre ospiti.

I suoi show trasudano della saggezza del ghetto (lui è nato e cresciuto a Washington e ha fatto la gavetta da comedian nei locali di New York), il suo humor si organizza intorno ad aneddoti vissuti in prima persona o a racconti provenienti dalla profonda periferia dell’anima in cui la comunità black vive dai tempi della schiavitù.

E questa discriminazione sofferta per secoli dai neri (che lui chiama Nigger, cioè il modo più offensivo con cui rivolgersi a una persona di colore, ma che è esattamente come i neri si chiamano spesso fra di loro specie nell’universo rap) che lui contrappone alle invettive laccate da social, scegliendo come bersagli del suo sarcasmo le incoerenze del #metoo e della comunità LGBTQ+, le brutali richieste di boicottaggio della ‘Cancel Culture’ e i paradossi che si agitano negli angoli meno in vista del Politically Correct. Si definisce un femminista – se si ci si uniforma precisamente alla definizione di femminismo che trovate sui dizionari, aggiunge –  e l’esilarante ma tragica storia della sua amica transgender Daphne con cui conclude questo show frantuma tutti le capziose pretese sulla neutralità dei pronomi in favore di quella che è, a tutti gli effetti, un’esperienza umana da rispettare. Ma va inclusa nel diritto dei comici di satireggiarla.

Dave Chappelle chiede il rispetto anche per la sua di comunità. La comunità dei comedians. Un comico deve avere la licenza di essere un ‘equal-opportunity offender’, di poter cioè prendere in giro qualsiasi categoria. Anche in modo offensivo se raggiunge l’obiettivo principale, ossia far ridere. Sperando di estendere a tutto il pubblico la consapevolezza che si tratta di puro intrattenimento, e che nessuna battuta possiede la forza di poter cambiare il mondo; può invece, per contrasto e innescando un cambio di prospettiva, contribuire ad aprire gli occhi su alcune ridicole dinamiche che governano i nostri giudizi fino a manipolarli.

Sganciandosi per un attimo da “The Closer”, e citando un altro dei suoi show, “The Bird Revelation” (che trovate sempre su Netflix come tutti i suoi spettacoli), Chappelle sa raccontare i controsensi e le bestialità della lotta di classe pescando nei capitoli di un romanzo come “Pimp – The Story of My Life” (la storia di un magnaccia-gangster  nella Chicago degli anni Trenta e Quaranta) e paragonare le regole che sorreggono il capitalismo alle regole che dettano il rapporto fra un protettore e le sue prostitute.

In un altro show, racconta del suo viaggio notturno nella metropolitana di New York con migliaia di euro nello zainetto affermando di aver capito in quel momento i costanti pericoli che corrono continuamente le donne quando sei in possesso di qualcosa a cui tutti bramano.

Dave Chappelle mira a scuotere il pubblico dal torpore dei condizionamenti e prova ad isolare le assurdità che ci passano sotto il naso, smascherandone le buffe connotazioni. Rientrano in questo suo metodo le battute su Caitlyn Jenner. Per chi non la conoscesse, Caitlyn Jenner – nata come Bruce William Jenner, campione olimpico di Decathlon alle Olimpiadi del 76 – decise di cambiare sesso e iniziare il suo percorso di adeguamento di genere a 66 anni nel 2015 quando fu persino eletta ‘donna dell’anno’ dalla rivista Glamour. Il commento di Dave è sardonico: “Era donna solamente da un anno e non ha mai avuto nemmeno le mestruazioni. Ed è migliore di tutte voi donne di Detroit. Sarebbe come eleggere Eminem ‘negro’ dell’anno”.

Le invettive proseguono mettendo nel mirino le attrici che si sono vestite di nero alla cerimonia dei Golden Globe per protestare contro le molestie sessuali, ma non hanno mai licenziato il loro agente. O la tendenza della comunità LGBTQ+ a inventarsi sigle e acronimi perché è l’unico modo che hanno per spuntarla in un dibattito. Non esita ad accusare di razzismo alcune istanze del movimento femminista che impedisce a donne di colore di esprimere la loro opinione per paura che la rivendicazione dei diritti delle persone di colore eclissi la rivendicazione dei diritti delle donne.

Il bersaglio principale di Dave Chappelle non sono le persone transgender ma l’ipocrisia di facciata con cui la battaglia contro ogni discriminazione, anche quella contro le stesse persone transgender, viene combattuta. Così come nel suo mirino finiscono i privilegi di cui godono i ricchi negli Stati Uniti, lui compreso. Non lo ha mai nascosto. Essere ricco come lui è un privilegio. Come non ha mai escluso dai suoi sferzanti attacchi gente come Bill Cosby e O.J. Simpson. La sua intransigenza si infiamma, però, quando entra in campo la censura, quando cioè si vorrebbe manovrare la sua comunità, la comunità dei comedians, controllandone il diritto di satira, escludendo da essa alcune categorie particolarmente permalose.

Non poteva mancare il riferimento a J.K. Rowling, la nota autrice della saga di Harry Potter, accusata di transfobia per la sua frase “Gender Is a Fact”. Il genere (di appartenenza sessuale) è un dato di fatto. E accusata di svilire l’identità dei transgender e delle persone non binarie dichiarando che “Se non esistesse un genere sessuale, la realtà odierna delle donne verrebbe cancellata. Amo e rispetto i transessuali, ma cancellare il concetto di genere sessuale impedisce di discutere apertamente le nostre vite”.

L’invito non è solamente a vedere “The Closer”, ma a seguire le coordinate del ‘Dave Chappelle pensiero’ recuperando anche gli speciali precedenti per entrare in contatto con una realtà sostanzialmente diversa dalla nostra, non priva comunque di somiglianze. Si tratta di attraversare un varco ed entrare lì dove infuria il dibattito, nella trincea delle polemiche che spesso vengono innescate dal brulichio dei social o che in essi trovano nutrimento. Per chi fosse a digiuno di Stand-Up Comedy e di Dave Chappelle, il consiglio e di calarsi con lui nel caos dei paradossi che ci circondano, alzando di molto il vostro standard di battute volgari ma chirurgiche, anche per testare il vostro grado di accettazione della satira. Si tratta tuttavia di un viaggio istruttivo, grazie anche ai riferimenti con cui Chappelle arricchisce i suoi racconti, ricavati sia dall’attuale mondo dello show business, sia ricordando episodi illuminanti pescati dal lungo percorso di liberazione della comunità black dai tempi della schiavitù.

A proposito. In “The Closer”, Dave Chappelle ammette di essere invidioso degli incalzanti e repentini progressi ottenuti dalla comunità gay nel giro di pochi anni. “If slavery had baby oil and booty shorts, we might have been free a hundred years sooner”. “Se gli schiavi avessero avuto gli oli per il corpo e i pantaloncini corti, avremmo ottenuto la libertà con cento anni di anticipo”.

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