“Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online” è Il documentario/thriller proposto da Netflix che rilancia un caso di cronaca esploso nel caotico regno del web.
Il documentario in tre puntate di Mark Lewis, che ripesca dalla recente cronaca nera il caso di Luka Rocco Magnotta, va ad arricchire il nutrito catalogo di riflessioni su Internet, e sulla rivoluzione tecnologica in senso generale, che negli ultimi anni caratterizza molte opere fiction e non, sui piccoli o grandi schermi così come sulle pagine scritte, nel tentativo di curiosare nelle molteplici pieghe di un mezzo che non smette di porre interrogativi e svelare risvolti inediti.
La rivoluzione che stiamo vivendo nasconde molti punti oscuri ed è oggettivo lo sforzo con cui si cerca di tracciarne una mappa, spesso con la lucida consapevolezza di non poterci riuscire. In un affannato work in progress fatto di illuminanti approssimazioni che aggiungono ogni volta un ulteriore tassello a un puzzle che potrebbe non arrivare mai ad essere completo.
Ragionare sul web è uno dei generi del nuovo millennio. “Giù le mani dai gatti” lo fa riportando alla luce la detective story inconsueta che portò all’arresto di Luka Magnotta, un ragazzo canadese che sconvolse le community del web postando il video di se stesso nel raccapricciante atto di uccidere due gatti, e spingendo un gruppo di animalisti internauti a creare un gruppo su Facebook per identificare l’autore della terribile efferatezza, tracciarne i movimenti e consegnarlo alla giustizia. Con i tempi e i metodi del digitale, tanto potenti e intuitivi quanto fini a se stessi senza un intervento di una più ‘analogica’ e quindi lenta ma implacabile indagine della polizia.
Di frame in frame, di deduzione in deduzione, come degli Sherlock Holmes armati di mouse, gli utenti della community di Facebook riescono a svelare i vari strati della psiche malata di Magnotta, ad anticiparne le mosse, ma anche a creare un angosciante ‘effetto mirroring’ per uno, come il serial killer in questione, che seppe amplificare la sua identità narcisistica proprio utilizzando tutti gli strumenti che il web gli metteva a disposizione. Stuzzicandone la voglia di notorietà.
Ed è questo uno degli interrogativi del documentario: in che misura, la genuina attenzione e l’investimento emotivo degli investigatori da divano ha alimentato il desiderio patologico del serial killer di perpetrare i suoi crimini? Non solo uccidendo anche altri gatti, ma passando poi al livello successivo: l’omicidio di un essere umano, ripreso da una telecamera e fatto circolare nell’universo privo di controllo di Internet.
E in che misura e soprattutto da che momento, le tradizionali tecniche investigative possono o devono avvalersi del materiale disponibile sulle molteplici piattaforme prima che un crimine venga commesso? Quello di Luka Magnotta, e per carità di spoiler non andremo a svelare ancora di più, è un caso emblematico del rapporto morboso che può instaurarsi fra una personalità disturbata e i suoi ‘haters buoni’, e del numero, sempre meno infinito, di scalini che dalla superficie portano al sordido e brulicante mondo del dark web.
Quanto le nostre azioni, semplici come digitare un post, pesano sul destino di persone malate o depresse che cercano su Internet una liberazione dal peso che schiaccia la loro vita quotidiana?
Quello che emerge dal documentario di Lewis è la certezza che nel mondo racchiuso in una mappa dalle coordinate ancora scarabocchiate e sfocate, ognuno di noi interpreta un ruolo, ognuno è presenza scenica attiva, responsabile, verso se stesso e verso gli altri, di ogni sua minima azione. E che quella salvifica zona franca che segna la netta e rassicurante distinzione fra realtà e finzione, serio e faceto, sano e tossico si sta assottigliando sempre di più.