È David Fincher il grande sconfitto della 78esima edizione dei Golden Globes. Il suo Mank, ai nastri di partenza con ben 6 candidature, è stato snobbato dalla giuria della Hollywood Foreign Press Association. Nemmeno la favorita Amanda Seyfried – nel girone delle attrici non protagoniste per commedia o musical –  li ha sedotti. Le è stata preferita la Jodie Foster di “The Mauritanian”, il film-inchiesta sugli abusi subiti da un detenuto mauritano nel carcere di Guantanamo, ancora inedito in Italia.

Curatissimo in ogni dettaglio, Mank dovrebbe riscattarsi nella notte degli Oscar del 25 aprile quando, con ogni probabilità, entrerà in competizione con un altro numero nutrito di candidature.

È stata la serata di Sacha Baron Cohen con il suo “Borat – Seguito di film di cinema”, da noi sonoramente e serenamente bastonato, che ha prevalso su dei concorrenti a dir la verità poco agguerriti. I critici hanno premiato la comicità grossolana di Cohen che ha avuto un maggior effetto in una patria stressata dall’effetto Trump. E così l’eclettico artista britannico, senza grande fatica né ispirazione, ha bissato il successo del 2007 (quando alla Casa Bianca c’era Bush) oltre ad aggiudicarsi, stavolta, anche il premio come miglior attore protagonista in film commedia-musicale. I repubblicani gli portano decisamente fortuna.

Baron Cohen è anche nel cast del notevole “Il processo ai Chicago 7” (lo trovate su Netflix) che si porta via uno dei premi più interessanti anche in vista degli Oscar, ossia quello per la sceneggiatura, firmata da Aaron Sorkin.

L’altro pezzo forte della cerimonia 2021 è stato “Nomadland” premiato come miglior film drammatico e per la regia della cinese Chloe Zhao. Dopo il Leone d’oro a Venezia, un altro prestigioso riconoscimento va al road movie ‘in furgone’, incentrato sugli esclusi dal sogno americano durante la crisi economica scoppiata negli Stati Uniti del 2007. Un premio simbolicamente importante perché “Nomadland” ha l’impronta indelebile del cinema d’autore indipendente, oltre a schierare una delle attrici più brave di ogni secolo, Frances McDormand, a cui però è stata preferita la Andra Day di “The United States vs, Billie Holliday”, il biopic sulla leggendaria cantante jazz e blues: un’altra pellicola da mettere nella lista delle cose da fare.

Caso Fincher a parte, sono finite le sorprese. Scontato, purtroppo, il premio postumo assegnato a Chadwick Boseman per “Ma Rainey’s Black Bottom” (lo trovate su Netflix) ultimo ruolo interpretato dalla compianta ‘Pantera Nera’.

Così come rientra totalmente nei pronostici la vittoria di Daniel Kaluuya per “Judas and the Black Messiah”. Da tenere d’occhio invece “I Care a Lot”, il film che ha permesso a Rosamund Pike di accaparrarsi il premio come miglior attrice protagonista in un film commedia-musicale. Una categoria a cui il film appartiene però di sbieco perché si tratta più di un action-crime con intarsi da black comedy in cui una strepitosa Pike è la spietata tutrice legale che raggira gli anziani delle case di cura, prima di scegliere la preda sbagliata e diventare il bersaglio di una ritorsione.

Intrigante e profetico, forse, il premio al miglior film straniero, il coreanoMinari” di Lee Isaac Chung che secondo alcuni potrebbe seguire il solco tracciato da “Parasite” ed essere più di una semplice comparsa per la consegna delle statuette più importanti.

Chiudiamo con il premio che fa esultare l’Italia, quello assegnato a Laura Pausini per “Io sì (Seen)” la canzone che accompagna “La vita davanti a sé”. Disponibile su Netflix, il film con Sophia Loren racconta la storia di Madame Rosa, una superstite dell’Olocausto che si prende cura dei figli delle prostitute nel suo appartamento di Bari, formando una insolita famiglia allargata.

 

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