SULLA SCIA DEL SUCCESSO DELLA VERSIONE SPIELBERGHIANA DI “WEST SIDE STORY”, VINCITORE DEL GOLDEN GLOBE E IN ODORE DI OSCAR, VI PROPONIAMO 5 REMAKE E I LORO MODELLI ORIGINALI. SI’, LO SAPPIAMO, CE NE SONO MOLTI ALTRI, MA ABBIAMO SELEZIONATO I FILM CHE POTETE VEDERE SULLE PIATTAFORME PIU’ POPOLARI. GRATIS O CON UN ABBONAMENTO FLAT.

SUSPIRIA

Originale (1977) di Dario Argento (Amazon e Netflix)

Remake (2018) di Luca Guadagnino (Amazon e Raiplay)

Non ce ne voglia Luca Guadagnino, ma il Dario Argento degli anni 70 era un regista inarrivabile per spericolatezza, virtuosismo e fascino visivo. Lo sa bene anche il regista di “Chiamami col tuo nome”, che ha infatti dichiarato di aver voluto omaggiare il maestro senza velleità di imitazione. Con “Suspiria” nel 1977, Dario Argento mette il sigillo al suo primo horror soprannaturale e al primo capitolo della Trilogia delle Madri. La scuola di danza di Friburgo è un covo di streghe e terrore che Argento cattura e propone con libero delirio. Nel remake del 2018 spunta la colonna sonora di Thom Yorke dei Radiohead e un cast di attrici affermate: Dakota Johnson, Chloe Grace Moretz e Tilda Swinton. L’azione si sposta nella Berlino del Muro la cui ombra incombe su una riflessione meno parossistica ma convincente sul Male, che avvolge le vicissitudini di una ballerina e di uno psicoterapeuta, chiamato a scavare nel mistero di un’antica religione demoniaca.

ROBOCOP

Originale (1987) di Paul Verhoeven (Sky)

Remake (2014) di José Padilha (Now Tv)

Il primo film hollywoodiano dell’olandese Paul Verhoeven (sì, quello di “Basic Instinct”) mette in mostra una società tecnologica infernale dominata da controversi sistemi informatici. Al centro del dramma-action sci-fi, c’è un superpoliziotto cyborg giustiziere creato in laboratorio, una specie di Frankenstein fatto di led e lamiere innestato sul corpo in macerie di un agente di polizia, mutilato e ucciso dai malviventi di Detroit. La sua memoria però rimane intatta così come le sue emozioni. E questo provoca il corto circuito tra essere umano e macchina. Nel 1987 sembrava solo un film di cassetta, ma “Robocop” ha acquisito col tempo lo statuto di perspicace precursore del cinema di fantascienza a venire, più volte saccheggiato. Il remake lo dirige, nel 2014, il brasiliano José Padilha, con a disposizione effetti speciali decisamente più evoluti e un maggior interesse per i limiti che la legge può o non può superare. Verhoeven invece prediligeva il conflitto emozione vs metallo. Entrambi denunciano una società disturbante, propagandistica e reazionaria. Però il remake di Padilha fa il verso ai supereroi dei cinecomics, mentre il “Robocop” di Verhoeven è uno calco a sé, originale e indipendente che, a differenza del rifacimento, rimane nettamente più impresso a fuoco.

LE COLLINE HANNO GLI OCCHI

Originale (1977) di Wes Craven (Amazon)

Remake (2006) Alexandre Aja (Disney +)

Negli anni 70 la forza sociopolitica degli horror aveva un maggior propulsione, oppure semplicemente era tutto il cinema ad avere una valenza e un impatto più efficace nel dipingere le sfumature della società. Altri tempi, altre percezioni. Wes Craven mette in mostra… i mostri, le devianze, la crisi dell’unità familiare, l’esistenza di un’America nascosta, primordiale e dal cannibalismo insaziabile. Un film grezzo rispetto al suo gemello, diretto 30 anni più tardi da Alexandre Aja, che sforna invece una pellicola più pulita e aggiornata agli standard degli spettatori odierni. Il minimo comun denominatore è la pulsione violenta che vibra dentro la civiltà, come un ronzio eterno, un sospiro latente, che è pronto a trasformarsi in frastuono e a sprizzare sangue. E poi la contaminazione, i test nucleari finiti a schifio che vanno intesi più in generale come quella serie di errori raccapriccianti commessi dalla società con il sorriso di plastica. Errori che, una volta commessi, appunto, hanno conseguenze abnormi che finiscono recintate in qualche avamposto sperduto con un habitat diverso e in cui le comunità dimenticate con il deserto al posto dell’anima si alimentano di simbiosi orripilanti.

I MAGNIFICI SETTE

Originale (1960) di John Sturges (Now tv)

Remake (2016) di Antoine Fuqua (Netflix)

L’epico western di John Sturges era già a sua volta un remake de “I sette samurai” di Akira Kurosawa, ma nel nostro immaginario americanizzato l’opera di Sturges ha lasciato un segno più indelebile. Se poi avessimo dovuto scommettere su un regista in grado di cimentarsi con questa storia di mercenari retti e giusti, avremmo pensato proprio ad Antoine Fuqua che sin da “Training Day” sembra avere un interesse speciale per il tema dell’amicizia virile, e per le squadre che collaborano con un obiettivo da raggiungere confrontandosi con l’onore e la giustizia. Il suo omaggio è politicamente corretto e esteticamente ineccepibile. Il cast (su tutti Denzel Washington) a cui è stato affidato il cinturone ha solamente bisogno di tempo per essere assimilato nel museo delle leggende a cui appartengono invece pistoleri come Yul Brynner, Steve McQueen o Charles Bronson. Ai cinefili posteri l’ardua sentenza. Per il resto, il ballottaggio premia il caposaldo del 1960. Bisogna tuttavia ammettere che il western, fra tutti i generi, è quello che fa più fatica ad imporsi nelle sue versione 2.0, essendo un padre/genere fondatore del cinema. Ogni tentativo di riproporre quegli scenari, di riaccendere l’epopea, deve faticosamente sgomitare per essere preso sul serio fuori dall’ambito puramente accademico, e per radunare un pubblico disinteressato a cowboy, stracciabudella e cavalli al galoppo nei grandi spazi aperti. Il western con i suoi temi cardine è in realtà presente in moltissimo cinema americano, spesso travestito da action metropolitano, fantascienza, e altro. Ma questa è semmai materia per un altro articolo.

OMEN – IL PRESAGIO

Originale (1976) di Richard Donner (Sky, Now Tv)

Remake (2006) di John Moore (Disney +)

David Seltzer scrive il romanzo e la sceneggiatura. Richard Donner cura la regia. Gregory Peck è la star hollywoodiana. Uscito circa tre anni dopo “L’esorcista” e quasi un decennio dopo “Rosemary’s Baby”, “Il presagio” è, senza mettersi a fare classifiche, uno degli horror demoniaci da dizionario del cinema, che gronda spavento e orrore parlandoci dell’avvento del temuto Anticristo: un bambino di stanza a Londra, figlio non biologico di una coppia di coniugi (e proveniente dal ventre gravido di segreti della Santa Romana Chiesa) che uccide in modo efferato fra decapitazioni e impiccagioni. L’ingrediente migliore del film è questa opprimente atmosfera, il senso del diabolico che traspira di indicibili segreti, con la Bestia invincibile pronta a regnare sulla Terra. Il film di Donner è più allusivo e meno esplicito de “L’esorcista”, preferisce puntare sull’ineluttabilità del Male che si infiltra, devastante e sulfureo, nella banalità del quotidiano. A confrontarsi con l’originale, nel 2006, è John Moore che con astuzia da marketing ingaggia nel cast un’invasata Mia Farrow (la protagonista di “Rosemary’s Baby”), sperando in una sorta di effetto vintage di rimbalzo. Curiosa inoltre la scelta di distribuirlo a partire dal 6 giugno 2006 (6-6-6). Nessuna delle due idee ha contribuito al successo del film, che contiene qualche attualizzazione ai temi e ai disastri da dibattito del 2006. Cupo e dannato, l’Anticristo di John Moore è un buon lavoro da mestierante, ma è privo dell’aura maledetta e profetica del suo predecessore.

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