LASCIARSI UN GIORNO A ROMA, DI E CON EDOARDO LEO SU SKY, E’ UNA COMMEDIA ROMANTICA GRADEVOLE E INTELLIGENTE, MA IL GIUDIZIO FINALE DIPENDE DAL PUNTO DI VISTA DA CUI LA SI GUARDA (OVVERO COSA SI INVENTA QUESTA VOLTA L’ALGORITMO PUR DI NON DARE UN VOTO UNIVOCO)

Il dato

Il film di Edoardo Leo al suo esordio su SKY ha totalizzato 1 milione di spettatori medi, per la piattaforma è la miglior commedia sentimentale italiana degli ultimi tre anni e il terzo film Sky Original più visto di sempre. Il tono dei comunicati stampa Sky è trionfalistico, ma in effetti questo titolo ha catalizzato l’attenzione di tantissimi e un gradimento altrettanto generale, come meglio ancora dei numeri testimonia il passaparola (‘oh, l’hai visto l’ultimo di Leo? Carino no?’)

La storia

Roma, giorni nostri leggermente futuri, post pandemia. Tommaso (Edoardo Leo) è uno scrittore di discreto successo che non riesce a finire il suo terzo libro perché non vuol piegarsi al ‘lieto fine editoriale’, e che per continuare a guadagnare tiene segretamente una posta del cuore su una rivista femminile, firmandosi con uno pseudonimo ispirato al grande romanziere Gabriel Garcia Marquez. Zoe (Marta Nieto), la bellissima trentasettenne spagnola con cui vive da 10 anni, manager tostissima di una ditta hi-tech che produce videogiochi, un giorno decide di scrivere alla posta di Marquez (senza sapere chi sia) rivelando di non essere più innamorata del suo uomo, e di non sapere come lasciarlo né come dirgli che ha accettato una promozione lavorativa per un posto a Londra. A Tommaso/Marquez cade il mondo addosso, ma cerca di reagire instaurando un rapporto epistolare tra il suo saggio pseudonimo e Zoe, provando a capire se sia possibile salvare il suo amore, che tra l’altro non sapeva proprio fosse in pericolo.
Parallelamente Umberto (Stefano Fresi), il migliore amico di Tommaso, ha deciso di lasciare la moglie, Elena (Claudia Gerini), perché col lavoro che fa -lei- non ha più tempo per il loro rapporto. Elena è la sindaca di Roma, e in effetti anche se ci prova non riesce a dedicare a marito e figlia la stessa attenzione che dà alle problematiche delle pari opportunità e delle buche della capitale. Tommaso cercherà di salvare sia la sua storia, sempre in incognito, che quella dell’amico che continua a chiedergli consigli, riuscendo solo a metà nell’impresa.

Il tema

Cosa succede ai rapporti di coppia quando le donne sono tanto più avanti, professionalmente ed economicamente, degli uomini con cui stanno? Se non sono le donne ad avere cura delle storie d’amore come hanno fatto dalla notte dei tempi, esisteranno ancora storie d’amore?
Dichiaratamente Edoardo Leo, anche regista e autore del soggetto del film, pone sul piatto il tema dell’amore ai tempi della parità di genere. Ha rivelato di aver voluto fare un film che non fosse solo una commedia, e che, parole sue, riflettesse sui passi indietro che gli uomini devono fare per permettere alle donne di realizzarsi pienamente.

Il giudizio

Il film è innegabilmente piacevole. Non è un film comico, è una commedia sentimentale come il suo autore voleva, e quindi come è giusto che sia si sorride più che ridere. Ha uno dei punti di forza in una rappresentazione di Roma che è la vera dichiarazione d’amore del regista, la vera passione eterna che non tramonterà a seguito di noia, incomprensioni e complessi di inferiorità irrisolti. Una delle Rome (si potrà dire?) più belle tra quelle viste sullo schermo ultimamente: elegante, centrale, storica, monumentale, colta ma disincantata, fighetta ma sincera, è la Roma che un romano vorrebbe, sono gli scorci su cui il cittadino si concentra per non vedere quelli degradati che deturpano sia la città che l’idea di essa. E’ la Roma che si ammira da quella meraviglia che è Ponte Sisto. È una città vista, appunto, con gli occhi di un innamorato, che ne rileva solo i pregi scegliendo di ignorarne i difetti, per poterla amare meglio: non siamo in un film realista o di critica sociale, e la Roma di Edoardo Leo è bella e fascinosa e leggermente sfocata come lo è la New York di Woody Allen. A proposito di Woody Allen, il richiamo alle storie metropolitane del grande regista newyorkese c’è, a volerlo vedere: il protagonista leggermente spaesato ma più lucido di chi lo circonda, l’amico con cui percorre le strade della città e i grandi temi dell’amore e la vita chiacchierando senza interruzione, il rapporto di coppia sviscerato dal punto di vista concettuale e quindi sempre in bilico, il gruppo di amici pseudo intellettuali con ogni ‘diversità’ politicamente corretta accettata e quasi esibita, le cene in cui ognuno dice la sua in una girandola di battute a doppio fondo da rimasticare dopo la visione del film. Certo, Woody è Woody e le debite proporzioni vanno fatte, ma il modello dello schema ‘commedia intelligente a piedi in centro città’ potrebbe essere proprio quello.

Ma il giudizio, il giudizio globale sul film, direte voi, qual è? E’ riuscito, o non lo è?

Per non prendere una posizione netta, l’algoritmo dice che DIPENDE, anche se, come ha detto qualcuno, ‘dipende’ è una landa sconfinata e desolata dove pascola un vigliacco modo di non scegliere da che parte stare, o di ammettere la propria insipienza.
Da che punto guardi il mondo tutto dipende, diceva il compianto Pau dei Jarabe de Palo, tanti anni fa. Dalla prospettiva da cui osservi questo film, forse, ne dipende il giudizio.

Se si guarda dopo aver letto la nostra recensione pensando a un film alla Woody Allen, meglio lasciar perdere.

Se si guarda aspettandosi la solita commedia italiana anni Duemila, o sguaiata o insapore, per Lasciarsi un giorno a Roma si potrebbe anche gridare al capolavoro. Ben scritta e compatta, ben recitata e girata, la commedia si snoda tra svelamenti non del tutto aspettati e svolte narrative efficaci e coerenti, con personaggi definiti e mai accessori, dentro una cornice perfettamente a fuoco nella sua bellezza leggermente pittoresca. La maschera dell’Edoardo Leo un po’ sciamannato e terra-terra per esempio di Perfetti Sconosciuti si dimentica presto: il personaggio in scena qui è destinato a far immedesimare lo spettatore che guarda. Onesto, intelligente, innamorato, un po’ retrogrado per abitudine culturale ma determinato a migliorarsi, cerca di risolvere questioni più grandi di lui con un colpo di genio, e pazienza se alla fine non funziona. Anzi, questo lo rende più simpatico (la simpatia è la sorella maggiore novecentesca dell’empatia, che va più di moda adesso).
Da questo punto di vista, il film è un piccolo gioiello, rappresentante degno di un genere che in America (e anche Francia e Gran Bretagna) fanno divinamente da cent’anni, la commedia sentimentale. Buono perché non scopiazzato, ma aggiornato e adattato alle atmosfere e alle sensibilità culturali del nostro paese. Quindi è un 7+.

Se invece il film si guarda come il regista ha chiesto di fare, ovvero come di una riflessione sui rapporti tra uomo e donna quando sia la donna la più forte, allora si potrebbe provare delusione. La storia non è del tutto edificante, né pensosa, né soprattutto dichiaratamente femminista come i/le/@ fan del politicamente corretto ambiscono sempre in questi casi.
Delle due coppie, l’una finisce per risolvere i propri problemi a favore di una maggiore libertà della donna, con l’uomo che dopo diversi tormenti decide di fare quel passo indietro che le donne hanno fatto per secoli, millenni. Ma l’altra coppia, quella di cui il regista è il volto maschile e quindi quella che porta il ‘significato’ della storia, risolta non lo è per niente. Per Edoardo/Tommaso non c’è lieto fine: la donna che sceglie il lavoro piuttosto che l’amore è perduta, la coppia fallisce. Non solo: onestamente questo personaggio femminile è odioso. E’ una donna in carriera con tutti i vizi peggiori degli uomini nella stessa posizione: fredda, calcolatrice, prevaricatrice e, come i sottoposti si incaricano di farle scoprire, definitivamente stronza. Alla fine della storia Zoe ci ripensa e vorrebbe cambiare le sue decisioni, riprovarci, rimanere col suo compagno a Roma e non accettare la promozione, ma Tommaso a quel punto dà il colpo di reni che Edoardo Leo chiederebbe a tutti i suoi ‘colleghi uomini’: la lascia andare. Così facendo la perde, però sceglie di non legarla, non le chiede di sottomettere le sue aspirazioni a quelle di lui, intellettuale tutto sommato provinciale e chiuso in sé. Ma di sicuro non è lui a rinunciare a qualcosa, rimanendo fermo immobile nella sua posizione di partenza. Ecco, forse è un po’ poco, come aspirazione ‘femminista’, e, dopo le dichiarazioni sbandierate dal regista a riguardo, può risultare una scelta deludente. Ma secondo noi invece, alla fin dei conti, questo finale salva il film, che per fortuna si rivela non una storia ‘a tema’: nessuno spiegone finale, nessuna illusoria ricomposizione facile dei ruoli moderni all’interno della coppia. I due innamorati protagonisti non ce la fanno, nessuno dei due vuole abbandonare per l’altro la vita che ha scelto per sé, ognuno preferisce essere egoista per non dover un giorno rinfacciare all’altro la propria non-felicità.
Non sceglie, Leo, il lieto fine, come il suo personaggio non lo accetta per il suo libro: allo stato attuale, nella realtà delle relazioni, questo è. Un uomo ancora non rinuncia a sé stesso per consentire alla sua compagna di realizzarsi, e una donna spesso non rinuncia più alle sue ambizioni per la buona pace domestica. Cosa questo significhi per le storie d’amore e per il concetto di famiglia ci vorrebbero saggi di sociologia e psicologia per dirlo, non certo una commedia sentimentale il cui scopo è lasciar pensare continuando a sorridere. In definitiva, quindi, il coraggio di Edoardo Leo di essere onesto innanzi tutto con sé stesso, è un altra nota positiva, per cui, azzardiamo, si conferma il 7+ del giudizio.
Poi, certo, tutto dipende…

Lascia un commento