In attesa della cerimonia del 25 aprile, che consegnerà i premi più ambiti dell’anno, vi proponiamo ogni giorno un film diverso fra i trionfatori del passato.
Leggi: Il Nostro Oscar Quotidiano/1
MILK
(AMAZON, TIM VISION, RAKUTEN, CHILI, APPLE TV, GOOGLE PLAY. E SU SKY DAL 20 APRILE)
MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA: SEAN PENN
MIGLIOR SCENEGGIATURA ORIGINALE: DUSTIN LANCE BLACK
Firmando il biopic su Harvey Milk, il primo omosessuale dichiarato ad aver avuto accesso a una carica politica nell’America degli anni 70, Gus Van Sant completa la sua strategia di intrusione a casa dell’acerrimo avversario, già cominciata con “Will Hunting – Genio ribelle” e continuata con “Scoprendo Forrester”, conquistando, come outsider e parlando di outsider, la giurisdizione hollywoodiana. Per mettere a punto l’invasione, decide di adattarsi agli schemi del cinema mainstream, ma se ne impadronisce per provocare un corto circuito in quella cultura che, per comodità grossolana, viene chiamata ‘di regime’.
Gus Van Sant si sgancia dal labirinto narrativo che mescolava i piani temporali di “Elephant” o le ipnotiche intermittenze sgranate con cui guardava al sottobosco degli skaters di “Paranoid Park”. I tormenti esistenziali dei protagonisti della sua ‘Trilogia della morte’ lasciano il campo a una messa a fuoco dal respiro più classico per raccontare la sfida di un ‘bello, gay e dannato’ all’establishment ultraconservatore. Il campo di battaglia è il quartiere Castro nella San Francisco degli anni 70, riprodotta in tutto il suo incanto vintage dalla fotografia di Harris Savides. Milk è il paladino della minoranza gay che esce dalle retrovie di un mondo parallelo, supera il solipsismo dell’emarginato e attacca il nemico nel gioco in cui quest’ultimo è solitamente imbattibile, ossia la politica. Azzardandosi perfino ad utilizzare le stesse armi per sconfiggerlo: la retorica e la comunicazione.
Il film di Van Sant è, tra le tante cose, anche è un saggio sul potere della retorica e dell’immagine nella comunicazione, perché Harvey Milk sapeva radunare le folle, accaparrarsi il consenso facendo vibrare le corde giuste, infondere coraggio e innescare l’indignazione. In fondo, faceva spettacolo, che è il rovescio della medaglia nella comunicazione politica di stampo americano e non solo.
Un biopic che trova in Sean Penn l’interprete carismatico, capace di liberarsi della sua immagine virile per sfoggiare mimica e gesti della sua celata parte femminile ma senza esagerate sottolineature caricaturali. Sean Penn riesce a mettere in comunicazione le sue anime interiori, nello stesso modo in cui Harvey Milk riuscì a mettere in comunicazione i diseredati con il resto dell’universo, facendosi intermediario di un sogno di tolleranza e di emancipazione. Non tanto contro lo schema politico, quanto contro le istanze più irrigidite e ottuse della maggioranza silenziosa.
LA SCENA CULT