In attesa della cerimonia del 25 aprile, che consegnerà i premi più ambiti dell’anno, vi proponiamo ogni giorno un film diverso fra i trionfatori del passato.

 

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L’ESORCISTA

(NETFLIX, NOW TV, INFINITY)

MIGLIOR SCENEGGIATURA NON ORIGINALE: WILLIAM PETER BLATTY

MIGLIORI EFFETTI SONORI: ROBERT KNUDSON, CHRISTOPHER NEWMAN

 

Il premio Oscar per i migliori effetti sonori è solitamente snobbato dal grande pubblico e cattura principalmente l’attenzione delle maestranze, ma chi ha visto ‘l’horror più famoso di tutti i tempi’ specialmente in sala o con un sistema dolby surround, sa che il suono ne “L’esorcista’ possiede un’accentuata funzione narrativa. Ne sia d’esempio la sequenza in cui la piccola indemoniata Regan viene sottoposta agli esami clinici in ospedale, dove il rumore assordante dei macchinari contribuisce a quell’accumulo asfissiante di inquietudine, mistero e suspense che avvinghia lo spettatore dall’inizio alla fine della pellicola.

L’altro Oscar, per la sceneggiatura non originale, se lo aggiudica William Peter Blatty, autore del romanzo da cui il film è tratto, adattando di fatto se stesso e consegnando uno script su cui William Friedkin, reduce dal premio Oscar per la miglior regia con “Il braccio violento della legge’, carica tutto il suo visionario e ossessivo talento registico, con una lente fortemente realistica e documentaristica, assegnando agli effetti speciali un ruolo prominente e alla violenza esplicita la ragion d’essere del film stesso.

La visione de “L’esorcista” è un’esperienza sensoriale totalizzante e implacabile. Una volta intrapresa, non lascia scampo, non c’è ritorno, perché si è come schiavizzati da uno sguardo che ha superato i confini rassicuranti della normale esperienza visiva per diventare un’odissea a capofitto nelle pulsioni più maligne e negli istinti più turpi.

Il demonio non è latente, non si percepisce, non gioca a nascondino, ma si mostra in tutta la sua traboccante atrocità, violando il circuito fra mente e corpo, entrambi succubi degli attacchi di una forza superiore che aggredisce psicologicamente e mostra l’ineluttabile fragilità fisica dei mortali.

Molteplici sono state le letture sociologiche. Come tutti gli horror che si rispettano, e questo è l’horror imprescindibile per eccellenza, “L’esorcista” ha mostrato nel modo più spaventoso e ripugnante i timori ancestrali che covano sotto la superficie della società, meglio se benestante come quella a cui appartiene la piccola Regan: l’emersione di una mostruosità non controllabile, visceralmente legata ai massimi sistemi. È un horror sotto i cui colpi crolla il rifiuto razionale di assegnare al male un volto extra/ultra terreno capace di incrinare l’utopia di una società calda, liberale e accogliente con la sporcizia, la blasfemia, il buio, il freddo e il disordine.

Ma è stato visto anche come una metafora generazionale, in un periodo post sessantottesco (il film è del 1973) in cui la frattura fra giovani troppo ribelli e adulti responsabili convinceva questi ultimi della necessità di togliere il diavolo dalle teste dei figli. C’è poi il riferimento alla crisi della Fede da cui è afflitto Padre Karras, dilaniato dal dubbio e dal senso di colpa, su cui incombe il conflitto eterno ed irrisolto fra luce e tenebra.

Nella storia del cinema e in particolare nell’horror, “L’esorcista” si è guadagnato un posto a se stante, come se si trattasse di un valore matematico e semantico di riferimento al quale si può aggiungere o dal quale si può sottrarre, trascendendo la sua dimensione filmica per approdare a quella di ‘segno’.

 

LA SCENA CULT

 

 

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