ABBIAMO VISTO “CITTA’ DEL PARADISO” SU AMAZON PRIME, UNA SERIE ROCK CHE SI AFFACCIA (CON PRUDENZA) SUL SOPRANNATURALE, LEGANDO IL MONDO DELL’OCCULTO ALLA CAOTICA GIUNGLA DELL’INDUSTRIA DISCOGRAFICA. NE APPROFITTIAMO PER DARVI QUALCHE CONSIGLIO DI VISIONE SE VI PIACE IL ROCK MESCOLATO AI MISTERI ESOTERICI.

È curioso che il consiglio di visione di “Paradise City” sia VM18, perché è a tutti gli effetti un prodotto che rientra pienamente nel genere Young Adult, destinato per stile e contenuti anche a un pubblico di adolescenti. Anzi, la prospettiva con cui si guarda al rock, non solo come musica, ma come lifestyle, sembra proprio quella che deriva dall’accumulo ormai debordante e inarrestabile dei talent show. Un mondo del rock disegnato unendo i puntini per formare una sagoma artificiosa, pulitina e digitalizzata. L’altra derivazione abbastanza lampante ricorda gli scenari pop-apocalittici di “Twilight” e ogni personaggio sembra portare con sé i cosmetici, i piercing e la ‘attitude’ di un genere intriso di romanticismo adolescenziale.  Diretto da Ash Avildsen, figlio del più noto John che vinse l’Oscar con “Rocky”, “Paradise City” è un teen-musical-drama che racconta la storia di una band, i Relentless, tornata alla ribalta nella Los Angeles odierna quando il suo leader, Johnny Faust, decide di lasciare l’esilio e ributtarsi nella mischia. Intanto, un altro giovane rockettaro in erba, Simon, si addentra nella città degli Angeli con ambizioni da star. I loro percorsi sono destinati ad intrecciarsi, incorniciati da manager griffati, groupies avvizzite, figli illegittimi, impresari nostalgici dell’epoca dei cd, dinosauri del rock, rivali in amore e padri assenti. Insomma tutto il circondario che ci si aspetta da un plot di questo tipo. E l’occulto? Per essere presentata come serie tv che lega il rock all’inferno, all’adorazione del diavolo e alla magia nera, ce n’è davvero poco e quel poco è anche piuttosto annacquato in dialoghi forzati e in personaggi che devono essere controversi perché così prevede il piano di studi, ma l’esame è andato male perché non si va oltre i confini sterilizzati del dramma per teenager, di quelli che piacciono anche alle mamme (e quindi non sono veri drammi per teenager), accompagnato da una colonna sonora ripassata in candeggina. Può sembrare un paradosso, ma il motivo di interesse di “Paradise City” risiede proprio nella sua mediocrità, nella pacchianeria studiata a tavolino con cui viene ritratto lo stile di vita rock oggi. Una visione che immalinconisce i più anziani – se conservano, speriamo per loro, in qualche angolino dell’anima il ruggito di una volta – e condanna i giovanissimi a una sorta di inconsapevolezza, di analfabetismo. Perché del rock ne esce fuori una nozione studiata a tavolino e non la vera, sporca, eterna essenza.

L’ALGORITMO UMANO CONSIGLIA:

AMERICAN SATAN                                                                (CHILI)

È il film da cui è stata tratta la serie “Paradise City”, per cui guardarlo aiuta a collocare i personaggi, come se si trattasse di un lungo preambolo per riacchiappare i fili della trama e scoprire il passato dei protagonisti. I Relentless vanno a Los Angeles a caccia del sogno e lì in California scattano le divergenze e gli imprevisti, le scorribande sessuali ‘gravide’ di conseguenze, tentativi di sacrifici umani, risse e sniffate di coca. Il titolo è giustificato ma, come per la serie, c’è più glassa sopra la torta che torta vera e propria. Non disegna tanto una realtà, ma come questa viene ormai rappresentata per arrivare al consumistico target adolescenziale. Prodotto molto americano con giovani star di quelle terre lì ma meno esportate ed esportabili di altri. Se però l’unità di misura sono le visualizzazioni su youtube, instagram e social annessi, la sostanza cambia di molto. Ormai il patto con il diavolo si stringe al tavolo dei like. Il frontman della band e del film è Andy Biersack, mansueto metallaro anche nella vita reale, ex fondatore e cantante dei Black Veil Brides, passato ora a una carriera solista. Il film batte la serie tv, anche per la presenza di un sempre iconico Malcolm McDowell.

LE STREGHE DI SALEM                                              (SKY / NOW TV)

Con “Le streghe di Salem” facciamo un po’ più sul serio. Rob Zombie sa fondere horror ed heavy metal e il suo background da brutto, sporco e cattivo musicista del Massachusetts è una garanzia di liberatoria anarchia. Regista sottovalutato – ma visionario e gustosamente indisciplinato per come sa caricare di barocchismi il genere horror –  in questo film interpretato dalla moglie Sheri Moon, Rob Zombie si inventa il personaggio di una deejay che riceve un misterioso disco in vinile sul quale è incisa un’invocazione satanica. Dai solchi escono le note che aprono le porte dell’inferno e si configura il codice per il ritorno di un’orda di raccapriccianti streghe provenienti da un’antica maledizione. Le streghe di Salem vogliono governare il mondo attraverso la nascita del figlio di Satana dal grembo di un’eletta. Allucinato, blasfemo e con una colonna sonora che mette in playlist Bach, Mozart e Velvet Underground.

REMASTERED: DEVIL AT THE CROSSROADS                              (NETFLIX)

Avvolto dal fumo dei locali e da un alone di mistero demoniaco, Robert Johnson viene considerato uno dei più grandi bluesman di tutti tempi, uno di quelli che ha dato l’imprinting a un intero genere. La leggenda racconta di un mediocre chitarrista che scompare da un giorno all’altro per poi tornare, un anno e mezzo più tardi, con l’argento vivo nei polpastrelli e un’abilità straordinaria nell’accarezzare e pestare le sei corde. In quel lungo periodo sabbatico, sembra che Johnson abbia incontrato il diavolo in persona, da qualche parte, in uno sperduto incrocio del Mississippi e che gli abbia venduto l’anima. Con il suo talento, Johnson avrebbe in pratica piantato i semi del rock and roll e insegnato il mestiere a gente come Keith Richards, Jimi Hendrix, Led Zeppelin. Dalle sue 29 canzoni incise in soli 27 anni di vita, spurgano ancora storie di bassifondi, di corruzione dello spirito, di riti tribali e piantagioni di cotone. Con le limacciose acque del Mississippi a sorvegliare il tutto.

LA REGINA DEI DANNATI          ( TIM VISION/RAKUTEN/APPLE TV/ GOOGLE PLAY)

Tratto dal terzo romanzo della fortunata saga letteraria firmata da Anne Rice (cominciata con “Intervista col vampiro”), ma con riferimenti anche al secondo libro, “Scelti dalle tenebre”, è un horror non memorabile ma da recuperare, in cui si immagina che il vampiro Lestat, annoiato dall’eternità, fondi una band ‘nu metal’. La sua groupie più fedele e accanita è Akasha, scorbutica matriarca di tutti i non-morti. Risvegliata da quelle schitarrate poderose, vuole allearsi con il leader del gruppo per dominare la Terra trasformandola nel suo macrocosmo preferito: l’inferno. Lestat ne è attratto, ma il suo cuore immortale, e i suoi denti aguzzi, mirano anche alla carne giovane dell’umana Jesse. Le musiche del film le ha scritte il leader dei Korn, Jonathan Davis. Nel ruolo di Lestat non c’è Tom Cruise, ma il quasi sconosciuto attore irlandese Stuart Townsend.

 

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