Il Talento Del Calabrone (Amazon)
Voto: 7

 

Tensione e colpi di scena all’americana per un thriller con una storia ‘impossibile’, come il volo del calabrone (in teoria).

La prima impressione dopo aver visto il film, anzi mentre lo si guarda, è quella di avere a che fare con un prodotto non italiano. E non si intende come complimento o detrimento: è un dato ‘visivo’.
La confezione generale di questo thriller interpretato da Sergio Castellitto, Lorenzo Richelmy e Anna Foglietta è di altissimo livello, quasi patinata, per dirla da ‘utente dilettante’, sembra un film americano. La fotografia notturna e concentrata su luci e dettagli dei volti, l’ambientazione bluastra e hi tech di uno studio radiofonico collocato in un grattacielo milanese, la bellezza e l’eleganza dei costumi dei protagonisti, la gestione quasi coreografica dei movimenti dei comprimari: tutto contribuisce a creare una confezione ad orologeria, bella a vedersi e a godersi, come nei migliori thriller d’Oltreoceano, che sono il prototipo storico di questo genere.
Anche la trama ha poco di provinciale e niente di realistico, e l’insieme della situazione risulta plausibile solo se si accettano le premesse un po’ alla Criminal Minds.

Durante la diretta di uno show radiofonico condotto da Dj Steph, giovane dj idolatrato dai suoi fan ed eccezionalmente famoso sui social, un maturo signore dalla voce disperata si impadronisce del telefono e pretende attenzione, giurando che, se non l’avrà, si suiciderà portando con sé nella morte molte persone, dato che sta girando per Milano in un’auto con una bomba pronta ad esplodere.
Per dimostrarlo, fa saltare a distanza la cima di un grattacielo (vuoto). “Ho la tua attenzione ora, Stefano?”.
L’attenzione è ottenuta, sia quella di Steph/Stefano che quella degli spettatori.

Attraverso le richieste dell’uomo al telefono, che si presenta  solo come ‘Carlo’, si dipana lentamente la sua storia di disperazione e dolore, mentre la musica (di Bach, Mozart, del ‘buon vecchio Beethoven’) fa da meraviglioso sottofondo a un composto delirio di rimpianti e desiderio di vendetta. Il giovane Steph cerca di affrontare come può la situazione, anche se vacilla e si sgomenta, abituato com’è a parlare di biglietti omaggio e di fashion week milanesi. Ad aiutarlo nel frattempo è arrivato il colonnello dei carabinieri Rosa Amadei, prelevata direttamente da una serata al museo, e che conduce la delicata operazione, che di fatto tiene in ostaggio l’intera città, indossando la fondina della pistola su un vestito rosso da sera mozzafiato. Mentre dentro lo studio radiofonico si lavora per capire dove e chi sia il pazzo che minaccia la città, sui social gli utenti impazziscono, e le ‘interazioni’ vanno alle stelle, con l’inevitabile compiacimento del produttore e dei registi della trasmissione. Tutta la città sa cosa sta succedendo, perché succede in diretta, ma gli ottusi utenti, depersonalizzati dentro i commenti dei social, sono anche de-cerebrati e de-sensibilizzati alla violenza e alla realtà, e pur conoscendo la pericolosità della situazione in corso non ne colgono altro che il lato grottesco e quello eccitante, e mentre il dj è sempre più concitato e impallidisce sotto i tatuaggi, sul suo account continuano ad arrivare messaggi feriali tipo ‘Steph ti amo’ ‘Ma chi è sto matto?’ ‘fatelo attaccare che voglio telefonare’ e ‘i biglietti della week?’.

Trasparente il messaggio di critica dello stato in cui può ridurre l’abuso dei social network come unica forma di comunicazione e interazione umana. Trasparente ma non soffocante: il nerbo del film è la tensione che si crea tra Carlo e Steph, un gioco a due in cui l’elegante e coltissimo perdente che gira in macchina con una bombola di ozono pronta ad esplodere cerca di confrontarsi con la stella dei social, l’emblema della giovinezza e del successo ottenuto senza sforzi, e magari senza merito. Mentre l’investigatrice di rosso vestita fa il suo dovere e scopre, grazie all’intuito e, di nuovo, alla tecnologia, i trascorsi di quel pazzo e prova ad escogitare una strategia per fermarlo, Carlo e Steph stanno metaforicamente occhi negli occhi, e il giovane ha la tentazione di atteggiarsi ad eroe sperando di riportare la situazione alla normalità salvando nel frattempo la città da una catastrofe.
A rendere plausibile e coinvolgente una storia decisamente non realistica sono le performance di Sergio Castellitto, eccellente come e più del solito nel ruolo di un outsider che non ha niente da perdere ma che continua a perdere tutto, continuamente, senza scampo, e Lorenzo Richelmy, ottimo nel rendere le ambiguità di un personaggio affascinante ma in modo respingente, un egocentrico compiaciuto dal carisma innegabile ma in certo modo non chiaro, non pulito. Anna Foglietta, bellissima, è intensa e drammatica quanto serve, ma le sue uscite da ‘guardia’ con pistola puntata e frasi da telefilm crime (‘giuro che ti faccio saltare il cervello’) rendono il personaggio il più stereotipato e meno riuscito.

La tensione comunque è tenuta in modo egregio dal primo all’ultimo minuto, e la claustrofobia data dalle ambientazioni – lo studio radiofonico buio da cui nessuno può uscire e la Panda che gira incognita nella notte milanese – stringe costantemente lo spettatore, incalzato anche dalla musica avvolgente e ‘patetica’ nel senso etimologico del termine.
Il finale si avvicina e il colpo di scena, anzi il duplice colpo di scena, è davvero tale: nonostante alcune cose siano lasciate intuire a chi guarda, i veri motivi per cui Carlo ha deciso di compiere il suo gesto risultano davvero inaspettati, e addirittura sorprendenti.

Non volendo anticipare (sarebbe davvero un errore madornale), diremo solo che sono proprio questi motivi che danno senso e significato più ‘alto’ a un prodotto che altrimenti sarebbe rimasto un film di genere di ottima fattura: una critica impietosa di un fenomeno della società moderna si muove sotto i motivi personali del folle Carlo, che a questo punto tanto folle non appare più.
Fenomeno moderno ma che nasce dall’eterna prevaricazione del forte sul debole, dell’ottuso sul sensibile, del favorito dalla sorte sul perdente.
Se proprio si vuole fare un appunto, forse questo elemento fondante di critica risulta, essendo espresso solo alla fine, un po’ scolastico, quasi posticcio rispetto alla tensione reale della storia, che nel suo nucleo più vero è data dallo scontro eterno tra il vecchio leone capo del branco e il giovane sfidante, pieno di una forza e di una vitalità che di per sé non rappresentano un merito, e che andrebbero usate bene per farlo diventare, meritatamente, un vero leader.

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L’ALGORITMO UMANO E IL CONSIGLIO ALLA ROVESCIA

Se invece di guardare un film italiano con una storia immaginaria e atmosfere da classico film di genere americano preferite guardare un film italiano con una vera storia italiana e un classico stile italiano: 

 

L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (Netflix)

Sydney Sibillia , regista della saga/fenomeno della nuova commedia italiana (Smetto quando voglio), scrive e dirige questo film ispirato a una bizzarra storia poco conosciuta e realmente accaduta nell’irrequieto ’68 italiano. Un giovane ingegnere, per rivalsa personale e polemica col ‘sistema’, decide non solo di costruire e abitare una piattaforma al largo della costa riminese, in acque internazionali, ma di proporre alle Nazioni Unite e all’allora Consiglio d’Europa di dichiarare quella costruzione una vera e propria nazione, col nome di Isola delle Rose. Utopia, eccentricità, desiderio di affermazione e ribellione: questa storia folle ha avuto per quasi un anno il sapore della realtà, rendendo quello strano posto artificiale una vera micronazione, con tanto di nemici pronti all’attacco via mare: lo stato italiano infatti non accettò mai l’invenzione libertaria dell’ingegner Giorgio Rosa.
Il giovane visionario ha il volto di Elio Germano, e ad interpretare i politici italiani osteggiatori ed ottusi ci sono Fabrizio Bentivoglio e Luca Zingaretti.

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