PLEASURE                                                                    VOTO 6.5

(Mubi)

IN ESCLUSIVA SU MUBI, UN’INDAGINE DALL’INTERNO DELL’ATTUALE INDUSTRIA DELL’HARDCORE AMERICANO, ATTRAVERSO LA PARABOLA DARK DI UNA RAGAZZA SVEDESE SBARCATA A LOS ANGELES PER DIVENTARE UNA SUPERSTAR DEL PORNO. SOTTO LO SGUARDO DELLA REGISTA NINJA THYBERG, IL MONDO A LUCI ROSSE DIVENTA LO SPECCHIO DEFORMANTE DEL MERCATO DEL LAVORO CON I SUOI PARADOSSI SFAVOREVOLI AI DIPENDENTI E VANTAGGIOSI PER I PADRONI DELLA BARACCA. UN PUNTO DI VISTA, VIETATO AI MINORI, CHE ESPLORA I METODI DI UN SISTEMA DI SFRUTTAMENTO BASATO SU UN CONSENSO DI FACCIATA.

 

Sono molte le scene che rimangono impresse nell’opera d’esordio di Ninja Thyberg, adattamento ed estensione dell’omonimo cortometraggio premiato a Cannes nel 2013. Accantonando quelle più esplicite, dove tuttavia non viene mai mostrato l’atto sessuale nella sua interezza, ne emergono almeno due.

La prima: il rituale della liberatoria.

A Bella Cherry, nome d’arte scelto dalla diciannovenne svedese Linnèa, in arrivo a Los Angeles per avviare il suo personale American Dream, viene chiesto di firmare il consenso per le scene hard che si appresta a girare. Le vengono elencate le pratiche a cui sta per sottoporsi, comprese la sottomissione e l’umiliazione. Il benestare è d’obbligo, perché senza di esso le attrici non vengono pagate, ma è ovvio che l’obiettivo principale dell’accordo risieda nella necessità da parte dei produttori di non essere legalmente attaccabili. In sintesi: il sistema, dalle sue espressioni più subdole a quelle più clamorose, è fondato sulla necessità dei padroni di salvarsi il culo. Un ricatto mascherato in piena regola.

La seconda: la telefonata della svolta

Bella è una ragazza disinibita ma per aggredire il lato più oscuro del mondo che vuole scalare serve qualcosa in più. Serve un rovesciamento decisivo, un biglietto da visita che le permetta di entrare nel selettivo e lucroso entourage di Mark Spiegler, il manager più ricco che gestisce le sorti del gruppo di ragazze disposte a ogni perversione. Le più gettonate e le più pagate. The Spiegler Girls. Decide quindi di girare un DAP (Double Anal Penetration) con due attori di colore, ma è rimasta senza un agente che la rappresenti. Si propone di farlo gratis. Et voilà. Nella logica inflessibile del profitto, la presenza formale e obbligatoria di un agente diventa superflua se la lavoratrice sceglie di non ricevere un compenso. Il video decolla: con 700.000 visualizzazioni in una settimana e un incremento di oltre 10.000 follower sui social, Bella si guadagna i numeri per bussare alla porta del hardcore che conta. Alla porta di Mark Spiegler.

Se si spogliasse “Pleasure” di tutto l’armamentario pornografico, lo si potrebbe scambiare per un film denuncia sulle difficoltà della working class, attraversato dal percorso di formazione del personaggio principale e dal suo adeguamento a regole e dinamiche imparate in corso d’opera.

Bella Cherry si comporta come un arrivista a tutti gli effetti. Dichiara di aver fatto questa scelta perché le piacciono i soldi, la fama e il sesso. Non c’è traccia di un background traumatico nella sua infanzia o adolescenza. Nessuna costrizione. Bella entra in punta di piedi sperando di diventare ricca e famosa recitando solamente delle scene pornografiche basic, ma dopo l’iniziazione e l’orientamento è costretta ad acquisire nuove competenze sempre più estreme, a tradire le amiche, a prevalere sulle rivali. Oltre alla logica del profitto, la prevaricazione si genera anche dall’obbligo della competizione in un mondo in cui, tuttavia, ce n’è per tutti. Basta firmare la liberatoria.

Ninja Thyberg mira a demitizzare il porno, scarnificandolo per toglierne ogni principio di erotizzazione. Il taglio è documentaristico ma poi abilmente si sottrae alla neutralità per accentuare la drammatizzazione degli stati d’animo di Bella, accerchiandola e seguendone il percorso di trasformazione.

La fotografia è patinata ed asettica, la narrazione del film indugia sui tempi morti e abbonda di backstage con la direzione degli attori che si preparano alla scena hard come in una normale giornata di lavoro su un set qualsiasi. Il realismo del dietro le quinte spegne ogni fantasia e ambizione di godimento. Soprattutto si ribalta lo sguardo. Mentre, ad esempio, nel porno le scene in soggettiva sono appannaggio del maschio, le scene osé di “Pleasure” sono girate dal punto di vista opposto, ed è l’organo maschile in erezione ad apparire più volte mentre la vagina non appare mai, se si esclude la brevissima inquadratura iniziale della depilazione. In sintesi la Thyberg si adopera per disinnescare l’eccitazione, mostrando simbolicamente un regime fallocratico dentro e oltre la quarta parete.

Un lavoro sul linguaggio ammirevole e incisivo che dimostra un teorema socio-melodrammatico sacrosanto. Le donne sono usate, umiliate e mercificate in nome del denaro.

Certo, non tiene conto di alcuni aspetti significativi. La pornografia, come ogni mercato, si basa su una domanda e deve tenere d’occhio i competitor. La domanda ormai si genera da una totale liberazione di ogni impulso morboso. Ogni tipo di perversione è accessibile su Internet. Il pubblico occultato dietro lo schermo richiede materiale sempre più estremo. Nella preistoria della pornografia, quella in pellicola, il cinema hard manteneva un principio di autorialità, una drammaturgia, uno spunto artistico che è andato via via sparendo nella grande industria, almeno dalla comparsa del VHS. Si parla di almeno 40 anni fa. Cioè da quando la fruizione del cinema a luci rosse è diventata solitaria invece che collettiva.

Poi gli strumenti di ripresa si sono ulteriormente alleggeriti, sono diventati alla portata di ogni tasca. La rivoluzione del web ha fatto il resto. Ormai è possibile girare un video porno amatoriale avendo a disposizione un semplice cellulare e postarlo sul web, entrando nell’agone delle visualizzazioni. E persino gli uomini sono diventati oggetto del rough sex: le fantasie intercettate dal mercato abbracciano anche l’umiliazione fisica e psicologica del maschio.

Ma questa sarebbe materia per un altro film. Di “Pleasure” rimane il punto di vista che con rigore sceglie e colpisce l’oggetto della propria tesi e una regia che rielabora sapientemente il linguaggio e i punti cardinali del porno per offrircene una visione realistica. Non del tutto esaustiva nello scavare i meandri di un’industria, ma efficace nell’orchestrare il tour de force di una donna che si adegua alle rigide regole di un mercato che fattura miliardi di dollari e manipola le sue consenzienti fonti di guadagno.

Ultima nota, il cast: Sofia Kappel al suo esordio disegna le ombre del suo personaggio come un’attrice navigata ed è circondata da veri attori, attrici e manager del mondo del porno, compreso il famigerato Mark Spiegler, che hanno accettato di aprire le porte della loro bottega. La fabbrica dei sogni sconci e delle fantasie inconfessabili è così florida e redditizia anche grazie a piccole astuzie come queste.

 

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