Dal 17 marzo su Rai2 e RaiPlay il poliziesco interpretato da Marco Giallini, con gli episodi inediti della quarta stagione di ROCCO SCHIAVONE

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Rocco Schiavone è l’antiMontalbano, o meglio l’alternativa ‘alternativa’ al pacato poliziotto creato da Andrea Camilleri e considerato patrimonio nazionale dagli spettatori italiani.
Dove Salvo Montalbano rappresenta la faccia della legge rassicurante e bonaria, dotata peraltro di un certo fascino dovuto a un’intelligenza superiore alla media (di chi lo circonda), Rocco Schiavone ne incarna quella ambigua, pericolosa e, ovviamente, irresistibile.
Le tre stagioni – e la quarta in arrivo – della serie ispirata ai gialli di Antonio Manzini vedono protagonista un vice questore (e chi lo ‘declassa’ chiamandolo commissario passa un brutto quarto d’ora) romano, sboccato, intollerante alle regole, con una grave tendenza a farsi giustizia da solo che ne insidia continuamente la carriera altrimenti brillantissima di investigatore. Proprio a causa di una specie di eccesso di zelo (leggi pestaggio) nei confronti di un sospettato figlio di un importante uomo politico, il vice questore Schiavone viene trasferito dalla natia e amatissima Roma nella gelida Aosta, e qui lo incontriamo per la prima volta, mentre cerca di destreggiarsi tra neve, regole rigide e quasi totale assenza di senso dell’umorismo di chi lo circonda.
Rocco impreca come un carrettiere, risponde al telefono invariabilmente con un ‘chi è che scassa?’, non accetta di indossare scarpe adatte al fango gelido delle strade della città dove vive, tende a prediligere alcuni criminali alla media dei colleghi della polizia, ha delle frequentazioni private impresentabili, ma soprattutto nasconde un segreto nel suo passato recente, un segreto doloroso e pericoloso che ha a che fare con la morte dell’amata moglie Marina (Isabella Ragonese, presenza fantasmatica di tutti gli episodi e lato ultra-umano della figura del poliziotto-tipaccio poco raccomandabile).
Parlando di questa serie non è possibile non accennare alla polemica sterile e ridicola che la sua messa in onda di porta con sé: Rocco Schiavone ogni mattina, per affrontare lo ‘schifo’ con cui i poliziotti hanno a che fare per mestiere, si rolla una bella canna in ufficio, lasciando aperto un filo di finestra nel clima algido di Aosta per non farsi scoprire dai colleghi. Apriti, cielo: vigilanza Rai, sindacati della Polizia, esponenti politici conservatori, orde insomma di benpensanti all’acqua di rose gridano allo scandalo per questo cattivo esempio sulle reti di stato, un poliziotto che si droga in prima serata!

Non dovrebbe essere necessario sottolineare che questo personaggio NON si pone come un modello da imitare: chi abbia davvero visto il telefilm sa che Rocco Schiavone fa delle cose nel suo mestiere che sono molto, ma proprio molto più riprovevoli che non farsi uno spinello negli uffici della questura. Perché appuntare la critica su questo, invece di ammettere che il personaggio è interessante perché fatto di luci e ombre, e non essendo la biografia autorizzata di un capo della polizia non si pone né verosimiglianza né spirito educativo tra le sue missioni? Polemica sterile, appunto.

Noi consigliamo invece questa serie in modo appassionato, dalla prima stagione a quella che sta per arrivare sugli schermi di Rai2 (due perché, immaginiamo, non ci si fa le canne sulla rete ammiraglia…) e su RaiPlay.
Ispirandoci alla ‘lista di rotture’ del vice questore Schiavone (al decimo livello c’è l’omicidio, massima rottura di c…, ma al sesto troviamo per esempio i tabaccai chiusi, o più su le cene coi parenti, all’ottavo parlare in pubblico…), di seguito proponiamo una lista non esaustiva di motivi per cui vale la pena di guardare questa serie atipica, forse la più bella serie poliziesca italiana degli ultimi tempi.

 

Motivo numero 1: Marco Giallini

Quando il vice questore tormentato, volgare, dipendente da marjuana, cinico e sgarbato ma dal cuore d’oro è passato dalla pagina dei romanzi alla televisione, ha preso le fattezze di Marco Giallini. La resa del personaggio è talmente perfetta, che all’autore dei libri Antonio Manzini è stato spesso chiesto ‘Ma lei adesso quando scrive i romanzi di Rocco Schiavone pensa a Giallini?’. Antonio Manzini ha risposto un inequivocabile no. Ma Marco Giallini non ci sta mica, e si trasforma in una specie di Flaubert all’amatriciana, dicendo: “Antonio dice di no, ma in realtà ROCCO SCHIAVONE SONO IO”. Già, perché l’attore si identifica quasi perfettamente con alcune caratteristiche del vice questore: la romanità, l’atteggiamento ruvido e contrario a ogni formalismo, la battuta ironica fulminante, la schiettezza senza smancerie, un tormento interiore che cede volentieri alla risata e, ma qui si entra in un territorio che richiede rispetto, la dolorosa esperienza di aver perso troppo presto una moglie amatissima.
In ogni modo, Marco è Rocco e Schiavone è Giallini: il personaggio ricorda l’uomo, e l’attore ha messo tanto sé stesso nella creatura di fantasia che è impossibile scindere le due cose. Tanto che tu spettatore sei convinto che sia un vezzo del vice questore quel guardare l’interlocutore in tralice, annuendo beffardo e indicando col mento, prima di lanciare una sentenza fulminante: mentre tu lettore sai che da nessuna parte è descritta quell’espressione, eppure non puoi fare a meno di legarla indissolubilmente a Rocco Marco Giallini Schiavone, vice questore dal fascino dolente e dall’ego irrisolto.

Motivo numero 2: La regia

Michele Soavi nella prima stagione, Giulio Manfredonia nella seconda, Simone Spada nella terza e nella quarta: registi diversi ma fedeli a uno stile. Lontano dal tradizionale andamento blando e pacificatore dei gialli alla Montalbano, lo stile registico di Rocco Schiavone è più internazionale e moderno:  l’uso della luce è cinematografico, con i cambiamenti di tono a sottolineare quelli di maggiore o minor tensione, lo sguardo è affettuoso sui paesaggi e intrusivo coi personaggi, e la telecamera è quasi morbosamente attaccata al suo protagonista, pedinato senza sosta mentre si inerpica per gli alieni sentieri valdostani o mentre passeggia per Roma con i suoi amici di sempre, mentre si incaponisce con un testimone che non lo convince o flirta senza pudore con una donna (invariabilmente bellissima), mentre fuma, porta a spasso il bruttissimo cane che ha adottato o parla con la moglie, morta sette anni prima per una pallottola destinata a lui. La musica è il plus che regala la cifra finale: la sigla di testa tra l’altro è stata scelta personalmente da Marco Giallini, per sugellare un ulteriore patto di identità col suo personaggio

Motivo numero 3: il loden e le clarks

Il vice questore Schiavone è di Roma, di Trastevere, e non riesce ad accettare le imposizioni estetiche del meteo sotto zero di Aosta che richiederebbero giacche a vento e scarponi pelosi, quindi va in giro con un loden verde anche quando nevica, e pure sulle piste da sci si presenta con le sue clarks marroncine, che a volte deve ricomprare due o tre volte durante un’indagine perché si distruggono. Questo look è una specie di costume da supereroe e una divisa immutabile: anche questo può fare di un personaggio una piccola leggenda.

Motivo numero 4: Aosta e Roma

Il freddo elegante delle cime delle Alpi e il calore caciarone del centro popolano di Roma, i tetti della capitale e i vicoli della città di Aosta, le piste da sci e il Tevere, il cimitero monumentale del Verano e il piccolo camposanto silenzioso di provincia. Due modi diversi di essere in Italia, e uno non necessariamente esclude l’altro. Se Rocco Schiavone fa fatica ad integrarsi nel perbenismo algido del capoluogo valdostano, non è certo detto che disprezzi le bellezze della natura che lo circonda: e lo spettatore riesce a godere di spettacoli così diversi grazie a una telecamera che, anche se accarezza panorami arcinoti, non indugia mai negli stereotipi da tour operator.

Motivo numero 5: i personaggi secondari

Come in ogni classico poliziesco, diversi comprimari hanno storie autonome, alcune particolarmente appassionanti.
Come per Italo Pierron (Ernesto D’Argenio), giovane agente braccio destro e ‘confidente’ di Rocco, che col tempo si scopre affetto da un vizio difficile da gestire per un rappresentante della legge, o il magistrato Baldi (Filippo Dini), impaziente e fumantino ma alla fine sempre deux ex machina delle mattane di Schiavone, che con il suo continuo nascondere e riprendere la foto della moglie dal cassetto della scrivania lascia intravedere una vita personale incasinata che lo rende simpatico e vulnerabile.
Ma anche Seba (il mitico Francesco Acquaroli, una delle più note facce da crimine del cinema italiano), il migliore amico del vice questore e criminale di medio cabotaggio a Roma, che nel corso degli episodi si trasforma in fuggitivo e vendicatore della propria moglie, della cui morte incolpa proprio l’(ex)amico poliziotto. Ma su tutti:

Motivo numero 6: Alberto Fumagalli

A volte appena tratteggiata, a volte spalla dell’investigatore,  quella del medico legale è una figura che ha le sue potenzialità in tutti i crime moderni. Il personaggio interpretato da Massimo Reale le sviluppa tutte, ritraendo un medico fiorentino di cultura enciclopedica, incline al monologo pedagogico e allo scherzo crudele, contraltare perfetto del cinismo ruspante di Rocco Schiavone di cui infatti diventa (quasi un vero) amico. Il tempo porterà al demodé frequentatore di obitori addirittura l’amore. Senza dubbio il nostro personaggio preferito.

Motivo numero 7: le trame degli episodi

Le indagini sono sempre contorte e i colpevoli inaspettati, come dovrebbe essere in un poliziesco che si rispetti. Il tutto è complicato dalla

Motivo numero 8: trama orizzontale

A percorrere tutta la storia di Rocco, e a tenere viva la curiosità dello spettatore come del lettore, è la storia della morte di Marina, la moglie del poliziotto.
Marina ha beccato un proiettile che era destinato a Rocco Schiavone. Perché? E come ha reagito il marito e il poliziotto? E come mai il colpevole dell’omicidio è sparito? E come mai il fratello di questo colpevole ha tentato di uccidere Schiavone, colpendo un’altra volta un’innocente? L’incalzare delle domande porta alla luce un dramma più complicato di quanto si immagini, e la buona volontà del Questore Costa e del Magistrato Baldi non riescono proprio a fare da muro contenitivo per l’immane casino che è la vita di Rocco Schiavone.

Motivo numero 9: l’Italia in miniatura

Si sa bene quanto successo abbia oggi il ‘crime regionale’ in Italia, con i vari Montalbani, Lolite Lobosco e Bastardi di Pizzifalconi. In Rocco Schiavone, in particolare nel microcosmo della Questura di Aosta, è rappresentata praticamente tutta l’Italia. I momenti divertenti spesso nascono proprio dalle interazioni tra il romano Rocco e il valdostano Italo, tra l’abruzzese insopportabile D’Intino e il sardo De Ruta, il pugliese Casella e il toscano Fumagalli, il genovese questore Costa e i romanissimi Brizio, Seba e Furio.

Motivo numero 10: vabbè i motivi sono 9.

Del resto anche la lista di Rocco Schiavone parte da sesto posto…

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