UNA STORIA INFINITA, FATTA DI REMAKE, REBOOT, PREQUEL E SEQUEL. UN ASSORTIMENTO DI SERIE TV TRATTE DA FILM E VICEVERSA, CON VIDEOGIOCHI, LIBRI E FUMETTI CHE SI INTERSECANO PER ESPANDERE UN UNIVERSO DALL’ACCESSO SEMPRE APERTO. LE SAGHE: SPETTACOLARI, NOSTALGICHE E RASSICURANTI, SONO IL CARBURANTE DELL’INDUSTRIA DELL’INTRATTENIMENTO, DI UNA CATENA DI MONTAGGIO CHE VIAGGIA A RITMO INCESSANTE. NOI VE NE PRESENTIAMO 5, APPROFITTANDO DELL’ARRIVO IN STREAMING DI ALTRETTANTI NUOVI CAPITOLI, CHE CONGIUNGONO IL PRESENTE AL PASSATO E CONQUISTANO ULTERIORI GENERAZIONI DI FAN.

ANDOR

(Disney +)

Disponibile dal 21 settembre, “Andor” è la quarta serie in live-action, appartenente al franchise di “Star Wars”, partorita dalla LucasFilm e dalla Disney, dopo “The Mandalorian”, “The Book of Boba Fett” e “Obi-Wan Kenobi”. Al timone creativo troviamo Tony Gilroy, lo sceneggiatore di “Rogue One: A Star Wars Story” di cui “Andor” è il prequel in 24 episodi, suddivisi in due stagioni, che segue il viaggio di formazione di Cassian Jeron Andor: da ladro a paladino dell’Alleanza Ribelle contro l’Impero, collocando gli eventi cinque anni prima delle avventure narrate nel film.

Ed è una delle serie più attese, poiché “Rogue One” ha ricevuto consensi convinti dai fan più accaniti della saga grazie alla linearità del racconto e alla freschezza tipica da spin-off indipendente che si distaccava dalla pomposa architettura narrativa sulla quale sono stati costruiti i nove film canonici della serie. Per la precisione, il riferimento alla pomposità va alla Trilogia Prequel e alla Trilogia Sequel, che hanno acceso parecchi dibattiti e creato perplessità nella galassia dei fan della prima ora, cioè coloro che si sono innamorati della creatura di George Lucas con la Trilogia Classica.

“Andor” sistema sul proscenio il personaggio interpretato da Diego Luna, una carta vincente già in partenza perché è un personaggio sfaccettato al punto giusto, con ombre e luci del suo carattere estremamente nitide, tuttavia suscettibili di succosi approfondimenti, e inserito in un contesto narrativo di semplice fruizione. La serie esplora i dettagli della sua impalcatura emotiva, la crescita del suo irriducibile furore rivoluzionario che poi si legherà a quanto già visto in “Rogue One”.

 

STAR TREK: STRANGE NEW WORLDS

(Paramount+)

Il concetto alla base di “Star Trek” è lo stesso alla base di “Star Wars”: l’intuizione di una frontiera costantemente aperta, dal quale espandersi avendo a disposizione possibilità illimitate. Del resto, stiamo parlando di spazio e quindi è un postulato del tutto giustificabile. L’impennata dello streaming e la moltiplicazione delle piattaforme, ma soprattutto il prodotto serie tv portato al centro dell’intrattenimento hanno fatto il resto, consegnando una chiave capace di aprire infinite porte per affacciarsi su mondi inediti ma saldamente legati al totemico capostipite.

Entrando nel dettaglio, “Star Trek: Strange New Worlds” è l’ottava serie in live-action ‘alla ricerca di strani, nuovi mondi’, come recitava la leggendaria intro della serie originale con William Shatner e Leonard Nimoy. La tredicesima, se contiamo anche le serie animate e antologiche. Andando ancora più addentro, si tratta di uno spin-off della stagione numero 2 di “Star Trek: Discovery” e racconta la seconda missione quinquennale del Capitano Christopher Pike.

Il vero Capitano ingaggiato dalla Paramount è tuttavia lo showrunner Akiva Goldsman, pezzo forte dell’industria hollywoodiana, premiato con l’Oscar e il Golden Globe per la sceneggiatura per “A Beautiful Mind”, oltre che autore di una sfilza di altre pellicole straconosciute come “Il Codice Da Vinci”, “Angeli e demoni”, “Io sono leggenda”, oltre proprio a “Star Trek”, il primo reboot della saga diretto da J.J. Abrams nel 2009.

Di “Star Trek: Strange New Worlds” si apprezza il mood tipicamente startrekkiano. Ricordiamo che si tratta del prequel della serie originale anni 60 e vede già la presenza di un giovane Spock, con il vulcaniano dalle orecchie a punta interpretato da Ethan Peck.

L’obiettivo è tenere fede all’eredità lasciata da Gene Rodenberry: quindi uno spirito narrativo che sia debitore dell’epica della frontiera, cosi come era concepita nei film western classici, da coniugare all’utopia di una Pace Galattica, di una società interplanetaria multietnica in un intreccio di storie ricche di implicazioni religiose, politiche e filosofiche.

MATRIX RESURRECTIONS

(Sky/Now)

Atteso per quasi 20 anni, il quarto capitolo della saga porta la firma di una sola delle sorelle Wachowski, Lana (nata Larry) che nel frattempo ha completato la sua transizione in donna transgender, così come Lilly (nata Andy). Uno script scritto nel corso di una sola notte, come ha dichiarato Keanu Reeves, per la resurrezione di un brand scolpito nell’immaginario.

Matrix e il suo mistero svelato, la sliding door delle pillole rosse e blu, le coreografie utilizzate nelle scene di kung-fu, l’hacker Neo a simboleggiare una specie di eroe cristologico che finalmente spezzava l’incantesimo di una realtà simulata in cui gli esseri umani erano semplice fonte di energia per le macchine tiranniche.

E poi la città di Zion, avamposto dei ribelli. Tutto questo a cavallo tra la fine degli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio creò un hype memorabile; un fiore all’occhiello della fantascienza d’avanguardia legata all’intelligenza artificiale come detonatore dei peggiori incubi esistenziali e filosofici.

Lana svuota le tasche e mette sul tavolo gli ultimi spicci di creatività per riprende un discorso che sembrava concluso, mentre era solamente stato interrotto, confezionando un film che tende all’autoreferenzialità. Neo è ancora Thomas Anderson che non ricorda di essere Neo. Non sa di essere l’eletto. Lavora come programmatore di videogame e ne inventa uno in cui il protagonista scopre di vivere all’interno di una simulazione. Ma Thomas, imbottito di pillole blu dal suo analista, sospetta che anche la sua vita sia una simulazione, un loop allucinato, ed essendo il più abile degli hacker, crea un software sperimentale con la funzione di esca e sentinella per capire se i suoi sospetti siano fondati.

Il fascino visivo rimane intatto, ma la verbosità prevale sulle scene d’azione, a volte le mette in ombra, sotto un eclisse totale di metanarrazione con critici rimandi alla Hollywood odierna che sembra intrappolata nella riproposizione di se stessa, un incantesimo nel segno di prequel, sequel e reboot. Gironi di cui fa parte, detto senza alcun sarcasmo, anche lo stesso “Matrix Resurrection”. Ma vedere di nuovo Keanu Reeves e Carrie-Ann Moss col viso rigato da un ventennio di vita, vera o simulata poco importa, è un tuffo nella nostalgia, all’inseguimento di un passato prossimo della storia del cinema capace di sfornare classici istantanei e tallonare nuove traiettorie narrative e visive.

JURASSIC WORLD –IL DOMINIO

(Sky Primafila, Chili, Rakuten, Amazon, Tim Vision, Google Play, Apple tv))

Sesto capitolo del franchise di Jurassic Park cominciato nel 1993 da Steven Spielberg, regista dei primi due capitoli e produttore esecutivo dell’intera esalogia monstre che si ispira a un romanzo di Michael Crichton.

“Jurassic World – Il dominio” è inoltre il terzo capitolo della trilogia reboot che dovrebbe concludere questa lunga saga blockbuster che ha triturato il box office per anni.

Oltre a introdurre un letale sciame di locuste che irrompe sul pianeta dove ormai dinosauri ed esseri umani vivono in una specie di armonia, il film chiude simbolicamente il cerchio cominciato 30 anni fa inserendo nel cast Sam Neill, Laura Dern e Jeff Goldblum. I vecchi protagonisti del capostipite si affiancano ai giovani, belli e vitaminici Chris Pratt e Bryce Dallas Howard nel tentativo di insaporire un piatto super commestibile ma annacquato per l’eccessiva reiterazione del gioco narrativo, la cui regola aurea è aumentare sempre il numero di animatronics in campo.

Un modus operandi involontariamente – o forse no – coerente con il discorso di fondo, perché si parla pur sempre di clonazione e replicazione a partire da un DNA ricreabile grazie ai progressi della bioingegneria genetica. L’attrattiva verso i bestioni preistorici è un assegno in bianco per un cinema luna park in cui la giostra centrale gira attorno al tema della famiglia e all’incapacità dell’uomo di gestire le scoperte scientifiche e tecnologiche senza provocare bordelli contronatura. Rimane un eccellente e sfarzoso popcorn movie dallo spettacolo assicurato contenente nel proprio DNA quel germe della nostalgia che si cementa intorno al comprensibile desiderio del pubblico di non voler mai leggere la parola fine. Un desiderio impulsivo che costituisce l’asse portante di ogni saga.

RESIDENT EVIL – LA SERIE

(Netflix)

In principio furono i videogiochi della Capcom, prodotti in Giappone negli anni 90 e appartenenti al sottogenere Survival Horror. Poi il franchise si è ampliato, altra caratteristica inderogabile delle saghe, incorporando come un fiume in piena fumetti, libri e merchandising. Oltre naturalmente a un mucchio di film.

6 sono i lungometraggi fanta-horror (realizzati dal 2002 al 2016) con protagonista Milla Jovovich, che raccontano di un mondo popolato da esseri umani trasformati in zombie a causa di un virus. Una sciagura dietro la quale agisce indisturbata una maledetta multinazionale farmaceutica. Poi nel 2021 ecco il primo capitolo della serie reboot con Kaya Scodelario, per riavvolgere il nastro e rilanciare una lunga telenovela dark dalle intarsiature splatter, debitrice dei ritmi sostenuti e degli schemi narrativi di un videogame, tra infezioni, antidoti, poteri speciali, scenari apocalittici e morti viventi con cui accapigliarsi in una decadente Raccoon City su cui incombe l’Umbrella Corporation.

4 sono invece i prodotti d’animazione made in Japan realizzati in CGI dal 2000 al 2017: il primo, “Executer” è un cortometraggio rimasto ancora inedito in Italia, mentre gli altri 3 (“Degeneration”, “Damnation” e “Vendetta”) sono lungometraggi e li trovate su Amazon Prime.

Venendo invece alle serie, su Netflix potete trovare sia la miniserie d’animazione in 4 episodi “Resident Evil: Infinite Darkness”, sia la prima stagione (e ultima, in quanto Netflix ha escluso la produzione di una seconda season) di “Resident Evil”: 8 episodi in live-action con Lance Reddick ed Ella Balinska.

La serie sviluppa da una parte e abbandona dall’altra l’universo narrativo della saga, intrecciando due linee temporali. Nella prima siamo a New Raccoon City nel 2022, dove due sorelle finiscono coinvolte nelle oscure trame ordite dalla Umbrella Corporation in nome del profitto, e contemporaneamente indagano sui segreti che coinvolgono loro padre.

Nell’altra ci si sposta nel 2036, in un futuro che ha visto la vittoria del virus T. e quindi la fine dell’umanità è un dato reale con cui fanno i conti i 300 milioni di sopravvissuti in tutto il pianeta che vivono in vari territori confinati per difendersi dalle aggressioni degli zombie.

Con “Resident Evil” può risultare faticoso orientarsi senza la bussola di una passione che sia accanita e onnivora. Sicuramente rimane uno degli esempi più emblematici dell’entertainment attuale, che ha come policy precisa l’arricchimento, a scadenza regolare, del brand in una reazione a catena che abbraccia varie forme d’intrattenimento nel segno della multiopzione e dell’attesa del prossimo evento.

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