SI VIVE UNA VOLTA SOLA (Amazon Prime)
Voto 5 (di stima)
“Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione”. Così diceva il Conte Mascetti per spiegare una delle tante zingarate di “Amici miei”, il film di Monicelli a cui Carlo Verdone si ispira molto liberamente e poco efficacemente in “Si vive una volta sola”.
Sono le burle il motore dell’amicizia, vissuta dentro e fuori dell’ospedale, con cui i quattro medici protagonisti del film di Carlo Verdone vogliono rimuovere o almeno anestetizzare l’angoscia del tempo che passa e il contatto assiduo con il dolore e la malattia.
Un’interpretazione, questa, più astratta che concreta, e messa eccessivamente in bella copia poiché scaturisce dall’ammirazione per il patrimonio – di vicende e personaggi – costruito pezzo dopo pezzo nella lunga filmografia del cineasta romano, e non dal risultato finale del film in questione, in cui questa strisciante amarezza tipica delle opere verdoniane si traduce alla fine in una commedia che nasce e muore involuta, con un grossolano svolgimento da cinepanettone nel mezzo.
Da “Un sacco bello” in poi, quindi da 40 anni, Carlo Verdone racconta un suo diario personale, osserva e registra i cambiamenti di costume, in cui colloca poi il suo protagonista immalinconito ma ironico, moderato ma caparbio.
E ha regalato al nostro cinema un invidiabile lascito di intuizioni grazie a un colpo d’occhio, a una fantasia e a una velocità d’esecuzione degni – in alcune sortite – anche del maestro Monicelli.
In “Si vive una volta sola” Verdone mostra il fianco e di questo suo diario scrive una delle pagine più deludenti e persino macchiate dal vizio poco artistico del product placement, fra marchi di macchine, brand radiofonici e una Puglia fotografata a beneficio di un depliant da agenzia turistica.
Una sceneggiatura monocorde scandita da pretesti, a zero strati, in cui le gag prive di elaborazione e giustificazione (su tutte, quella con la matura coppia di scambisti) sono inserite alla stregua di vignette, riempitivi dozzinali messi in scena in economia da una regia talmente ordinaria da sembrare trascurata. Così come il tempismo e il ritmo, cruciali baluardi di ogni commedia.
“Per scherzare bisogna essere seri”, tanto per citare il Marchese del Grillo, altro personaggio monicelliano, specie se vuoi scherzare con la morte e il suo subdolo infiltrarsi nell’approccio goliardico alla vita di quattro personaggi che lavorano in una sala operatoria, che è un po’ la bottega in cui avvengono le trattative fra i medici, il paziente e la Nera Mietitrice.
Abbiamo il marito cornuto, la donna romanticamente sfigata, l’uomo solitario che diventa il capro espiatorio degli scherzi e infine il rinomato chirurgo/padre assente che ha un rapporto problematico con la figlia esuberante. Sono stereotipi privi di quell’urgenza e di quell’approfondimento che fanno scattare il corto circuito fra tragedia e commedia. Tutto invece si risolve in un amen.
“Si vive una volta sola” è un’idea che si smarrisce sul viale dell’ispirazione, in cui traspare il desiderio di un grande regista di inserire nel suo lungo excursus autobiografico anche l’insorgenza della vecchiaia e della morte.
Che fra le pagine del diario suddetto spuntasse una tale riflessione era prevedibile. La commedia all’italiana di cui Verdone rimane un illustre paladino ne è piena, ma qui manca il cinismo e l’anima. Le intenzioni rimangono in background e scarseggiano persino le battute che i suoi personaggi solitamente usano come indolente filosofia di sopravvivenza, in bilico tra disillusione e sarcasmo. Mancano soprattutto quelle proverbiali escoriazioni con cui Verdone ha sempre ferito le sue maschere, lasciandole in sospeso dentro uno scomodo spaesamento, alle prese con un futuro tutto da riscrivere dopo che un evento ha sgretolato le loro apatiche certezze.
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