ABBIAMO SELEZIONATO 6 FILM DA CONSIGLIARE AGLI ABBONATI SKY. SI PARTE CON DUE ESORDI ALLA REGIA: UN CRIME MOVIE SUI MONTI APPALACHI E IL PRIMO INTERESSANTE PROGETTO DI MAGGIE GYLLENHAAL, TRATTO DA UN ROMANZO DI ELENA FERRANTE. INOLTRE DUE BIOPIC E UNA PELLICOLA D’ANIMAZIONE CHE SI ALLACCIANO ALL’ORRORE DELL’OLOCAUSTO IN VISTA DEL GIORNO DELLA MEMORIA. INFINE UN INEDITO PAOLO VIRZÌ CHE CON UN’OPERA DISTOPICA FA SPROFONDARE ROMA IN UN’ARIDITÀ APOCALITTICA.

 

L’EREDITA’ DELLA VIPERA

(Dal 3 gennaio)

Per i fratelli Kip, Josie e il più giovane e indisciplinato Boots, spacciare oppioidi è un affare di famiglia, una vocazione ereditata dal defunto padre. Il traffico di droga è il loro unico mezzo di sopravvivenza. Ma nel mondo del crimine le cose ci mettono davvero poco ad andare storte, convincendo uno dei fratelli che è giunta l’ora di tagliare il cordone ombelicale. Ma il cordone ombelicale è come una miccia attaccata a una polveriera. Le conseguenze sono immaginabili. Il film con Josh Hartnett è incastonato sui Monti Appalachi nel covo trumpista del West Virginia e mette in agenda un tema poco trattato e molto attuale: il dramma della diffusione degli oppioidi che negli Stati Uniti sono la causa di migliaia di vittime ogni anno. in “L’eredità della vipera”, dietro lo scudo robusto del crime movie girato con mestiere dall’esordiente Anthony Jerjen, fanno capolino i fantasmi ossessivi di tanto cinema americano: il tema di una redenzione impossibile, la sofferenza dei figli per le colpe commesse dai padri, il tessuto sociale lacerato dalla crisi economica.

 

LA FIGLIA OSCURA

(dal 4 gennaio )

Maggie Gyllenhaal, alla sua opera prima da regista e da sceneggiatrice, sceglie Olivia Colman come protagonista e adatta l’omonimo romanzo di Elena Ferrante, aggiudicandosi il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Venezia. La memoria di Leda, matura docente americana di letteratura italiana in vacanza in Grecia, si accende osservando una famiglia chiassosa che ha invaso la spiaggia. Una famiglia che la infastidisce e la attrae allo stesso tempo. È soprattutto la giovane moglie e madre Nina (Dakota Johnson) la chiave che apre il cassetto dei ricordi di Leda, riportandola ai tempi in cui era lei la giovane madre di due bambine. Un ricordo che è un nervo che si infiamma, un virus latente che esplode costringendola a ripercorrere le scelte fatte. Forse anticonformiste, forse egoiste. “La figlia oscura” è un film complesso che mette in scena la sfida tra l’incondizionato amore materno e la rivendicazione di un’affermazione individuale oltre la genitorialità. Un film inoltre sulla comunicazione imperfetta tra passato e presente, che parlano due lingue diverse e rischiano di restituire certezze opache e percezioni imprecise.

IL RE DEGLI SCACCHI

(Dal 15 gennaio)

Il connubio tra il cinema e gli scacchi non è di certo inedito. Senza scomodare “Il settimo sigillo” di Bergman perché andremmo fuori tema, vale la pena ricordarne almeno due: “La partita – La difesa di Lužin” con John Turturro tratto da Nabokov, e “In cerca di Bobby Fischer” scritto e diretto Steven Zaillian, premio Oscar per la sceneggiatura di “Schindlers List.

Tratto dal racconto di Stefan Zweig – scritto in esilio in Brasile dopo la presa del potere da parte dei nazisti nella sua patria austriaca – “Il re degli scacchi” colloca l’amore per regine, alfieri e strategie nella Vienna del 1938, seguendo il percorso di un avvocato ebreo finito nelle grinfie dalla Gestapo, che per sfuggire alla tortura psicologica dell’isolamento sviluppa un’autentica ossessione per il gioco, oltre i limiti della psicosi. Dramma storico di spessore, il film di Philip Stolzl con Oliver Masucci è principalmente un film di duelli sulla scacchiera che si configurano alla stregua di duelli psicologici, e ancor di più la storia della trasfigurazione di un ricco avvocato della Vienna borghese che passa attraverso la guerra contando sulle proprie… mosse.

HARRY HAFT: LA STORIA DI UN SOPRAVVISSUTO

(Dal 25 gennaio)

La vera storia del pugile ebreo-polacco Harry Haft, deportato ad Auschwitz nel 1941 e costretto a combattere contro gli altri prigionieri per solleticare il sadico voyeurismo dei nazisti. Fu tuttavia un lasciapassare per la sopravvivenza: 76 incontri disputati nell’orrore dei lager prima della fuga, nell’aprile del 1945, che apre il secondo capitolo della sua biografia, da emigrato negli Stati Uniti, dove diventa un boxer professionista fino a salire sul ring perfino contro Rocky Marciano mentre cerca la donna che ama, persa di vista a causa dell’Olocausto. Barry Levinson, nome altisonante di Hollywood, riappare sulla scena a 6 anni da “Rock the Kasbah” e si riconfronta con il biopic, genere già superbamente maneggiato con “Bugsy”, “You Don’t Know Jack – Il dottor morte” e “The Wizard of Lies”, confermando di essere un eccellente allestitore di immagini. Con “Harry Haft”, Levinson lega sapientemente il melodramma con il gangster movie, il dramma storico con le potenzialità collaudate dei film sulla boxe. Biopic sostanzioso, tendente all’agiografico e irrobustito da una cast che schiera Ben Foster, Danny DeVito, John Leguizamo Peter Sarsgaard e Vicky Krieps, premiata a Cannes nel 2022 per “Il corsetto dell’imperatrice”.

 

ANNA FRANK E IL DIARIO SEGRETO

(Dal 27 gennaio)

Il regista di “Valzer con Bashir” sceglie una prospettiva inedita per raccontare la storia di Anna Frank, immaginando che dal celebre diario scritto dalla ragazza ebrea si materializzi, nella Amsterdam di oggi, l’amica immaginaria Kitty, ignara della tragica sorte toccata ad Anna. Kitty intraprende un viaggio alla ricerca della verità con l’aiuto di Peter, un giovane che aiuta i profughi clandestini, tra cui Ava, una bambina che sta per essere cacciata dal paese. Emozionante e divulgativo, dal lampante intento didattico, il film d’animazione dell’israeliano Ari Folman intreccia realtà e finzione, magia e morte, ritorna sull’atroce passato della deportazione degli ebrei e scuote con un monito il sonno della ragione guardando alle minoranze e ai soprusi del presente.

SICCITÀ

(Dal 30 gennaio)

Non piove da anni a Roma. Un’arida apocalisse la avvolge. L’umore della Città Eterna è cambiato, la sua fisionomia sfigurata è simboleggiata dal Tevere totalmente prosciugato. La gente muore di sete, gli scarafaggi abbondano. L’incantevole museo a cielo aperto è diventato un deserto urbano color seppia. In questo scenario da fantascienza Paolo Virzì fa muovere un drappello di personaggi interpretati, tra gli altri, da Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Monica Bellucci, Max Tortora e costruisce un dramma corale all’asciutto con l’intenzione di bloccare un’epoca e un’umanità desolante, inserendola dentro un album di figurine. Individui, i cui destini si sfiorano, a volte si intersecano. Vite compulsive, assetate, fragili. Virzì guarda alla Commedia all’italiana naturalmente, al recente “Don’t Look Up” di Adam McKay, all’affresco altmaniano dell’ irraggiungibile “America oggi”. Citiamo più che altro ispirazioni e rimandi per dare un’idea dell’identikit di questo film che finisce per scattare una fotografia forse un po’ caricaturale, ma molto personale di un Virzì in versione distopica, autore insieme a Francesca Archibugi, Francesco Piccolo e Paolo Giordano anche del soggetto, ideato durante il primo lockdown del 2020.

Lascia un commento