WAS IT REAL, OR WAS IT MY IMAGINATION?
La domanda fondamentale, anche se inespressa, di tutta la produzione di Stephen King rappresenta l’esplicito filo conduttore del romanzo La storia di Lisey, che ora è diventata una serie tv
Visibile su Apple Tv, La storia di Lisey è il primo dei tantissimi prodotti televisivi tratti dai suoi romanzi che il re dell’horror ha voluto anche sceneggiare in prima persona. Dopo aver donato le sue trame per un numero impressionante di film e serie tv, e collaborato a una buona percentuale di essi, Stephen King dunque stavolta ha deciso di scavalcare la staccionata, e passare dal campo della narrativa pura a quello strutturalmente diverso della sceneggiatura. Il risultato è una miniserie in otto episodi interpretata da quello che si dice un cast d’eccezione: Julianne Moore, Clive Owen, Jennifer Jason Leigh, Joan Allen, Michael Pitt.
Ma perché stavolta uno dei più grandi narratori (il giudizio non è unanime sul letterato, ma come narratore è innegabile che la caratura di King sia mostruosamente grande) della letteratura occidentale ha deciso di occuparsi personalmente di una serie televisiva? Dice, lo scrittore neo-sceneggiatore, che il libro a cui la serie è ispirata, del 2006, è il suo più personale, e che quindi non voleva che qualcuno travisasse i suoi significati reconditi. Anche se lo dice uno che per mestiere le storie le inventa, siamo propensi a credergli.
La storia è quella della moglie di uno scrittore morto da due anni, che si trova a fare i conti con la sua eredità, che include un mondo di visioni inquietanti al limite tra vero e immaginazione, le sue carte inedite e uno stalker che minaccia la sua stessa vita. Deliri e mondi alternativi sono una costante dell’immaginario di King, e anche i personaggi scrittori sono molto presenti nelle sue storie, quello che cambia tutto è che stavolta la trama è ispirata a un fatto vero cruciale della vita dell’autore, uno spartiacque esistenziale: nel 1999 King è stato vittima di un gravissimo incidente stradale, in cui ha rischiato di rimanere ucciso. Il trauma deve ancora superarlo, come lui stesso ammette, e scoprire che sua moglie, mentre lui era in coma in ospedale, aveva iniziato a rimettere a posto il suo studio, ha ispirato questa storia di Lisey che ora ha deciso di mandare in tv senza farla maneggiare da altri. Lo scrittore (quasi) morto è lui, ci dice King, per questo la storia è così importante e difficile da affidare a chi non può capire.
Si diverte, lo scrittore del Maine, a far capire ai suoi lettori/spettatori che è proprio lui quello che ha una porta di comunicazione su un mondo di visioni allucinate, bellissime ma letali? È un trucco da illusionista quello di suggerire a chi legge/guarda che la sua mente è così prolifica perché ha una tara, una follia che gli permette l’accesso a un pozzo senza fondo di fantasie malate e incubi deliranti? O effettivamente è quello che gli accade (o che gli sembra che accada) quando si mette a scrivere, come in una trance creativa di segno orrorifico e splatter? Ora sta a noi domandarci ‘è reale, o è solo la sua immaginazione?’.
LA STORIA
Tra i mille possibili modi che Stephen King ha per farci venire gli incubi di notte, quale ha scelto stavolta, ispirandosi come dice alla sua stessa esperienza di quasi-morte?
Una Julianne Moore atterrita che promette benissimo è Lisey, moglie di Scott Landon, prolifico scrittore che ha incantato critica e pubblico per tanti anni con le sue storie fantastiche, e che ora è morto. La donna a un certo punto decide di mettere ordine nel materiale rimasto inedito tra le carte del marito. Quello che dovrà affrontare però non è solo una mole infinita di documenti, ma soprattutto l’incontro con una realtà malata, inquietante, pericolosa. Lisey fa esperienza delle stesse visioni straordinarie che hanno tormentato il marito durante la sua vita, si interroga sullo stato della propria salute mentale e inizia a chiedersi con insistenza se tutto questo è reale, o è solo la sua immaginazione. Immaginazione, la chiave di tutto, il centro della trama, della vita anche, e che è una condanna e un tormento, oltre che una fonte di sussistenza e reddito, sia per il personaggio Scott che, a quanto pare, per lo scrittore King.
La storia ovviamente è complicata da una serie di eventi e intoppi, da parenti stretti vittime di paranoia, e da un fan che, un po’ come in Misery non deve morire (uno dei più celebri e riusciti adattamenti per lo schermo di un romanzo kinghiano) minaccia la vita dell’erede dello scrittore da lui idolatrato.
Tra agguati reali e mistici, tra incubi ad occhi aperti e chiusi, tra incursioni nel passato del defunto scrittore fino alle origini della sua tara mentale (o dono che dir si voglia) la trama regala brividi a non finire, veleggiando come solo Stephen King sa fare tra amena quotidianità di provincia e improvvisi salti nel mondo più buio, spaventoso e impronunciabile che tu, anzi lui, possa immaginare.
La ricchezza introspettiva della scrittura di Stephen King è difficilissima a rendere per immagini, perché è ‘insemplificabile’: questo è il motivo per cui molti prodotti visivi tratti dai suoi romanzi sono infinitamente meno affascinanti dei romanzi stessi. Quando l’immaginario visivo ha funzionato alla grande, come in Shining, era l’immaginario visivo di un altro. Anche se fosse solo per questo, bisogna guardare La storia di Lisey, per vedere come l’autore dell’incubo, il sognatore stesso di quell’incubo, è stato capace di trasferirlo non solo nei minuscoli caratteri neri della stampa, ma nelle grandiose immagini consentite dalla tecnologia digitale, affidando i suoi tormenti e le sue follie più intime ai muscoli facciali di persone che, pur abituate ad usarli, hanno tutta un’altra storia personale da raccontare.