SU NETFLIX I DIECI EPISODI DELL’ULTIMA STAGIONE DI “THE CROWN”: ATTESISSIMI DAI FAN DELLA SERIE PIU’ BELLA DELLA PIATTAFORMA, GLI INTRIGHI DI PALAZZO E I GOSSIP REALI FANNO SBADIGLIARE, E LA SERIE CHIUDE IN MESTIZIA
La quinta stagione di “The Crown”, la serie di Peter Morgan premiatissima bellissima amatissima sulla famiglia Windsor, non è all’altezza delle altre, e conferma un’ipotesi sulla televisione di argomento storico-biografico: più è vicino il tempo dei fatti raccontati e meno si sente la fascinazione degli stessi, con gli eventi che diventano suscettibili di critiche consapevoli e vittime della pericolosa noia del ‘risaputo’.
Per molti di quelli del target a cui “The Crown” è rivolta (40/50enni) invece i fatti raccontati nelle prime stagioni avevano il pregio impagabile dell’aura leggendaria: Churchill che guida il paese dalla vasca da bagno, Wallis Simpson che forse era una spia nazista ma di sicuro bulimica, la madre di Filippo che buttati i gioielli nel Tamigi si fece suora, la resistenza inglese nella Guerra Mondiale, la Regina Elisabetta giovane e carina, fragile e dubitosa come mai l’avevamo vista, avendola conosciuta col caschetto già grigio e il filo di perle già tatuato sul collo rugoso. Ecco, il quinto capitolo invece racconta fatti a noi troppo vicini, troppo noti, troppo quotidiani. Gli anni dall’89 al ’96 hanno visto i divorzi di quasi tutti i figli di Elisabetta, la crisi matrimoniale tra Carlo e Diana e l’incertezza sul nome della prossima regina, l’incendio del Castello di Windsor, la dismissione dello yacht reale Britannia, l’ascesa pubblica dell’egiziano Al Fayed, il tradimento della fedele BBC: non proprio pietre miliari della storia del mondo.
In mezzo a questa storia di serie B la regina, che nel frattempo nella realtà è morta suscitando un’ondata di affetto inaspettatamente globale, risulta una figuretta fin troppo simile al pupazzetto di plastica con la manina che saluta in vendita nei negozi di souvenir. E soprattutto la vicenda di Carlo e Diana è stata troppo rimasticata dall’immaginario collettivo, con l’erede al trono e la sua principessa che, invece di vivere la favola che tutti alle loro nozze (l’evento televisivo più visto della storia) avevano immaginato, si cornificano e mandano a quel paese in modo davvero poco regale. Tutti hanno un’idea già ben formata su cosa sia successo in quella relazione tanto, troppo esposta al giudizio della platea mondiale. Trascurando qualche complottista convinto (che immagina l’attuale Re Carlo III come mandante dell’omicidio dell’ex moglie) ognuno si è fatto un’idea plausibile di chi in quel matrimonio ‘affollato’ fosse la vittima, chi il carnefice, chi l’incauta incolpevole presa nel mezzo sacrificando la tranquillità esistenziale per amore (ok, lo ammetto, io parteggio da sempre per Camilla, e oggi vederla con la Belgian Sapphire Tiara per me è un’emozione, manco avessi combattuto per lei la battaglia di Bosworth). Quindi cosa? La quinta stagione di “The Crown” aggiunge poco alla conoscenza dei fatti, non rivela niente che i tabloid non abbiano già strillato mille volte, e pecca di una scrittura inequivocabilmente noiosa. Non ci sono statistiche che attestino l’esistenza di qualcuno arrivato al decimo episodio senza essersi mai addormentato durante la visione: nelle altre stagioni la lentezza era un’elegante scelta di stile, ora appare come il risultato di una sceneggiatura sfilacciata e poco, pochissimo coraggiosa.
Data dunque la scarsa compattezza dell’insieme, l’Algoritmo Umano non rilascia una recensione, ma di seguito emette una serie di freddi giudizi su quello che funziona e quello che non va in questa purtroppo deludente conclusione di una serie che ha amato molto (qui le recensioni alle precedenti stagioni). Dal momento che il casting ha spinto l’acceleratore sulle somiglianze tanto da dare come risultato una specie di raffinato talent show di sosia, ci concentreremo su attori e personaggi, facendo necessari e severi confronti sia con la verosimiglianza con le persone reali rappresentate, sia con gli omologhi interpreti delle precedenti stagioni.
PERSONAGGI ED INTERPRETI
LA REGINA ELISABETTA, Imelda Staunton, voto 5
Se Claire Fox (stagioni 1 e 2) è più bella della giovane Elisabetta, e Olivia Colman (stagioni 3 e 4) invece meno graziosa della Regina in età matura, Imelda Staunton è quasi identica a come era la sovrana verso i settant’anni, così come si è conficcata nelle iridi mentali della nostra generazione. L’immagine esteriore è tanto simile da far sembrare la Staunton appunto una sosia di Elisabetta II, e anche il lavoro fatto sull’accento ‘glass cutter’ rende perfettamente quello della sovrana del Regno Unito sentito in tanti discorsi ufficiali. Nonostante questo, e tenendo anche conto che i ‘sosia’ fanno sempre un po’ parodia, la minuscola attrice inglese non riesce a rendere la regalità innata che tutti riconoscevano in Elisabetta, né a far trasparire sotto la sua controllata inespressività i tormenti che la turbolenta famiglia le fece passare negli anni 80/90. Preservata la rigidità british della sovrana scomparsa, non evidenzia il silenzioso carisma del suo potere, così a lungo esercitato. Rimandata.
IL PRINCIPE FILIPPO, Jonathan Price, voto 6
Il personaggio del principe consorte è stato nel corso delle stagioni sempre il più interessante, con una certa ambiguità che lo ha reso umano e dunque simpatico. Qui Jonathan Price fa del suo meglio per rappresentare un uomo con le sue manie, le sue noie, la sua intelligenza non banale e un amore di fondo per la donna che, nonostante i tradimenti, non ha mai smesso di rispettare e supportare per settant’anni. L’attore quindi promosso (a noi italiani il sorriso tra bonario e cinico può ricordare quello di un anziano Raimondo Vianello), ma stavolta il personaggio immaginato da Peter Morgan manca di guizzi: la storia della passione di un anziano signore per le corse con le carrozze dei cavalli è una delle cose meno appassionanti mai apparse sullo schermo.
LA PRINCIPESSA DIANA, Elizabeth Debicki, voto 5
Ogni volta che l’attrice australiana compare in una scena, con capelli gioielli e abiti della principessa Diana, e nonostante il suo innegabile fascino, viene da pensare a quanto fosse più bella la vera Lady D, principessa del popolo. Sia la Debicki che la Corrin la scorsa stagione hanno studiato le pose e le moine classiche di Diana Spencer, rendendo con mimesi fenomenale quel (fastidiosissimo) sguardo da sotto in su che caratterizzava la timidezza sfrontata della principessa. Ma nessuna delle due è stata in grado di rendere il lato solare di questa donna complicata, il sorriso che ha travolto milioni di persone nel mondo, la sua bellezza interiore, e soprattutto non quella landa oscura in cui a volte annegava: Elizabeth Debicki è meno leziosa di Emma Corrin, rende meglio l’umanità della principessa, ma è lontana mille miglia dal far apparire qualcosa della devastazione emotiva che è stata la reale causa del fallimento del suo matrimonio, e, in definitiva, di una vita che poteva essere nonostante tutto meravigliosa. E, data la chiara tendenza al ‘tale e quale show’ di “The Crown”, in tutta onestà non si capisce come non si sia cercato di mascherare l’altezza ‘alpina’ di Debicki (uno e novanta senza tacchi), che svetta incongruamente su tutti gli altri: non avrebbero potuto sfruttare uno di quei trucchi cinematografici usati nel “Signore degli Anelli” per far sembrare credibile la differenza di altezza tra nani, hobbit e stregoni? Effetti speciali: bocciati.
IL PRINCIPE CARLO, Dominic West, voto 4 (media tra: 5 all’attore 3 al personaggio)
Meglio noto come il cattivissimo detective McNulty di “The Wire”, Dominic West è stato definito da qualcuno ‘troppo gnocco’ per il ruolo del Principe Carlo. Non trovo che sia questo il limite di West, che anzi tira fuori il lato fascinoso di un uomo non bello ma che a quanto pare risulta interessante agli occhi di chi lo conosce. Piuttosto l’attore non aggancia il lato fragile e umano dell’attuale Re d’Inghilterra (cosa che faceva meravigliosamente Josh O’Connor nelle stagioni 3 e 4), ripetendone invece solo i tic nevrotici come un mimo, e traslando le sue celebri rabbie (di cui abbiamo avuto visione in occasione dell’investitura a sovrano) nella forma di antipatici capricci da viziato. E’ evidente che qualcosa non ha funzionato, perché l’intenzione di Peter Morgan non era quella di far apparire il futuro sovrano in una luce così negativa: ha cercato anzi di dare una qualche grandezza al personaggio, almeno nelle sue frustrazioni legittime, ma questa dimensione viene solo ‘descritta’ nei dialoghi (la sorella Anna dice di vederlo maturo e sicuro, Tony Blair lo riconosce intelligente e capace, oltre che simpatico), non riesce ad essere davvero ‘rappresentata’. Gande fallimento per un personaggio che avrebbe dovuto essere protagonista nel ruolo di eterno (a)spettatore: Peter Morgan, bocciato.
MOHAMED AL FAYED, Salim Daw, voto 8
A parte la solita (vagamente razzista) incongruenza etnica (l’attore arabo-israeliano interpreta un egiziano), Salim Daw è l’interprete del personaggio a mio giudizio più riuscito della stagione, ovvero l’arrivista, arricchito, ricchissimo Mohamed Al Fayed, uomo d’affari egiziano alla conquista delle Gran Bretagna, padre dell’uomo insieme a cui Diana trovò la morte nel fatidico incidente di Parigi nel 1997 (che non si vedrà: la serie si ferma all’anno prima). In cerca di affermazione e legittimazione nel Regno Unito, Al Fayed non solo assume l’ex valletto del Duca di Windsor vivendo come un monarca di fatto, ma investe una barca di soldi per ristrutturare la villa dove proprio l’ex re Edoardo VIII aveva vissuto il suo esilio. Senza ricevere mai non si dice un grazie, ma nemmeno uno sguardo benevolo da sua maestà la Regina d’Inghilterra. L’uomo guarda a quella famiglia, a quella ricchezza ereditata, a quella classe ereditaria, all’eleganza di modi e abitudini, esattamente come la guardano molti di noi: con fascinazione ipnotica ma anche invidioso fastidio per chi ha avuto tutto senza muovere un mignolo. Moahmed Al Fayed, forzando un po’ le cose, siamo noi; il suo sguardo sospettoso, scaltro, ammaliato ma lucido, è il nostro, e l’immensa commiserazione con cui guarda quell’inetto di suo figlio marca la delusione di tanti che hanno faticato una vita per costruire qualcosa che qualcuno, immancabilmente, distruggerà. Promosso per disincantata simpatia, e per il guizzo vivido dello sguardo che rivolge alla troppo giovane principessa che sceglierà poi suo figlio.
LA PRINCIPESSA MARGARET, Lesley Manville, voto 7
Cinica, affezionata alla bottiglia, ironica ma in fondo ancora appassionata, Margaret è uno dei personaggi più belli e completi di ogni stagione. Vanessa Kirby e poi Helena Bonham-Carter hanno tratteggiato una donna con ombre spaventevoli e luci abbaglianti, un personaggio davvero drammatico, vicino al quale la figura fredda e misurata della regina rimaneva a volte appannata. Anche la vitale e strapazzata Margaret però appare sottotono in questa stagione, con un incontro col vecchio amore a cui aveva dovuto rinunciare che rimane un po’ lì senza significato, e il ruolo limitato a quello di contrappunto petulante alle istanze della regina: la sorella minore sembra star lì solo a ricordare a Elisabetta quanto sa essere stronza nel ruolo di capofamiglia. Però Lesley Manville riesce comunque a non relegare la sua principessa a figura ininfluente, donandole una graffiante acidità che fa capolino da sotto le numerose cicatrici di persona fragile dalla personalità contraddittoria: promossa.
IL PRINCIPE WILLIAM, Shenan West, voto 7
Il giovanissimo attore interpreta il principe preadolescente, ingolfato tra un padre ingombrante, una madre soffocante e i doveri inamidati di futuro erede al trono: per il ruolo di William ragazzino Morgan rispolvera la sua penna felice nel tratteggiare figure sopraffatte ma mai sconfitte, fragili e forti allo stesso tempo come fili di ferro che non si tagliano nemmeno con le tenaglie, come aveva fatto con la storia del piccolo Charles nell’odioso collegio scozzese nella stagione 3. Il sorprendente West è credibile nel ruolo di bambino che non può permettersi di essere tale, e colora di verosimile affetto il suo rapporto con la ‘nonnina’ regina. Un personaggio marginale ma riuscito, che ci piace immaginare in uno spin off sul destino del ‘principe invisibile’. Promosso.
JOHN MAJOR, Jonny Lee Miller, voto 7
Jonny Lee Miller, dopo anni segregato nel ruolo del più antipatico Sherlock Holmes della tv (quello di “Elementary”), si riscatta in quello del più neutro dei primi ministri della politica inglese, quel John Major che guidò la Gran Bretagna dal ’90 al ’97. Miller riesce a cavare dalla calma nullità del premier una sorta di tranquilla e consapevole saggezza, che lo rende capace di navigare situazioni diplomatiche e politiche che si affacciavano sul baratro del ridicolo, come il compito non ufficiale di mediare nel divorzio degli impazziti Carlo e Diana del 1996, e allo spettatore piace pensare che sia andata proprio così. Promosso con tutti gli occhiali oversize.
CAMILLA PARKER BOWLES, Olivia Williams, non classificata
Con Camilla la serie perde l’occasione di approfondire il personaggio più ambiguo, misterioso ed ‘essenziale’ della storia del Re d’Inghilterra. Magari perché la natura della vera Camilla è schiva e riservata, e il suo ruolo nella vicenda del matrimonio reale fallito così delicato e vitale da risultare troppo difficile da rappresentare. Fatto sta che del’attuale Regina Consorte vengono mostrate solo l’infinita pazienza con un uomo amato ma dal carattere forse impossibile, e una certa tendenza (accreditatale da molti) allo humor capace di sdrammatizzare situazioni anche tragiche. Olivia Williams sembra divertirsi a interpretare una signora che, tutto sommato, se avesse potuto avrebbe scelto diversamente come vivere la vita, ma anche qui il personaggio secondo noi avrebbe meritato molto molto di più. Non basta una frangia sugli occhi a ricostruire un personaggio. Parrucchiere promosso, sceneggiatori bocciati.