Tre pro e tre contro di “Shrinking”, la serie su Apple Tv che parla con allegria di psicologia, lutto e salute mentale, e che vede l’esordio televisivo di un rampante ottantenne, lo splendido Harrison Ford.
Jimmy Larid è uno psicologo cognitivo-comportamentale che ha perso da circa un anno sua moglie, e che questo lutto ha trasformato in uno sproporzionato fagotto di dolore e scelte sbagliate. Tutti lo sanno e cercano di aiutarlo, dalla figlia adolescente che non riesce ad affrontare il proprio lutto personale perché deve correre dietro alle tracce dei festini del padre, alla vicina di casa sin troppo presente e giudicante, al capo/mentore/collega che lo sorveglia da vicino senza parere, all’esuberante collega afroamericana sempre pronta a raccogliere i suoi cocci. Ma a far capire a Jimmy che è il momento di rimettersi a vivere davvero sono i suoi pazienti: incasinate e dolenti, le persone che gli si siedono davanti sembrano a Jimmy infinitamente meno afflitte di lui, e decide che è tempo di farle uscire dalla bolla relativamente confortevole di una terapia classica. Smette gli abiti di terapeuta ed entra, spaccando ogni regola, nelle loro vite private, con un’empatia fuori controllo, sperando inconsciamente di guarire lui curando loro, e creando uno scandaloso, sorprendente, vietatissimo cortocircuito tra cuore e ragione, tra amore e cura medica, che però forse (e sottolineiamo forse) potrebbe funzionare. I consigli troppo diretti ai pazienti su quello che devono fare e nel caso più eclatante la ‘adozione’ di un giovane sofferente di stress post traumatico provocano una serie di guai e incidenti a catena, che però portano prima di tutto alla risata lo spettatore, e in seconda battuta a una svolta positiva nella vita del terapeuta ormai fuori controllo.
Il protagonista, una storta di adorabile Paperino gigante a cui gira sempre tutto male, è Jason Segel (irriconoscibile, è il grosso e mite Marshall di “How I Met Your Mother”), il suo mentore è nientemeno che Harrison Ford, al suo esordio in tv, la collega sboccata, generosa, altissima e ‘superhot’ (come dice lei) è la veramente notevole Jessica Williams, e la vicina amorevole/insostenibile una vecchia gloria come Christa Miller.
Grazie a un cast centrato e a una sceneggiatura intelligente e misurata (autori oltre allo stesso Jason Segel sono Brett Goldstein e Bill Lawrence, premiati per “Ted Lasso”), nell’insieme i dieci episodi sono molto divertenti, e il vecchio trucco di far ridere partendo da elementi drammatici riesce alla grande.
Di seguito, l’algoritmo segnala le tre cose per cui vale la pena guardare “Shrinking” (da shrink, strizzacervelli) e le tre che possono invece lasciare perplessi.
MERITI
PARLA DI PSICOLOGIA E DI BENESSERE PSICHICO, TEMI ATTUALISSIMI, CON LEGGEREZZA
Il protagonista e due dei personaggi principali sono psicoterapeuti, un terzo delle scene sono sedute di terapia, la maggior parte delle interazioni si basa su tentativi di superare traumi presenti e passati: la terapia psicologica quindi, e i problemi di disagio mentale, sono al centro della trama. Si raccontano ferite emotive e come si superano, si ritrae la vita privata di professionisti del settore e la comunicazione informale tra loro, si mostra come uno psicologo invece di applicare le sue conoscenze alle proprie vicende finisca per incasinarsi peggio degli altri: tutto questo con competenza e precisione, ma con il tono tarato su Allegro brillante. I disagi fanno parte della vita, ognuno se guarda bene ne soffre un po’: mentre si affrontano seriamente si può anche riderci sopra. Questo è il mantra di “Shrinking”, che suggerisce che andare in terapia non è un dramma, che incontrare un terapeuta che non segue proprio tutte le regole non è un dramma, che sopravvivere a un dramma non è sempre un dramma, e comunque non lo è per sempre.
HA I DIALOGHI PIU’ DIVERTENTI DAI TEMPI DI “UNA MAMMA PER AMICA”
I dialoghi di “Shrinking” sono divertentissimi, veloci da far girare la testa, di una precisione delle tempistiche del botta e risposta da farli sembrare coreografie più che elementi di scrittura. Soprattutto gli scambi tra i tre terapeuti, che ovviamente sono imbattibili nel riconoscere sempre i motivi reconditi dell’interlocutore e negare i propri, risultano esilaranti nel loro fulmineo arrivare all’inevitabile disvelamento delle contraddizioni di chi sta parlando. Il gioco della parodia e dell’autoironia funziona a meraviglia, soprattutto col personaggio di Gaby, che riesce a sdrammatizzare veramente tutto, inclusa la propria rappresentatività di ogni minoranza emarginata possibile.
HARRISON FORD
Harrison Ford interpreta un anziano (l’attore ha 80 anni, facciamo finta di non ricordarcelo fin troppo bene quando giovane e aitante combatteva con la spada laser o si aggirava con la frusta e il cappellaccio) stimato psicologo affetto da un incipiente Morbo di Parkinson, fatto drammatico che lui affronta come ha affrontato apparentemente tutta la vita, con una saggezza scontrosa mascherata da cinismo e con una sferzante lucidità rispetto ai propri e agli altrui difetti comportamentali. Una parola ‘cattiva’ per tutti, Paul è il deus ex machina che alla fine risolve, scocciatissimo, tutte le situazioni. Ebbene Harrison Ford è una presenza magnetica sullo schermo, come sappiamo, e pur non essendo annoverato nella sacra lista dei ‘mostri di bravura’ di Hollywood, qui la sua interpretazione è talmente credibile e tagliata su misura che dopo ogni puntata ti viene da pensare ‘peccato che abbia il Parkinson poverino’, come fosse Harrison e non Paul ad essere affetto dall’implacabile malattia. “Shrinking” meriterebbe la visione anche solo per quei due o tre ‘vaffa’ che l’elegante signore coi capelli bianchi elargisce sornione al resto del mondo al momento giusto.
DEMERITI
PARLA DI PSICOLOGIA E DI BENESSERE PSICHICO, TEMI ATTUALISSIMI, CON LEGGEREZZA (TROPPA)
E’ vero che trattare un tema difficile con tono leggero è un merito, ed è vero che è onesto affrontare temi psicologici facendoli ‘presentare’ da esperti del settore, però se uno si aspetta che “Shrinking” rappresenti un “In Treatment” versione comedy dove si ride invece di strapparsi i capelli, allora proverà una bella delusione.
La serie mette al centro della trama la psicologia, sì, ma comunque tralascia del tutto l’approfondimento sia ‘clinico’ che filosofico di questa complicata branca del sapere, finendo per fare come fanno tantissimi prodotti seriali americani che sfruttano i cliché delle cognizioni basilari della psicologia per darsi una patina di credibilità intellettuale: usa la psicologia fondamentalmente come pretesto per parlare d’altro. Disonesto e furbo, “Shrinking” non si fa scoprire fino a circa metà della serie, quando si intravede dietro le battute geniali e le sindromi ossessivo compulsive che, come sempre, la risposta a tutti i problemi per l’americano medio consiste nell’immergersi nella melassa dei buoni sentimenti e nel sacro alveo della FAMIGLIA, anche se non più del tutto tradizionale.
Un po’ di delusione quindi, che però è redenta dall’ultimissima scena, che viene dopo il finale corale e (ri)conciliante: grottesca e cattivissima, si può leggere come una giravolta di senso che nega tutto quello che precede, e quindi salva in extremis dall’accusa di buonismo mascherato.
HA I DIALOGHI PIU’ DIVERTENTI DAI TEMPI DI “UNA MAMMA PER AMICA” (TROPPI)
I dialoghi a scapicollo a qualcuno non piacciono: noi, come detto più sopra, ne siamo grandissimi fan. Però in dieci episodi si dispiega un numero veramente esorbitante di dialoghi a due, conversazioni a tre, sedute di terapia, confidenze tra amici, schermaglie verbali tra padri e figlie e amanti e amati, tanto da sovrastare gli accadimenti veri e propri. Oggettivamente le chiacchiere superano le storie e rischiano di soffocarle, come in un pranzo che si preannuncia sontuoso ma è composto esclusivamente di antipasti e dessert, e tu ti chiedi che fine abbia fatto la lasagna.
HARRISON FORD (TROPPO FICO)
Il vecchio leone che arriva dalla giungla del cinema nella radura televisiva ruggisce con regale convinzione: il suo personaggio aderisce talmente alla sua figura da sovrapporsi ad essa, come Indiana Jones, come Han Solo, la maschera non si vede più, si vede solo l’uomo. In questo rendere reale il personaggio, Harrison Ford è talmente bravo, talmente naturale, da evidenziare le manchevolezze degli altri attori, così che gli altri personaggi finiscono per sembrare vagamente caricaturali. Troppo imbranato il protagonista, troppo estroversa l’estroversa Gaby, troppo adolescente l’adolescente Alice… La bravura di Paul, pardon, di Harrison è il valore aggiunto di un cast che finisce per mettere in ombra il resto del cast. Paradosso per paradosso, comunque, senza di lui questa serie non avrebbe una vera ragion d’essere.