Metti una sera in cui l’offerta multipla e la necessità di stare sempre sul pezzo ti paralizzano, e ti trovi a dover scegliere tra un reality che si autopromuove, un talent show che non si può perdere per non rimanere indietro e un documentario che esprime il meglio della nostra cultura: che fai?

A volte nemmeno lo streaming può salvarci. Un giovedì di metà settembre, per esempio, in cui è programmata su Sky la puntata d’esordio di “X Factor” (le audizioni degli aspiranti cantanti, programma nel programma, cioè gli episodi registrati che precedono, preparano e pre-definiscono la gara live dell’inverno, generalmente gustosissimi e necessari a farsi un’idea del ‘mood’ della stagione), ricomincia la stagione del pilastro RaiUlisse – Il piacere della scoperta” (con Alberto Angela che ti porta a spasso per i luoghi del Gattopardo e ti fa sembrare Palermo la città in cui chiunque sia veramente figo vorrebbe vivere), ed è appena stata rilasciata la puntata speciale di “The Ferragnez” che parla di Sanremo e della crisi tra Fedez e Chiara Ferragni (di cui non ti interessa un tubo, ma di cui tutti hanno parlato e scritto, e su cui allora decidi che anche tu devi avere un’opinione, sperabilmente negativa e snob), tu, utente con un numero limitato di ore a disposizione prima di crollare scompostamente addormentato sul divano, ma come devi comportarti?

Cioè lo streaming, l’on demand, la registrazione, il tasto blu ‘rivedi dall’inizio’, tutto al momento ti dà la possibilità di archiviare e rivedere con calma un programma, ma quando tu il programma lo devi vedere oggi perché domani devi parlarne e dire la tua, per non essere tagliato fuori dalla conversazione pubblica, quale sarebbe la scelta giusta da fare? Cosa guardare e cosa perdere, perché guardarlo poi non avrebbe senso? Privilegiare davvero la possibilità di intervenire in un ipotetico dibattito culturale pubblico parlando di derive social (anche se solo sulla chat di whatsapp dei parenti) oppure guardare una cosa che ti dà piacere o ti sembra che (retoricamente) ti ‘dia’ qualcosa in termini di stimolo genericamente intellettuale?

Privilegi i litigi del rapper che non rappa più con la moglie manager di sé stessa oppure le diatribe tra il cantante che non canta più (Morgan ci sei mancato tanto) e l’attrice che si rifiuta categoricamente di invecchiare? O invece scegli di farti cullare dal dolce e vagamente soporifero tono didascalico di Alberto Angela (che Dio benedica la genetica e ci conservi gli Angela nei secoli) che ti guida tra un oliveto siculo, una notazione architettonica sfuggita pure ai laureati in storia dell’arte e una malinconica intervista all’ex uomo più bello del mondo (Alain Delon, che si è rifiutato categoricamente di invecchiare bene) che si commuove parlando di sé stesso in una sorta di imbarazzante climax tra il delirante e l’egoriferito? Se i luoghi del Gattopardo alla fine li conosciamo tutti da sempre e il doc di prima serata su RaiUno alla fin fine non sei mai davvero arrivato alla fine, se X Factor coi suoi dibattiti e i commenti e l’inclusione e la correttezza esibita e la commozione a comando mostra ormai troppo smaccatamente la sua scrittura predefinita che forza gli argomenti e stabilisce a priori anche l’improvvisazione, se francamente i Ferragnez ma chissenefrega e comunque le cose che potevano interessare stavano già tutte nei 12 minuti del trailer dell’anteprima e prevedibilmente le sapevamo da febbraio (sì, Fedez è un mostro di egocentrismo ma calcola che era sotto psicofarmaci e vorrei vedere te, scampato alla morte da un mese e con una barbie petulante come moglie che si vorrebbe prendere la scena, e comunque se vuoi vedere Federico Lucia, è anche uno dei giudici di X Factor), ma allora, in definitiva, un poveraccio che vuol sapere tutto ma ha solamente un paio d’ore prima di cadere riverso, veramente, cosa fa?

Non so gli altri. Io ho registrato tutto, visto spezzoni di tutto saltando in qua e in là e facendomi un’idea sufficiente in cinque minuti per uno, ma tutto questo solo dopo aver passato la mia ora bella concentrata senza distrazioni a vedere la puntata rilasciata da Sky del mio crime preferito, un poliziesco inglese non recentissimo, “Scott & Bailey”, godendomi soddisfatta l’incomprensibile accento inglese di Manchester, l’ambientazione realistica e plumbea dei prodotti british, le indagini implausibili, i guai verosimili e i casini risolvibili dei due personaggi interpretati da Suranne Jones e Lesley Sharp, di cui oggi non parlerò magari con nessuno, ma che trasformano la visione di un programma in uno dei guilty pleasures che formano i gusti personali di ognuno e contribuiscono al piacere della vera libertà di scelta. Cioè poter guardare qualcosa di cui non hai molto da dire, che nessuno ti ha consigliato, e che forse manco consiglieresti a nessuno.

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