Il periodo natalizio è una zona franca durante la quale sia i bambini che gli adulti amano ascoltare e vedere sempre la stessa storia. Come succede per le favole. Noi ve la riraccontiamo, a partire dal famigerato Cinepanettone.
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Finalmente a casa
Per la prima volta il Cinepanettone non approda come di consueto nelle sale per conquistare lo scettro del box office ma, per ovvi motivi legati alla pandemia, esordisce direttamente in tv, disponibile già ora per il noleggio o l’acquisto su tutte le piattaforme principali (Sky Primafila, Amazon Prime, Infinity, Rakuten, Google Play etc) prima di sbarcare in prima tv sugli Sky Cinema a partire dal 27 dicembre, dove il rinnovato sodalizio artistico fra Christian De Sica e Massimo Boldi, con molta probabilità, farà il pieno di audience grazie a “In vacanza su Marte”.
Dopo aver festeggiato per anni il Natale in giro per il mondo, stavolta il regista Neri Parenti decolla verso il Pianeta Rosso che nel 2030 è diventato evidentemente una meta facilmente raggiungibile, ed è fuori dalla giurisdizione dei temuti avvocati. E’ quindi il posto ideale per Christian De Sica, alias Fabio, per far perdere le proprie tracce e sposare una donna facoltosa lontano dalla moglie e dal pedante figlio adolescente Giulio. Ma poiché non si può stare tranquilli nemmeno nello spazio, ecco che la famiglia insegue Fabio, e il figlio adolescente finisce in un ‘wormhole’ da dove esce trasformato in un arzillo settantenne, che ha le fattezze di Massimo Boldi. Con tutti i prevedibili equivoci che una situazione del genere può innescare permettendo ai due comici nostrani di duettare sfoggiando il loro collaudatissimo repertorio.
Ci si è interrogati spesso sui motivi dello strepitoso successo che i Cinepanettoni riscuotono ormai dagli anni 80 con cadenza annuale. Nonostante la comicità grossolana, le battute da caserma, il canovaccio ripetitivo, le sceneggiature lacunose.
Il primo motivo è che questi film, volenti o nolenti, continuano a mostrare l’evoluzione dei nostri usi e costumi, ma non come farebbe un freddo censimento dell’Istat o un serioso dramma d’autore.
Lo fanno presentandoci una versione riconoscibile di noi stessi e della nostra quotidianità. Senza pretese, in modo leggero e rassicurante.
Il Cinepanettone è l’esperienza cinematografica più rassicurante possibile. Perché? Semplicemente perché non è affatto un’esperienza cinematografica.
La stragrande maggioranza degli spettatori che affollano le sale per godersi il Cinepanettone frequenta(va) – e frequenterà – il cinema solamente in questa occasione. Una volta l’anno. Stop.
E sceglie di pagare un biglietto per ripetere un’esperienza che ha già vissuto tutti i giorni dell’anno a casa, sostituendo alla fruizione casalinga (solitaria o ristretta ai componenti della famiglia), la fruizione collettiva, e al salotto la sala cinematografica: una specie di luogo esotico che segni un’illusoria discontinuità dal magma della routine. Come il villaggio vacanze, tanto per intenderci.
Gli spettatori che amano il Cinepanettone cercano in un film volti, luoghi, e slogan riconoscibili. Vogliono e trovano la rassicurazione che scaturisce dal rincontrare quei personaggi famosi che ogni giorno hanno già visto nelle fiction, nei reality, nei quiz o di cui hanno letto su Facebook. Gli stessi delle comparsate sui Talk Show.
Anche il linguaggio, lo stile e il lessico sono prettamente televisivi. Ricalcano la comicità cabarettistica, cercando di scovare il paradosso ironico nelle vicissitudini del cittadino medio. Gli spettatori si affidano a loro, così come i vacanzieri si affidano all’animatore per dare una scossa giocosa ai loro corpi intorpiditi da eccesso di scrivania o stressati dal traffico bulimico, ma rimanendo nei confini della comfort zone.
Se provate a segmentare un Cinepanettone vi accorgerete, inoltre, che il tempo di una gag corrisponde alla durata di uno spot pubblicitario. Più o meno, non stiamo certo a sottilizzare aggrappati a un cronometro. Le sceneggiature dei Cinepanettoni sono una catena di spot pubblicitari agganciati l’uno all’altro.
Non è un caso che il Cinepanettone nasca e prosperi di pari passo con l’avvento delle televisioni commerciali e possa essere etichettato, senza nessun implicito giudizio negativo di merito, come un tipico prodotto berlusconiano. E’ la nostra storia. Ma non quella del cinema, bensì ‘la storia della nostra televisione al cinema’.
A proposito: è vero che il cinema è un’arte. Ma è altrettanto vero che si tratta di un’industria. Un genere comico in grado di incassare così tanto permette alla stessa industria di sopravvivere e di autoalimentarsi. Il pubblico va sempre rispettato. E così le sue scelte, l’importante è cercare di capirle e di definirle. Ben venga dunque la goliardata sgangherata; siano santificate le feste, le tette e i culi che quest’anno rimangono nel loro santuario originario. Finalmente a casa dunque. Per il telepanettone.
Vogliamo limitarci esclusivamente alla simpatia di De Sica e Boldi? La televisione accesa durante i raduni familiari natalizi (quest’anno per forza di cose limitati) è necessaria. Più dell’ineducato smartphone, il televisore costituisce la ciambella di salvataggio per cambiare la traiettoria di una conversazione antipatica evitando di finire in mare aperto e ricordarci che fra un po’ sarà tutto finito.
Di seguito una lista di film prettamente natalizi, da recitare a memoria anche con l’audio off.
UNA POLTRONA PER DUE (ITALIA UNO/SKYGO/NOWTV/INFINITY)
Certe cose succedono senza bene sapere il perché. “Una poltrona per due”, in Italia, ha ormai consolidato il suo ruolo di film natalizio per antonomasia. Va in onda ogni 24 dicembre ininterrottamente dal 2009, ma ha cominciato ad infiltrarsi fra pandori e pacchetti regalo sin dagli anni 90. La storia la conoscete tutti, o forse no, essendo spesso il film relegato a semplice sottofondo audiovisivo durante il raduno familiare. E’ una storia di riscossa degli imbrogliati e degli umiliati contro il razzismo e l’arroganza dei potenti. Il fulcro è la scommessa (di un dollaro) tra i due ricchi fratelli Duke. Mortimer Duke sostiene che alcune persone siano geneticamente predisposte alla delinquenza o al successo, mentre Randolph sostiene che sia l’ambiente a determinare le abitudini, il carattere e il destino di ogni individuo.
Come credere o non credere all’oroscopo, insomma.
Per via di questa scommessa, l’elegante manager Dan Aykroyd viene screditato e il suo posto viene preso dallo straccione Eddie Murphy, finché l’inghippo non viene scoperto e le due vittime ottengono la rivincita con l’aiuto di un maggiordomo e di Jamie Lee Curtis, la classica prostituta dal cuore d’oro e dal topless esplosivo. Già, il topless di Jamie Lee Curtis rappresenta lo sdoganamento ufficiale della nudità femminile non pubica a beneficio delle tavolate del cenone. E vogliamo parlare del riferimento zoofilo sul treno con il gorilla che sodomizza il manigoldo? O di un Babbo Natale lurido e ubriaco?
Irriverente ma edificante, il film di Landis uscì nel 1983 sfruttando la notorietà di Eddie Murphy, reduce dal successo di “48 ore”, e quella di Dan Aykroyd, il ‘blues brother’ rimasto senza John Belushi, morto nel 1982 (ma nel film c’è suo fratello Jim). Mentre Jamie Lee Curtis, che aveva esordito nel 1978 come ‘scream queen’ con “Halloween – La notte delle streghe” era un’attrice in rampa di lancio e nel pieno, erotico fulgore dei suoi ‘twenties’. Questo giusto per fornire qualche coordinata storica.
“Una poltrona per due” è diventato il film di Natale semplicemente perché c’è un palinsesto che lo ha scelto per noi; un allegro obbligo tradizionale da rispettare. Lo vedono tutti semplicemente perché è trasmesso in tv all’ora giusta del giorno giusto.
Ma a chi interessa? Molto probabilmente a nessuno. Ognuno avrà i suoi motivi per rivedersi questa commedia. Perché a tutti noi, almeno a Natale, piace riascoltare e rivedere la stessa storia. Io aspetterò serenamente il topless della Curtis, palpeggiando la mia fetta di panettone.
SETTE SPOSE PER SETTE FRATELLI (RETE 4, e da gennaio su SKY)
Corre l’anno 1954 e nel mondo del musical piombano i prestanti fratelli Pontipee, tagliaboschi dell’Oregon in cerca di una moglie per riscaldarsi nelle lunghe e innevate notti di inverno. Non essendo proprio dei seduttori implacabili, i Pontipee decidono di andare in città, sfidare i damerini e rapire le ragazze a cui sono interessati come ne “Il ratto delle sabine”. Si fa fatica a capire come ancora non abbiano avuto un hashtag tutto per loro, lanciato da qualche movimento femminista a caso. “Sette spose per sette fratelli” è ormai un film assimilato nell’immaginario degli adoratori del cinema hollywoodiano classico, ma all’epoca della sua uscita presentava due novità di rilievo. La prima era la rinuncia alle star, in un genere in cui dilagavano le performance di attori-ballerini come Gene Kelly e Fred Astaire. La seconda era la rinuncia al tip tap o a qualsiasi danza dal retaggio classico in favore di una forma di ballo più moderna e soprattutto acrobatica. Il cuore del film è infatti il ballo della festa in cui la quadriglia si trasforma in una gara atletica dove i rudi boscaioli fanno faville. Il film di Stanley Donen vinse l’Oscar per la colonna sonora ed è un vessillo del musical. Divertente, disimpegnato e naturalmente romantico. Anche per le femministe, evidentemente.
I PREDATORI DELL’ARCA PERDUTA (Netflix, Amazon, TIM Vision)
INDIANA JONES E IL TEMPIO MALEDETTO (Netflix, Amazon, TIM Vision)
Pur non essendo film natalizi per statuto, i primi due capitoli della saga spielberghiana con protagonista l’archeologo spericolato Harrison Ford, sono il tipico prodotto da seguire a Natale. Oltre ad essere la quintessenza dell’avventura che ci conduce in giro per località esotiche e ricche di mistero, riesce a mescolare commedia, azione, spionaggio, romanticismo, un pizzico di horror, le storie da romanzo d’appendice e il mondo delle graphic novel.
Il primo parte da un soggetto di George Lucas e Philip Kaufman, espanso in una sceneggiatura folgorante da Lawrence Kasdan, e ci sballotta fra Egitto, il Nepal e la Germania nazista.
Il secondo invece presenta il passaporto in Cina per poi condurci fra gli adoratori della Dea Kalì in India. Le sceneggiature sono talmente calibrate che in qualsiasi punto si incominci a vedere il film, si viene attratti, perché l’intrattenimento è totale e avvolgente; sono dei veri esempi di fabbrica dei sogni, grazie ai quali ci è possibile sbirciare fra le pieghe di missioni top secret e negli anfratti di mondi ed epoche lontanissime. Il filo conduttore è la regia di Steven Spielberg versione anni 80, veramente in stato di grazia. Se volete, su Netflix oltre a questi due è disponibile anche il terzo capitolo della saga: “Indiana Jones e L’ultima crociata” in cui Harrison Ford viene affiancato da Sean Connery. Padre e figlio alla ricerca del Santo Graal. Con il sempre compianto River Phoenix che interpreta Indy da giovane.
WILLY WONKA E LA FABBRICA DI CIOCCOLATO (ITALIA UNO/NETFLIX)
LA FABBRICA DI CIOCCOLATO (SKY GO/INFINITY)
Il cult dolciario targato 1971 per la regia di Mel Stuart e il suo remake firmato Tim Burton nel 2005.
Gene Wilder nel XX secolo e Johnny Depp nel XXI per una storia tratta dal romanzo di Roald Dahl.
Un gruppo di fortunati bambini che ha trovato un biglietto dorato nelle tavolette di cioccolata ha la possibilità di visitare la misteriosa roccaforte in cui il misterioso Willy Wonka vive come un recluso, entrando in un regno colorato e vagamente sinistro (specie nella versione degli anni 70). La versione burtoniana si fa preferire per gli effetti speciali, naturalmente, e per il ritmo, grazie soprattutto agli indiavolati numeri musicali degli oompa loompa. Quella del 1971 mantiene comunque una rigida stranezza surrealistica più vicina allo humor nero tipico di Roald Dahl. La fabbrica di cioccolato, in entrambi i casi, è un regno della fantasia che offre tantissime interpretazioni, anche di segno diverso, persino non rassicuranti. Un paradiso pirotecnico che se lo giri può sembrare un labirinto pieno di tranelli disseminati in un fiume di cioccolata.