6 film da dibattito + 1 per staccare la spina

Una selezione di 7 titoli in primatv su Sky per soddisfare ogni vostra pulsione cinefila

 

Situazioni estreme

THE HUNT

L’esperienza più estrema di caccia all’uomo” recita la locandina di “The Hunt”, un survival movie che porta il marchio Blumhouse, la casa di produzione di Jason Blum nata per confezionare horror a basso costo e che nel corso degli anni si è affinata, aggiustando anche la mira. Come non pensare, infatti, a “BlacKkKlansman” di Spike Lee, oppure a “Whiplash”? Ennesimo adattamento del racconto “La partita più pericolosa”, scritto da Richard Connell nel 1924, il film con Betty Gilpin, Hilary Swank ed Emma Roberts raduna dodici sconosciuti in un parco, alla mercé di un gruppo di cacciatori. La particolarità è che le prede umane selezionate hanno un filo conduttore legato all’hating sui social. Sottotesto politico e sociale, dunque, con finestra sulla realtà annessa, è un film che consigliamo perché la Blumhouse è sempre sul pezzo e sta riscrivendo gusti ed estetica dei generi cinematografici. Horror in primis, anche se questo proprio horror non è.

 

Ritratti femminili

DOLCE FINE GIORNATA

Un ritratto di donna, di un’intellettuale e, per estensione, di un frammento del mondo in cui viviamo ora. Il regista è un uomo, Jacek Borcuch, ma non sembra. Anche perché gli uomini nel film sono eclissati dall’ombra gigantesca di Maria Linde (Premio della giuria al Sundance per l’interprete Krystyna Janda), poetessa che odia l’omologazione e gli schemi più degli errori di grammatica e delle sbavature nella consecutio. La vittoria del Nobel diventa per lei il nulla osta per la libertà di parola, spudorata e intinta nel veleno contro ipocrisie, pregiudizi, e contro quelle convenzioni generiche che non hanno attenuanti generiche. Spirito libero tra le colline della Toscana, con al seguito un amante egiziano molto più giovane di lei, Maria Linde ci offre, con la sua inclinazione allo scandalo, uno sguardo per osservare l’oggi da una prospettiva di granito. Non senza conseguenze, per lei.

 

Cinema Orientale

A TAXI DRIVER

Sperando nell’onda lunga del successo del cinema coreano, Sky recupera questo film, del 2017, interpretato da Song Kang-Ho, uno dei protagonisti di “Parasite”. “A Taxi Driver” è un road movie politico ambientato nella Corea del Sud del 1980, ed è tratto dalla storia vera di un tassista del posto che accompagna un fotoreporter tedesco nella città di GwangJu, messa a ferro e fuoco dalle repressioni delle autorità contro gli studenti. Il film trova il suo motivo di maggior interesse nella differenza di prospettiva con cui tassista e fotografo guardano a quel massacro, che rimane una ferita ancora aperta nella storia coreana. Interessante il cambiamento di registro all’interno della narrazione, un po’ sovraccarica di retorica, che comincia sui binari della commedia per poi asciugarsi brutalmente, lasciando lo spettatore a tu per tu con la carneficina.

 

 

Ricordi criminali

CAPONE

Un gangster movie dal taglio biografico che racconta gli ultimi anni del celebre boss mafioso, impersonato da Tom Hardy.  Dieci anni passati in prigione hanno lasciato il segno e, una volta fuori, Al Capone fa a pugni con due demoni: la demenza senile e il senso di colpa per i crimini commessi. Ha 47 anni ma è già ai minimi termini e soprattutto dove diavolo ha nascosto 10 milioni di dollari? Il film è stato un mezzo flop: gli è stato rimproverato un eccesso di forzature grottesche, una regia che vuole strafare come se si sentisse in obbligo di marcare una differenza, tanto accentuata quanto il make-up, con le altre pellicole che hanno raccontato le gesta del bandito. Ma se vi piace addentrarvi nel tessuto malavitoso italoamericano (rimanendo nei confini della legalità) e arricchire il vostro personale curriculum in fatto di mafia movies, potrebbe fare al caso vostro. Anche per poterlo stroncare in santa pace.

 

Mostri d’animazione

MONSTER SCHOOL

Il mondo del cinema di animazione è ferocemente competitivo, con le sue scuderie, i creatori, i disegnatori e le varie maestranze di alto livello. E diventa sempre più difficile emergere, lasciando un segno. Solitamente arriva la Disney/Pixar e mette tutti d’accordo, alzando ogni volta lo standard di riferimento. “Monster School” invece ha il Dna messicano (lo produce la Anima Estudios) e non si appresta ad entrare nei manuali di cinema. Però non si può negare che sia divertente, spensierato, e costruito per acchiappare gli spettatori con suggestioni alla Harry Potter. Siamo in una scuola segreta per bambini prodigio e il quindicenne Danny, che ha ottenuto una borsa di studio, entra in competizione con la più brava, Liz. Talmente in competizione che per dimostrare le sue abilità, apre un varco verso un’altra dimensione stendendo un bel tappeto rosso a orde di creature mostruose. In generale si ha la sensazione che sia un prodotto fuori tempo massimo e che le soluzioni narrative siano inflazionate, ma è pur vero che ‘più sofisticato’ non sempre deve essere sinonimo di migliore. L’intrattenimento è assicurato, e tanto basta.

 

Temi scabrosi

GRAZIE A DIO

Il cinema di Francois Ozon non lascia mai indifferenti. Se poi decide di trattare di pedofilia in ambiente ecclesiastico, cosa aspettarsi? Niente sensazionalismo, tuttavia, ma molto spazio alla parola, al racconto. La parola come testimonianza che riattiva il trauma, lo mette su una bilancia, lo pesa ma non lo cancella. Accantonando le sue abituali scelte narrative e registiche molto pronunciate, Ozon opta per la misura e per il rispetto delle vittime di Bernard Preynat, il sacerdote di Lione accusato di aver abusato sessualmente di decine di ragazzi. Abusi narrati in prima persona da uomini ormai adulti quando scoprono che al pedofilo impunito e recidivo ancora viene data la possibilità di lavorare con i bambini. Nel silenzio di un sistema omertoso e connivente. Un film che si interroga sul concetto disonesto di perdono, da intendere come forma di ricatto, da usare furbescamente con l’accezione di prescrizione, di cancellazione di un’onta tenuta occultata. E sulla differenza di giurisdizioni fra giustizia laica e giustizia divina.

 

A ridosso della guerra

SEI MINUTI A MEZZANOTTE

Nell’estate del 1939, alla vigilia dell’invasione della Polonia, alcune ragazze appartenenti a facoltose famiglie naziste volano in Inghilterra per frequentare la scuola Augusta Victoria a Bexhil-On-Sea, una località affacciata sulla costa meridionale britannica. Formalmente si trovano lì per imparare la lingua inglese; di fatto i gerarchi di altro rango vogliono che le figlie diventino artefici e ambasciatrici del progetto espansionistico nazionalsocialista anche attraverso una rappresentazione hitleriana della femminilità. Un agente britannico viene incaricato di vederci chiaro sostituendo, sotto copertura, l’insegnante di ruolo, morto in circostanze misteriose. Tratto da una storia vera, è uno spy-thriller bellico giocato sul filo dell’ambiguità morale su cui incombe l’imminente disastro mondiale. Il nome grosso del cast è Judi Dench, ignara(?) direttrice dell’istituto, epicentro di sorveglianze, pregiudizi, missioni top secret.

Lascia un commento