In attesa della cerimonia del 25 aprile, che consegnerà i premi più ambiti dell’anno, vi proponiamo ogni giorno un film diverso fra i trionfatori del passato.

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UN PESCE DI NOME WANDA

(SKY, NOW TV)

OSCAR MIGLIOR ATTORE NON PROTAGONISTA: KEVIN KLINE

 

Si respira aria di Monty Python in “Un pesce di nome Wanda”.

Il gruppo comico britannico – un concentrato inimitabile di arguta irriverenza che aveva messo per anni a soqquadro il mondo dell’intrattenimento –  si era aggiudicato il premio Speciale della Giuria a Cannes nel 1983 con “Il senso della vita”, prima dello scioglimento effettivo, con ognuno dei suoi fantastici componenti (John Cleese, Michael Palin, Terry Gilliam, Graham Chapman, Terry Jones ed Eric Idle) a disperdersi per inseguire progetti personali, con risultati diseguali, alternandoli a collaborazioni con i vecchi amici e autocelebrazioni dei fasti del passato.

Nello specifico fu John Cleese, ancora baciato dalla musa della creatività, che nel 1988 tirò fuori dal cilindro questo diamante di comicità e azione, cinismo e spavalderia, chiamando a raccolta l’amico Michael Palin e due attori americani come Kevin Kline e Jamie Lee Curtis, forse nel momento del loro massimo fulgore. Poi ebbe l’idea di coinvolgere nel progetto anche Charles Crichton, il capomastro delle commedie inglesi anni 50, targate Ealing Studios, che non accendeva una macchina da presa e strillava “Azione”” da circa 20 anni.

Cleese costruì una congiuntura astrale irripetibile, come tutte le congiunture astrali, del resto. Infatti quando provò a riaccendere la magia scrivendo “Creature selvagge”, nel 1997, affidandosi allo stesso cast, l’incantesimo non si rinnovò e il sequel si rivelò un flop.

“Un pesce di nome Wanda” è un pezzo unico e inestimabile, così come quel malloppo di gioielli attorno a cui girano le vicissitudini della banda di criminali composta dalla seducente Wanda, del balbuziente Ken e dal tamarro paranoico Otto (Kevin Kline, che vinse l’Oscar). Il leader e organizzatore è George che finisce in prigione, non prima di aver nascosto il corpo del reato. Lestofanti americani, avidi yankees che svaligiano la Diamond House di Londra per poi ritrovarsi senza refurtiva e costretti a chiedere aiuto al pacato e inglesissimo avvocato interpretato proprio da John Cleese.

Un heist movie, quindi, un film di rapina. Ma di dove si trovi il bottino, alla fine, non te ne importa più nulla, quando ormai ti sei piacevolmente smarrito nelle gag e nei personaggi tratteggiati con precisione fin dentro le loro esilaranti idiosincrasie.

C’è Ken, l’animalista convinto, che per uccidere un’anziana megera finisce per eliminare tre yorkshire; il geloso e infantile Otto – fissato con Nietzsche e convinto che la London Underground sia un movimento rivoluzionario – che annusa ascelle e stivali prima di approcciarsi all’alcova; la maliziosa Wanda, mente e corpo della gang, i cui ormoni si imbizzarriscono quando Archie le parla in una lingua straniera.

In ogni sequenza, il film moltiplica chirurgicamente spunti ed equivoci, infilando il bisturi dello humor inglese fra le giunture di un mosaico action in cui tutti i tasselli si trovano nel posto giusto.

Viene da pensare a pezzi da novanta nostrani come “I soliti ignoti” di Mario Monicelli, oppure “Operazione San Gennaro” di Dino Risi, emblematici esempi di come anche la Commedia all’Italiana abbia saputo rigirare a suo piacimento uno spartito tipicamente statunitense. Facendo una giravolta, poi, non si può non accogliere il rimando a “Le Iene” di Quentin Tarantino, che colloca la rapina fuori campo e riscrive anche lui a suo modo il sottogenere dell’heist movie. Altri diamanti che fanno parte di una ricchissima refurtiva cinefila. Perché “Un pesce di nome Wanda” è ormai un classico. E come tutti i classici suggerisce altre visioni, si apre ad ulteriori digressioni, svela complicità e assonanze inaspettate, pur rimanendo indipendente nel suo valore assoluto.

 

LA SCENA CULT

 

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