DAL 12 OTTOBRE SU RAIPLAY “E’ ANDATA COSI’ – LA SERIE”, 7 EPISODI CHE RACCONTANO 30 ANNI DI VITA E CARRIERA DI LUCIANO LIGABUE, CON L’AMICHEVOLE PARTECIPAZIONE DI STEFANO ACCORSI
Il mondo si divide in due categorie: quelli che pensano che Ligabue faccia da trent’anni sempre la stessa canzone, e quelli che questa la chiamano coerenza stilistica.
Il mondo si divide anche in altre due categorie: quelli che pensano che Ligabue sia il Bruce Springsteen che ti può capitare se sei nato in Italia, e quelli che tra i nomi di Liga e del Boss vorrebbero lasciare almeno un’interlinea doppia, per non rischiare la lesa maestà rock dell’autore di Thunder Road.
Il gioco del dividere in due il mondo, o almeno l’Italia, potrebbe andare avanti parecchio, ma lasciamo perdere. Anche perché non è vero che il rocker emiliano di Balliamo sul mondo sia così divisivo. Luciano Ligabue incarna un’anima rock e un’italianità mai estreme, e se mai i suoi detrattori gli rimproverano proprio la mancanza di vera provocazione, di quell’estremismo che è così connaturato con il rock&roll.
Però tutti conoscono almeno un riff delle sue canzoni (anche quelli che ritengono che sia, appunto, sempre lo stesso riff), un ritornello di quelli che ti si infilano nell’orecchio, un’immagine efficace che descrive la monotonia e il ribellismo inutile della vita di provincia, come quella eternamente perfetta di Mario che dà un colpo di straccio al banco del bar.
Non è mica colpa di Liga, se la vita nella provincia della bassa padana è meno decadentemente affascinante di quella nel New Jersey (e mi scusi per la seconda volta il lettore springsteeniano per l’accostamento blasfemo).
Ligabue fa buona musica, ha una voce come ce ne sono poche in giro, sa scrivere e in un certo modo rappresenta una parte di noi: per questo non saranno solo i fan a guardare la serie dedicata ai suoi primi 30 anni (di carriera musicale), ma anche i semplici estimatori e chi ha incontrato solo raramente la sua bella faccia segnata da pellerossa di città.
E poi un po’ ne ha da dire, Luciano Ligabue: regista di due film (uno premiatissimo) e un documentario, scrittore di cinque libri, regista di videoclip, poeta…
E infatti Liga un po’ se la tira, questo bisogna riconoscerlo. Tanto vero che questa serie su RaiPlay è tratta dalla sua autobiografia “E’ andata così”, scritta a 4 mani con Massimo Cotto: un libro e sette episodi per raccontare sé stessi, non proprio una cosa che denota modestia. Però anche il suo ego è come lui: tutto sommato non arrogante, più sul genere brava persona, con quel fare lì che sa di lambrusco e pop corn, di tortellini fatti in casa e di schitarrate tra amici, anche se sempre urlando contro il cielo.
Luciano se la tira, ma non troppo, cerca di essere oggettivo, racconta sé stesso e la sua storia cercando di contestualizzarla, raccontando i fatti dell’epoca (quando ‘esplose’ il suo successo era l’anno della caduta del muro di Berlino) e mostrando quello che, fuori da Correggio e lontano dai palchi d’Italia, succedeva nel mondo.
Luciano Ligabue se la tira ma è consapevole dei suoi limiti: ha fascino ma principalmente con la chitarra in mano, dice cose intelligenti e interessanti, ma non è un affabulatore. Così, si fa aiutare, e a raccontare quello che succedeva a lui e al mondo dagli anni ’90 a ieri, interviene un antico sodale, Stefano Accorsi (protagonista del suo primo film da regista, quel Radiofreccia per cui entrambi vinsero un David di Donatello).
Quello che ne viene fuori è un piacevole racconto quasi tutto da ascoltare, che si può seguire anche facendo qualcos’altro, come la radio: la musica che passa sotto, le canzoni dal vivo, la voce roca e pastosa del rocker che – non lo sai come – parla in italiano con l’accento del Missouri, e quella impostata e solo vagamente colorata di dialetto dell’attore Accorsi.
Per i fan di Ligabue, non c’è bisogno dell’invito a guardare questo programma, per i non detrattori, l’Algoritmo Umano si sente di consigliare un avvicinamento almeno ad un episodio. Magari anche solo per poi dire ‘è andata così’.