SE NE VA UN’ALTRA COLONNA PORTANTE DELLA NATIONAL LAMPOON, QUELLA FUCINA DI ATTORI, REGISTI E PRODUTTORI LEGATI INDISSOLUBILMENTE DA UNA VISIONE DEL CINEMA E DA UN MODO DI CONCEPIRE IL MONDO ANTICONVENZIONALE E DISSACRANTE, CON CUI HANNO PIEGATO E SPEZZATO GLI SCHEMI DELL’AMERICA, CINEMATOGRAFICA E NON, RINNOVANDO LA COMMEDIA DAL SUO INTERNO, FACENDOLA ESPLODERE CON IL DETONATORE DEL DEMENZIALE.
Ivan Reitman, cecoslovacco di nascita e canadese di adozione, è stato uno dei paladini di questa creativa vena di follia. Insieme a John Landis, Harold Ramis (scomparso pochi anni fa), Bill Murray, Dan Aykroyd, Gilda Radner, Chevy Chase. Ce ne dimentichiamo sicuro qualcuno, non naturalmente John Belushi, cioè il simbolo, il Re incontrastato, forse il migliore di tutti, il battito costante – ancora oggi che non c’è più – che sta alla comicità del New American Cinema come Kurt Cobain sta al Grunge. Un paragone tutt’altro che campato in aria considerando che John Belushi fu davvero una rockstar, iconica e strabordante, in piena regola.
L’avventura di questo plotone di irriverenti visionari che ha dato vita a collaborazioni incrociate, in uno scambio frenetico di ruoli e mansioni, comincia con una rivista satirica, la National Lampoon, appunto, fondata nel 1970 da Douglas Kenney ed Henry Beard: un magazine stampato mensilmente fino al 1998 che fu la matrice di partenza, il quartier generale ideologico di una corrente controculturale, di un nuovo e anarchico spirito dei tempi. Una bottega sempre aperta ad accogliere le più numerose e differenti manifestazioni creative, che si sono ramificate in film, libri, fumetti, show radiofonici e spettacoli teatrali, rivisitazioni, parodie. Legandosi poi, come nella più classica delle affinità elettive, al Saturday Night Live, in cui tutti i suddetti artisti si sono riversati, ne sono stati l’ossatura, inventando personaggi e gag ancora oggi imprescindibili. Sketch pazzeschi, libertà creativa assoluta in un concentrato di improvvisazione ed energia. Comicità a livello altissimo, senza freni inibitori. Della loro storia, dei loro atti creativi fracassoni ed esplosivi, se ne trovano ancora le mine e le schegge nelle successive evoluzioni della commedia Made in Usa.
Ivan Reitman, che tutti conoscono soprattutto come il regista di “Ghostbusters” e “Ghostbusters II”, entra nella confraternita comica americana più fertile del dopoguerra in due step. Nel 1975 con le moltissime repliche dello spettacolo teatrale off-Broadway “The National Lampoon Show” e poi prepotentemente, producendo il sovversivo “Animal House”, per la regia di John Landis (sceneggiato da Harold Ramis, ed esordio al cinema di John Belushi, così tanto per dire…) uno dei film-manifesto, se non la pietra miliare, di tutto il movimento. Un college movie che demitizza l’american way of life, sconquassandone il sistema educativo in modo goliardico e istrionico ma spietato. Non un film di nicchia, ma di grande successo commerciale – 60 milioni di dollari a fronte di un budget di 3 – un bonus che non è mai mancato, di fatto, agli illuminati adepti della National Lampoon. Forse con l’eccezione di “1941 – Allarme a Hollywood” (regia di Steven Spielberg) un flop che, se venisse realizzato adesso, avrebbe sorte diversa e verrebbe incensato per la sua fertile natura caotica.
Poi, nel 1984 e nel 1989, i due “Ghostbusters”, certo. Ancora frutto di combinazioni e collaborazioni. Ivan Reitman alla regia, Harold Ramis li scrive e li interpreta con Dan Aykroyd e Bill Murray.
Nel 1988 con “I gemelli” (alla sceneggiatura c’è anche Timothy Harris, che aveva collaborato alla stesura di “Una poltrona per due”), Reitman estrapola il nettare comico dal corpo palestrato e fin lì relegato al solo genere action di Arnold Schwarzenegger: un colpo di genio che si ripeterà due anni più tardi con “Un poliziotto alle elementari” e nel 1994 con “Junior”, dove Reitman ripropone la sproporzione fisica fra Schwarzie e Danny DeVito.
Facendo un passo indietro, seguendo a ritroso il percorso professionale di Ivan Reitman, è doveroso citare “Polpette” del 1979 che lanciò la carriera di Bill Murray a capo di un gruppo di animatori vittime di scherzi in un campeggio, e il misconosciuto “Cannibal Girls”, quando ancora il poliedrico Reitman si dilettava con l’horror. Non solamente per questa ironica e grottesca storia soprannaturale di due fidanzati che finiscono nelle grinfie antropofaghe di un reverendo e di un trio di fanciulle, ma perché Reitman fu anche colui che produsse, nel 1975, “Il demone sotto la pelle”, il primo film di David Cronenberg ad essere distribuito.
La storia del cinema è fatta anche di questi sostegni reciproci e di poetiche opposte che si sfiorano agli estremi. Non tanto estremi, considerando l’uso comico che Ivan Reitman e i suoi colleghi della National Lampoon hanno fatto del corpo, della fisicità che prevale sulla parola, sgorgando nel soprannaturale o in mescolamenti fra mondi diversi (Reitman ha prodotto anche “Space Jam” dove Michael Jordan, con la sua supremazia agonistica incontra l’animazione dei Looney Tunes). Nello stesso “I gemelli” così come in “Animal House” è la differenza fisica fra DeVito e Schwarzenegger o la prorompente presenza scenica di Belushi a scardinare in chiave comica la narrazione. Così come il gigantesco pupazzo bianco nella sequenza finale di “Ghostbusters”. E naturalmente lo scienziato Alexander Hesse (uno Schwarzenegger con il pancione) che in “Junior” sperimenta su se stesso un farmaco scoprendo le gioie della gravidanza. Non è sorprendente quindi che all’epoca Reitman si fece incantare dall’ossessione di Cronenberg per le mutazioni e le metamorfosi del corpo, involucro destinato a debordare dentro e oltre i propri limiti.
La storia del cinema è inoltre fatta di lasciti e progetti interrotti. Il lascito riguarda “Ghostbusters: Legacy”, il terzo capitolo della saga (escludiamo il reboot tutto al femminile del 2016, slegato dal franchise originale) in cui è il figlio di Ivan, Jason Reitman, a presenziare la cabina di regia, con il genitore a supervisionare nelle vesti di produttore. Il progetto interrotto è invece “Triplets”, ossia il sequel de “I gemelli” lasciato da Reitman in fase di preproduzione e dal futuro per adesso incerto. Nella sceneggiatura, già scritta e in attesa di budget, un terzo gemello, di colore, interpretato da Tracy Morgan (che ha sostituito la prima scelta, Eddie Murphy) si unisce a DeVito e Schwarzie per un altro esempio di moltiplicazione delle alternative comiche con Reitman che sarebbe tornato dietro la macchina da presa a otto anni di distanza da “Draft Day” con Kevin Costner.
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