SU DISNEY + DISPONIBILE “ASSASSINIO SUL NILO”: A CINQUE ANNI DAL SUCCESSO DI “ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS” IL REGISTA INGLESE PROVA A REPLICARE LA FORMULA DEL RILEGGI E STRAVOLGI, PROPONENDO UNA NUOVA VERSIONE EXTRA POP DI UN CLASSICO DI AGATHA CHRISTIE
Kenneth Branagh ci riprova, e osa di nuovo ‘impugnare’ uno dei grandi classici della narrativa crime e già sperimentato successo nelle trasposizioni per cinema e tv, dirigendo e interpretando un’indagine di Hercule Poirot. Visto il successo della prima prova, naturalmente, mantiene la ricetta: tiene la trama poliziesca a perfetto incastro del romanzo, conserva l’ambientazione esotica sul Nilo e per noi vintage del periodo storico, uno sfavillante 1937, e mette totalmente a soqquadro il personaggio principale. L’Hercule Poirot del regista inglese è un nuovo, inedito, del tutto personale Hercule Poirot, che con la creatura letteraria e con il personaggio televisivo dell’azzimato investigatore ha in comune solo l’eccezionale funzionalità delle sue celluline grigie, e i baffi. Anzi. Nemmeno i baffi.
I BAFFI DI HERCULE
Branagh inizia il film con un prologo in bianco e nero su una vicenda che non esiste da nessun altra parte che nella sua fantasia: Poirot è un intelligente e sbarbato ufficialetto dell’esercito belga che fa valere la sua intelligenza sul campo di battaglia, ma che ne patisce qualche conseguenza. Conseguenza che spiega la scelta di farsi crescere appunto i famosi, curatissimi e ipericonici baffoni. La prendiamo come una dichiarazione di intenti: il mio Poirot, dice il buon Branagh, è sempre Poirot (ha i baffi), ma è mio (sono io il primo e l’unico a raccontare perché ha deciso di farseli crescere).
L’investigatore, come già nel precedente film “Assassinio sull’Orient Express”, ha dunque un passato, una storia sentimentale, delle emozioni e dei tormenti che travalicano l’ossessione per l’ordine e la capacità di penetrare nelle emozioni altrui, uniche caratteristiche personali che risalgono all’Hercule di Agatha Christie. Decisamente, questo Monsieur Poirot è più di Branagh che di Christie: il regista, e il suo fido sceneggiatore Michael Green, fanno quello che solo con i classici si può fare, prendono il personaggio e lo riempiono di significati, storie e simboli che non gli appartengono, ma che lo possono rappresentare. E se questa operazione vi mette a disagio, allora non guardate questa nuova versione ma quella fedelissima al romanzo originale di John Guillermin del 1978, con il pingue e ironico Peter Ustinov nei panni del geniale investigatore belga. Ma se lo stravolgimento, l’aggiornamento, la scheggia di follia vi intrigano, allora invece andate su Disney + e godetevi lo spettacolo di un prodotto sì di consumo, ma davvero originale.
LA TRAMA
Ha senso riassumere la trama di “Assassinio sul Nilo”? Chi conosce il romanzo, e la celebre trasposizione cinematografica del ’78, sa la storia. Chi non ha visto quel film o letto il libro, non riuscirà a capire niente della sintesi che si può fare in un articolo, data l’estrema, favolosa complessità della storia. Quella complessità che ne fa uno dei capolavori del genere crime, in qualsiasi contenitore formale lo si metta.
Tuttavia, anche una recensione ha le sue regole, e quindi in breve ecco i fatti. L’investigatore privato Hercule Poirot è in vacanza in Egitto e per una serie di coincidenze si trova a partecipare insieme al suo amico Bouc alla luna di miele sul Nilo della brillante coppia formata dall’ereditiera Linnet Ridgeway (Gal Gadot) e da suo marito Simon Doyle (Armie Hammer), che sono ben lieti di accogliere il celebre detective perché nel viaggio non si sentono sicuri, soprattutto a causa della ex fidanzata di Doyle, e carissima amica di Linnet, che li sta seguendo ovunque con il suo carico di gelosia, rancore e desiderio di vendetta. Quando la bellissima ereditiera viene uccisa durante la navigazione notturna della lussuosa chiatta Karnak, Poirot si trova a indagare prima dell’arrivo a destinazione, scoprendo che TUTTI i partecipanti al viaggio hanno un motivo per aver voluto uccidere la ricchissima neosposa, incluso il banale furto di una collana dal valore inestimabile.
Come nel precedente film, anche qui Hercule è nella scomoda posizione di dover dubitare di ognuno, e le cose si complicano quando altre morti vengono a funestare l’indagine e il viaggio stesso della ormai foschissima comitiva.
Personaggi cambiati, personaggi aggiornati, background completamente inventati: la trama si prende tantissime libertà rispetto all’originale, che forse qualche fan(atico) e purista del giallo potrà divertirsi a riconoscere, sottolineando le diversità dal testo e le somiglianze con i film del 78. Ma l’incalzare dell’indagine di Poirot, la ricostruzione dei motivi di ognuno e dei movimenti di tutti fatta dal detective, quella è la stessa. Ragionamenti, parole, immagini flash, capacità di osservazione, di collegare i fatti e i minimi dettagli: gli interrogatori di Poirot sono fiumi in piena di accuse, intuizioni e fulminee assoluzioni. Una capacità oratoria e affabulatoria che riconcilia questo personaggio all’originale Hercule Poirot, e che costituisce il nerbo, affascinante fino all’incantamento, del film. Meno d’azione del precedente, questo Assassinio è più simile a una calligrafica piece teatrale, ma nondimeno acciuffa l’attenzione dello spettatore anche più smaliziato con la frenetica perfezione degli incastri dei dialoghi e del procedere dei disvelamenti.
Una cosa ha in comune Kenneth Branagh con il suo personaggio: la vanità inarrestabile, derivante da una straripante consapevolezza della propria superiorità. Kenneth (magari gasato dalla vittoria dell’Oscar per la sceneggiatura di Belfast), come Hercule, non teme il ridicolo quando osa vorticosi giochi di ingegno e trucchi arditi, perché quello che conta è il risultato, alla fine. La soluzione del caso, per Poirot, la riuscita del film, ovviamente, per Branagh. Una dei personaggi, arrabbiata in quel momento con Poirot, per insultarlo tra le altre cose lo definisce ‘bombastic’. Altisonante, roboante, ampolloso, ridondante. Ma bombastico, che anche in italiano dal 2020 è accettato nel vocabolario, rende meglio, molto meglio.
BOMBASTICO
Questo Hercule Poirot, questo film, questo stile di regia, sono bombastici. Tanto bombastico, il regista e protagonista, da aver scelto stavolta (diversamente dall’Orient Express) un cast non di stelle, e viene il dubbio che sia una scelta bombastica per non essere oscurato dai comprimari? Tutti attori non molto noti, che non possono tenere testa al veterano Branagh, tranne forse il fascinsoso Armie Hammer, conosciuto per “Chiamami col tuo nome” la cui notorietà però nasce più dal gossip (le grottesche accuse di cannibalismo erotico (?) mossegli dalla ex fidanzata e quelle più compromettenti di violenza fatte da un’altra ex amante, che minacciano di stroncargli la carriera) che da supposta inarrivabile bravura.
Ma tutto nel film è bombastico, esagerato, fumettistico, vorticoso, coloratissimo, vintage da cartolina, con una recitazione volutamente sopra le righe. Ora però prendete questi giudizi, e pensateli come attributi positivi, e con questo stato d’animo accingetevi a guardare (o riguardare) il film: in questo modo non potrete non apprezzarlo. Contrariamente, se farete confronti con il classico, solare, elegante film del 1978, potrete trovare il più recente troppo… di tutto, e rischierete di non apprezzare lo scoppiettante giro di giostra.