Barbarian                                                                                                                              voto 7

(Disney +)

Il lato barbaro degli anni 80

BARBARIAN, SCRITTO E DIRETTO DA ZACH CREGGER, È UNO DEI MIGLIORI HORROR DISTRIBUITI NELL’ULTIMO ANNO, APPREZZATO DALLA CRITICA E AL BOX OFFICE, CON NUMERI DI TUTTO RISPETTO PER UN FILM DAL BUDGET DI APPENA 4,5 MILIONI DI DOLLARI. E QUANDO UN HORROR ATTIRA COSÌ TANTO INTERESSE, FACENDO BIPPARE ALTRI RADAR FUORI DALLA RISERVA ABITATA DAGLI ONNIVORI FAN DEL GENERE, VUOL DIRE CHE SI PERCEPISCONO SPUNTI, INTUIZIONI E LETTURE OLTRE I NITIDI CONFINI DEL FILM DI PAURA.

Siamo a Detroit, Michigan, per la precisione nel sobborgo degradato di Brightmoor, al confine nord-occidentale della città. Una zona soggetta a crisi immobiliare e tracolli economici che partono da lontano. Le punte delle radici sono anagraficamente affini agli anni 80 di Ronald Reagan, con l’inizio della gentrificazione, e da lì in poi un susseguirsi di questioni sociali ottusamente irrisolte, il riacutizzarsi di problemi gravi come la segregazione razziale e l’emarginazione. Una lunga storia di povertà e di senzatetto, di abitazioni una volta pittoresche e ora fatiscenti. Una edge of town in cui persino il buio ha paura dell’ignoto. L’ordine implicito è non mettere il naso fuori dalla porta quando cala il sole. Il problema sorge quando anche negli anfratti domestici si agitano i mostri.

Proprio di notte, tuttavia, e sotto una pioggia battente, arriva Tess (Georgina Campbell) per accomodarsi in un appartamento prenotato su AirBnB, ma lo trova già occupato dall’ambiguo e apparentemente inoffensivo Keith, a cui presta il volto Bill Skarsgaard, noto ai più per essere il Pennywise dell’ultima versione di “It”. Tess ha prenotato su una piattaforma, Keith su un’altra. Gli imprevisti di internet. Cosa deve fare la ragazza? Fidarsi oppure non fidarsi di accettare l’invito dello sconosciuto a pernottare? Fuori diluvia, c’è una convention in città e tutti gli alberghi sono pieni. I cliché dell’horror sono scolpiti nella celluloide e qui siamo esattamente in presenza della bella che rischia di finire nelle fauci di una possibile bestia. Ma sempre qui cominciano le traiettorie inclinate. Che non vi spoileriamo, ovvio. Certe domande su Keith che vi sarete fatti in mezz’ora di film non troveranno la risposta che vorreste. Finalmente un po’ di ambiguità, di aspettativa negata. Accontentatevi di qualche allusione agli snuff movie, di porte che cigolano, di passaggi segreti e presenze invisibili. Tutto il vademecum. Poi ad un certo punto, il colpo di scena che spezza il film in due e raddoppia gli interrogativi. Ed ecco che la storia ricomincia altrove, con un’altra luce, un’altra città, un altro protagonista aggiunto. Ma è una specie di falsa pista narrativa, che invece poi si riallaccia alla precedente.

Ci basta dirvi che quell’appartamento nel sobborgo fatiscente di Brightmoor è naturalmente una casa maledetta, un contenitore di spavento che contiene cunicoli e seminterrati della memoria. Un nido, letteralmente, del male, con metastasi di mascolinità tossiche e avanzi di mostri deformati da un inquinamento sociale rimasto escluso da necrologi e indagini di cronaca nera. Non tutti gli American Psycho finiscono a processo come Jeffrey Dahmer o vestono griffato come Patrick Bateman.

Barbarian modifica più volte il suo centro di gravità in corso di narrazione, lavora di piccone, spatola e cesello sull’estetica dei film horror, eludendola. Da claustrofobico e psicologico, l’horror piomba nel soprannaturale, percorre deviazioni e perversioni, accenna a una critica socio-politica, mantenendo tuttavia una coerenza impagabile perché si tiene stretti i punti di riferimento del genere horror.

Si potrebbe rispolverare la frase fatta: cosa vuole dirci il poeta? Se non fosse che Zach Cregger non è affatto un poeta, e nemmeno si pensava avesse la vocazione per l’horror. Zach Cregger è in realtà un comico, fondatore dei “The Whites Kids U’Know’, un gruppetto di mattacchioni appassionati di sketch da ridere. E che il suo unico altro film da regista – insieme al compagno di bisbocce Trevor Moore – è il demenziale “Miss Marzo”, la storia di un ragazzo che dopo quattro anni di coma scopre che la sua fidanzata del liceo è diventata una Cover Girl per Playboy. Aggiungiamo inoltre che da attore, Cregger si trova, ad esempio, nel cast di “Wrecked”, una sitcom-parodia di “Lost”. Insomma avete capito il tipo.

Un depistaggio nel depistaggio?

Scorrendo a ritroso la trama di “Barbarian”, se si torna al suo incipit, ci si domanda: chi mai aprirebbe un appartamento residenziale prenotabile su AirBnB in uno dei ghetti più violenti di Detroit e dell’America tutta? E soprattutto chi mai lo sceglierebbe per soggiornarvi?

La risposta c’è, ma non si vede. Nonostante gli spostamenti di postura, Barbarian rimane un horror, per carità, ma quei brevi, enigmatici flashback negli anni 80, alla luce del gusto corrente in cui il decennio reaganiano gode della benedizione dello spirito santo del revival, li possiamo considerare una beffarda red flag, un segnale d’allarme contro la globalizzazione arrembante, che rielabora il passato affinandone le massa grassa e malsana. Come un nutrizionista armato di photoshop. Tutto è globalizzabile: un ghetto di Detroit e persino la memoria, o il buon senso. Ormai la distanza tra l’oculatezza e la brutale realtà si copre con un clic ma rimane siderale nei fatti. Si può quindi collocare un appartamento AirBnB nel buco nero e criminoso di Brightmoor con la certezza che tramite Internet qualcuno davvero finisca per passarci la notte?

Sì, ed è una scintilla narrativa squisitamente (im)plausibile. L’asso nella manica a cui ripensi mentre scorrono i titoli di coda.

Quei segreti nascosti in fondo ai budelli puzzolenti della casa maledetta di Barbarian sono come una radio che canta, anzi urla, ‘una verità dentro la bugia’, come direbbe Raf. Gli anni 80 sono diventati una stupefacente miniera di citazionismo, una droga ipnotica, un illusorio scherzo della mente che obnubila retaggi brutali. Ma in fondo alla miniera, esattamente come nella casa del film, ci sono labirinti dimenticati. Tuttavia, questi retaggi che in Barbarian si fanno, di rimbalzo, critica sociale e politica non costituiscono il centro del film. I rottami dell’America di Reagan non sono un tema, ma una delle tante opportunità di riflessione, che apre altri squarci su altri argomenti, come la mascolinità depravata e impunita, l’istinto materno grottesco, l’oblio sociale delle vittime invisibili. In conformità con il resto della struttura narrativa del film che si diverte a schivare le aspettative, Barbarian suggerisce interpretazioni che vanno oltre il testo filmico. La legge non scritta degli horror di qualità.

 

Lascia un commento