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Per commentare la terza serata copiamo Achille Lauro che copia il sé stesso sperimentale, e proponiamo una serie di quadri che chi legge dovrà interpretare, una cosa non esaustiva perché non siamo più un paese per 26 giudizi ragionati

QUADRO 1: IL SUCCESSO DELLE COVER

La serata in cui tutti i 26 cantanti in gara si esibiscono con canzoni già note, di altri, e spesso insieme a un ospite/amico/collega è la serata più piacevole. Coinvolgente, appassionante, inclusiva: tu spettatore puoi dire la tua perché quella canzone la conosci già e anzi, puoi mugolarne il ritornello, cosa che con le canzoni nuove al Festival di Sanremo non arrivi a fare nemmeno all’ultima serata: ci vuole il potere della radio e del tempo, per creare un tormentone.
Le versioni delle canzoni ci sono piaciute TUTTE. Nessuna esclusa, ci siamo goduti anche i medley (scelta un po’ paracula e in fondo insensata fatta per esempio da Michielin-Fedez e Ghemon coi Neri per caso (sì, I neri per caso: e diteci come vi siete sentiti quando avete scoperto che sapevate a memoria le ragazze si lanciano ad occhi chiusi nelle avventure).
Tutto buono: i capolavori non si riesce a rovinarli nemmeno volendo, le canzoni mediocri spesso puoi migliorare, e in ogni caso risentire melodie molto conosciute è come rincontrare i compagni delle superiori: lì per lì ti fa comunque piacere.
Si basa su questo il successo della serata delle cover, in cui tutto è più facile e naturale, e che trasforma un po’ Sanremo in un X Factor mooolto lungo e con un pubblico più vecchio.

QUADRO 2: LA NUOVA VITA DELLE CANZONI

Tra le canzoni meravigliose che nessuno può rovinare mettiamo
Cirano, di Guccini, cantata bene da un Irama assente (lui in quarantena, va in onda la prova generale che autoelimina la tensione, e la performance ne guadagna).
Giudizi Universali di Samuele Bersani che Willie Peyote canta con Bersani (e vorrei vedere che l’autore rovina una delle sue canzoni più belle) dando vita a un’esibizione ‘normale’ nel senso sublime del termine.
Caruso di Dalla, cantato da Ermal Meta che conquista gli orchestrali, ieri sera anche i giudici, e finisce in prima posizione cantando bene un inno nazional popolare, anche qui nel senso sublime del termine (ce n’è uno, pensiamo).

Tra le canzoni ringiovanite da una versione ‘stravolta’ mettiamo

Gli anni degli 883, strapazzata e gentilmente presa in giro da Gio Evan con i cantanti di ‘The Voice Senior’: divertente, folle, autoironica.
Penso positivo di Jovanotti attualizzata con ironia e surreale convinzione da Fulminacci con Valerio Lundini  e Roy Paci: un inno folle e godibile che regala sul finale il verso clou di Sanremo 2021: “la musica… la pandemia”.

Tra le versioni eccellenti mettiamo

Amandoti dei CCCP interpretata dai Maneskin e Manuel Agnelli: una canzone di bellezza struggente in mano al giovane rocker e alla sua stella polare (Agnelli è il mentore dei Maneskin a X Factor: ‘Damiano l’ho inventato io’, direbbe se fosse Manuel Baudo) diventa una canzone di bellezza struggente, ma in più arrabbiata, rauca, elettronica, seducente, pericolosa, erotica e omoerotica. Emozionante al punto da mettere in imbarazzo.
Splendido splendente, di Rettore, proposta da La rappresentante di lista con la mitica, immane Donatella Rettore. La Rettore è della stessa ‘nidiata’ della Bertè, arriva sul palco e tu le vuoi bene e ti chiedi ma quanto era moderna a scrivere questo testo nel 1979? Splendido splendente/ costa poco e finalmente / io sorrido eternamente, paradosso di autocitazione con una Rettore dal volto botulinato e fisso, ma dall’immutato carisma musicale, che ben si amalgama con la modernissima attitude gender-fluid della Rappresentante di lista, per un’esibizione da brividi.


Insieme a te non ci sto più, di Paolo Conte, interpretata da Malika Ayane. Arrivederci amore, ciao: un classico veramente per tutti e per tutti i tempi, con una musica che penetra sotto i gusti musicali di ognuno e attraverso i generi e si pianta lì. E Malika si conferma interprete di gran classe con poche chiacchere.
Non è per sempre degli Afterhours, interpretata da Lo stato sociale con Emanuela Fanelli e Francesco Pannofino: la canzone è di suo di quelle che vanno sottopelle e ‘fanno pensare’, e anche se la voce del cantante della Band non è quella di Manuel Agnelli, la versione è potente e trascinante, e il finale con la lista dei luoghi cultura e spettacolo che sono chiusi un atto necessario e forte che ancora nessuno aveva fatto: i diritti sono uno spettacolo.

Le versioni che non ci sono piaciute, per rimanere in linea col Pensiero Positivo di Jova, non le nominiamo proprio. Lasciamo solo un sospeso: non sappiamo se la versione rappata e un po’ incazzata di Gianna di Aiello e Vegas Jones ci è piaciuta. Forse sì ma abbiamo paura che Rino Gaetano non avrebbe approvato.

QUADRO 3: LA POLEMICA

Non poteva mancare: portare i fiori solo alle donne è galanteria o sessismo? Comincia Francesca Michielin a cedere il suo mazzo al compare Fedez, poi Vittoria dei Maneskin regala il suo a Manuel Agnelli, e così a cascata, nessuna oltre Orietta Berti riesce ad accettare con grazia spensierata l’omaggio floreale che ti inchioda al tuo genere biologico, e sui social parte la polemica.
Noi vorremmo scegliere l’opzione ‘regalare i fiori alle donne è galanteria’, ma sappiamo che la domanda successiva è ‘La galanteria verso le donne, è essa stessa una forma di sessismo?’, e non siamo pronti. Anzi pronte. Anzi pront*.
Però una cosa la diciamo: proprio nella sera in cui si mette in discussione questo antico gesto che forse sottolinea una forma di patriarcato, sul palco di Sanremo torna la valletta, ruolo –questo senza dubbio- inaccettabilmente sessista, subalterno e francamente vecchissimo.
La iper-bella Vittoria Cerretti sta accanto ad Amadeus senza un vero senso, legge delle cose che poi il conduttore ripete anche: ben lontana dal ruolo dell’attrice De Angelis (femmina alpha che si è presa la scena) e della cantante Elodie (che esibendosi ha dato senso alla sua presenza). La presenza immota della bellezza femminile accanto ai conduttori piacioni è decisamente un pollice verso della serata.

QUADRO 4: IL VARIETA’

Il varietà è quello che è, però stasera mettiamo un cuoricino, un pollice su e un appaluso virtuale a Fiorello perché lui ce la mette veramente tutta, e non deve essere facile in quel teatro fantasma e con i suoi testi fantasma.
Alcuni incidenti di percorso poi fanno saltare la scaletta, e lo spettacolo se ne giova alla grande: Slatan Ibrahimovic arriva in ritardo e pare che dica cose che gli vengono in mente e non quelle che erano previste. Più umano, più simpatico, e la sua risata vera è un tuono da titano che ispira simpatia.
Umano e caldo anche il momento con l’altro campione di calcio serbo Siniša Mihajlović , reduce da una battaglia vinta contro la leucemia che porta in scena con un coraggio disinvolto che si smarca dalla retorica.
E abbiamo apprezzato pure i due ineliminabili momenti ‘impegnati’: l’attrice Antonella Ferri che porta sul palco un monologo sul suo essere ma non essere solo una malata di SLA, e Donato Grande, calciatore della nazionale di Powerchair Football che gioca a pallone in sedia a rotelle con Ibra, scansano la lacrima, danno una testimonianza vera, e portano sulla scena la regola di come la vita va presa a volte: a calci e stampellate, senza rinunciare mai al sé più autentico.

QUADRO 5: IL QUADRO DI ACHILLE

Achille Lauro continua la sua sperimentazione artistica e canta Penelope con Emma, ambientando il quadro in una classicità greca tutta dorata e rarefatta: divide, chi lo adora qualsiasi glitter decida di mettersi, e chi quando arriva lui inizia a reclamare cantanti in giacca cravatta e scarpe da tennis. Noi ci teniamo il verso fulminante della sua intro ‘DIO BENEDICA GLI INCOMPRESI’, e ce lo facciamo bastare.

 

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