In una baita isolata nei boschi, una bambina di otto anni e i suoi due padri adottivi subiscono l’irruzione di quattro sconosciuti sciroccati che chiedono agli ostaggi di compiere una scelta disumana per salvare l’umanità. Un sacrificio atroce e inaccettabile per evitare che gli oceani si sollevino e che l’oscurità avvolga la Terra.

“Bussano alla porta”, tratto dal romanzo “La casa alla fine del mondo” di Paul G. Tremblay, è un home-invasion da sgomento, come è nello stile di M. Night Shyamalan, che in un batter di cinepresa e in un accapo di sceneggiatura è capace di passare dal dramma da camera, anzi da baita, all’horror/thriller apocalittico, rimanendo in equilibrio sul filo della suspense e della sospensione dell’incredulità, mentre sgancia una bomba narrativa che demolisce la struttura stessa del mondo e le regole esistenziali basiche degli individui. Un’opera sadica e ambigua che si intona al resto della filmografia del regista indiano-americano, paladino dei plot twist e custode di voragini d’angoscia.

Che il ribaltamento narrativo in corrispondenza dell’ultimo atto sia il marchio di fabbrica di Shyamalan è cosa risaputa. Non si tratta tuttavia di capovolgimenti posticci e fini a se stessi. L’abilità di accumulare suspense per poi creare meraviglia in un pugno di inquadrature senza disgregare la sceneggiatura fin lì orchestrata è, in ogni sua opera, il tassello rivelatore di un puzzle più ampio, che costituisce lo storytelling complessivo di Shyamalan, la sua poetica ossessiva. È l’urlo coerente e insistito di un esistenzialista che ha scelto di pungolare l’ignoto per evocare le angosce che lo opprimono, rovistando in un magazzino di generi e temi condivisi, al centro dei quali palpita l’ambivalenza tipica della fiaba, consolatoria e al contempo spaventosa; un giardino familiare nella cui armonia stridono fruscii agghiaccianti e si protendono ombre deformi.

Shyamalan rumina ossessioni come un overthinker da manicomio, lo stesso manicomio in cui, possiamo immaginare –  se giochiamo a mescolare realtà e finzione – si ritrovano L’uomo di vetro (Samuel L. Jackson) L’orda (James McAvoy) e il Sorvegliante sovrumano (Bruce Willis) in “Glass”, ultimo capitolo della trilogia di supereroi più atipica della storia del cinema, come vedremo più avanti.

Un regista che vede la gente morta ne “Il sesto senso”, la fa invecchiare in un batter d’occhio in “Old”, la rinchiude al limitare di un bosco in “The Village”, la fa suicidare senza un apparente motivo in “E venne il giorno”. Oppure infila una mitologica creatura acquatica in una piscina condominiale, come in “Lady in the Water”.

Ghost Stories, superpoteri, fiabe gotiche, gli alieni di “Signs”, mostri, miti, spettri, fobie allarmanti. Shyamalan corteggia da sempre l’incombenza di un’apocalisse che giace in un altrove molto vicino, di cui si sente il rantolo macabro.

Dietro la porta del cinema di Shyamalan, sta sempre per bussare quel ‘sense of wonder’ che segna il passaggio da ordinario a prodigioso, da normale a trascendentale, con i suoi eroi costretti a trovare un nuovo assetto in un mondo che è stato espanso dal soprannaturale, assediati da una paura che solitamente preferisce sostare a lungo nello spazio più ignoto che il cinema abbia concepito: il fuoricampo, dal quale si captano i riverberi delle paranoie più irrazionali, il respiro di qualcuno, di qualcosa di inspiegabile, che sta nel rimosso, nel buio, nei meandri di uno spazio scenico estraneo e off-limits.

Si tratta di un autentico ‘Shyamalanverse’ in cui proviamo ad entrare con una guida ragionata, e volutamente non esaustiva, a quelli che riteniamo i suoi film più essenziali, con dei consigli di visione cuciti su misura per l’occasione.

 

THE SIXTH SENSE – IL SESTO SENSO

(Rakuten, Amazon)

Entrato nell’immaginario collettivo, “Il sesto senso” è il biglietto da visita con cui Shyamalan bussa alla porta del cinema (e del box office) che conta, confezionando con cura certosina un thriller paranormale che costringe lo spettatore a una rilettura dell’opera dopo il colpo di scena conclusivo. Un film-brand che, rivisto oggi, acquista ancora più spessore e sostanza alla luce di ciò che Shyamalan avrebbe realizzato successivamente. Nella storia di uno psicologo impegnato a curare un bambino perseguitato da insopportabili allucinazioni funeste, Shyamalan collega le inquadrature componendo un’insinuante senso di precarietà, giocando al gatto col topo con il processo di identificazione dello spettatore.

 

THE VILLAGE

(Disney)

Nella Pennsylvania di fine 800 gli abitanti di un villaggio vivono in isolamento nelle vicinanze di un bosco abitato da bestiali creature innominabili con cui gli anziani del paese hanno sancito un patto di non belligeranza: il divieto assoluto di ogni individuo della comunità di inoltrarsi fra quegli alberi, in cambio della certezza di non essere aggrediti e invasi da questi mostruosi padroni della foresta. Finché una giovane non vedente in cerca di medicine infrange la regola ed entra nel territorio proibito, fidandosi solo del tatto e dell’istinto, scoprendo una verità sconcertante. Con una specie di “The Truman show”, ma declinato a fiaba gotica, Shyamalan firma un’allegoria lunare e affabulatoria, dalle suggestive componenti cromatiche, sulla paura come archetipo paralizzante e come strumento di persuasione fittizio creato dall’uomo, allargando la sua riflessione sulle mistificazione insita in ogni atto di fede, dalla religione alla solennità del racconto orale, con i suoi miti e i suoi dogmi che si tramandano di generazione in generazione.

 

THE VISIT

(Apple, Rakuten, Amazon)

Nel 2015, per il film della rinascita, successivo al doppio flop di “L’ultimo dominatore dell’aria” e “After Earth”, Shyamalan si fa un giro nella bottega della Blumhouse, e con la supervisione di Jason Blum cambia filosofia e ritorna all’antico: un cinema all’insegna del ‘Less Is More’. Una drastica riduzione del budget a disposizione lo costringe a inseguire quel tipo di creatività che si sprigiona dall’avere dei vincoli. Lavorando sui rudimenti del genere horror e con la spinta dell’espediente narrativo del mockumentary, la casa dei nonni diventa l’epicentro di un turbamento insopportabile per due nipoti mandati allo sbaraglio.

 

UNBREAKABLE – IL PREDESTINATO

(Disney)

SPLIT

(Netflix, Amazon Prime)

GLASS

(Rakuten, Amazon)

 

In “Split”, tre ragazze vengono rapite da uno psicopatico a cui sono state diagnosticate ben 23 differenti personalità. Ma la più minacciosa, quella che manovra il tutto, è ancora nascosta nella sua psiche caotica. “Split” è il secondo film di una trilogia mai ufficialmente annunciata, una saga di cui fino all’ultimo nessuno era a conoscenza – come succedeva con le location dei rave di una volta. Un film che svela la sua identità di sequel solamente in corso di visione, con un frame conclusivo (il solito twist, ancora più illuminante) che lega le vicende di un criminale (Crumb/James McAvoy) affetto da dissociazione dell’identità a quelle di Bruce Willis e Samuel L. Jackson nel criptico e atipico cinecomic che è “Unbreakable – Il predestinato”. In coda a “Split”, dunque, Shyamalan riavvolge il nastro tornando alla genesi del giustiziere in impermeabile e della sua fragilissima nemesi storpia.  Riporta alla ribalta il film trasformandolo, due decadi più tardi, in una origin-story che è un omaggio mistico e metafisico ai fumetti e al posto che occupano nel macrocosmo della cultura pop – un serbatoio, di storie, miti e relazioni intertestuali. “Unbreakable è un drama-comic sue due personaggi mai apparsi sulle tavole di una graphic novel né appartenenti a nessuna scuderia, che Shyamalan codifica alla stregua dei più famosi supereroi. E infine, con il capitolo forse conclusivo, “Glass”, il cineasta unisce i puntini del crossover rilanciando la sua sfida low-budget e ad andamento lento agli straripanti giocattoloni della Marvel e della Dc Comics, sigillando una trilogia asciutta e antispettacolare, facendo incontrare e interagire i tre predestinati fra le stanze di un istituto psichiatrico, sottoposti alle cure di una dottoressa che deve anestetizzare la loro convinzione di possedere delle abilità speciali.

 

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