Su Netflix un film fanta-apocalittico con un cast, una storia e un produttore d’eccellenza, ma che non riesce a eccellere e scavalcare il recinto di una storia edificante e politicamente ultracorretta

Julia Roberts, diva divina, Mahershala Ali, doppio premio Oscar, Ethan Hawke, che ha sempre il suo perché, Kevin Bacon, specializzato in ruoli di sgradevole figlio di p****, formano la punta di diamante di un cast che è praticamente finito lì (oltre a loro, solo i tre interpreti dei personaggi dei figli); Sam Esmail, autore di apprezzate serie di fantascienza e limitrofi, “Mr Robot” e “Homecoming” (qui la nostra segnalazione dell’epoca), è il regista; nientepopodimeno che Michelle e Barack Obama sono i produttori esecutivi di questo fantathriller apocalittico visibile su Netlfix, “Il mondo dietro di te”.

Una famiglia formata da madre stressata pubblicitaria in carriera, padre professore universitario dolce e distratto, figli adolescenti dipendenti da smartphone e tecnologia, va al mare per un fine settimana di vacanza, nei pressi di New York. Subito strane cose iniziano a turbare l’atmosfera, e quando il padrone della casa che i Sanford hanno affittato si presenta alla loro/sua porta di notte insieme alla figlia, dicendo che la città è vittima di uno strano blackout, la tensione, come si dice in gergo, inizia a salire. Sconosciuti in casa (ancorché in casa loro, c’è da dirlo, sono pur sempre sconosciuti NERI, come la ragazzina odiosissima non fa che rimarcare per accusare di razzismo la famiglia bianca) e minaccia lontana che però rimane indefinita, perché a complicare tutto c’è che i telefoni non funzionano, Internet non funziona, la tv satellitare non funziona, e niente di può sapere di quello che succede fuori da quella splendida villa isolata nel nulla. Non funziona niente, i quattro più due sono quindi tagliati fuori dal mondo, e sulla televisione appare il non troppo tranquillizzante messaggio ALLERTA NAZIONALE, che sottoscrive la mancanza di qualsiasi altra informazione da qualsiasi altra fonte digitale (tenendo conto che le fonti di informazione digitale sono le uniche che abbiamo a disposizione oggi, si capisce il senso di frustrazione che monta nei personaggi, e onestamente anche negli spettatori).
La tensione sale, lentamente ma inesorabilmente, di questo va dato atto al film. Che somma con estrema calma e precisione alcuni eventi slegati parecchio inquietanti. Pian piano, con l’intuito e con i segnali della natura che li circonda nella bolla silente in cui sono loro malgrado esiliati insieme, i protagonisti capiscono che forse è in atto un cyberattacco su scala nazionale. Inquietudine e sospetto, che la squadra che si è ormai formata tra padroni di casa, affittuari e spettatori sul divano finalmente collega allo strambo avvenimento del giorno prima: una nave (“è una petroliera”, pigola didascalico Clay Sanford per tre o quattro volte) è finita a fendere la sabbia della spiaggia su cui stavano prendendo tranquillamente il sole i bagnanti, col rischio di travolgere qualcuno. Non si spiega, ma a questo punto si capisce: i sistemi satellitari sono andati in tilt, e la petroliera era guidata da uno di quelli, naturalmente. Da qui in poi, diverse immagini molto potenti contribuiscono a dare la dimensione del disastro, e a gettare benzina sul fuoco dell’angoscia e della tensione. I cervi che affollano il giardino, le Tesla ammassate le une sulle altre, e poi gli aerei cadenti, gli uccelli impazziti, i rumori, le reazioni fisiologiche estreme, gli incontri umani disumanizzati: una serie di scene altamente simboliche e dal grande impatto estetico, che però rimangono slegate tra loro, come bei quadri di una mostra collettiva che non forma un vero percorso artistico. Immagini calligrafiche, quasi, che spiegano molto, spiegano troppo, e non giustificano niente: e qui c’è il limite di questo film che avrebbe più senso come incipit di qualcosa, come puntata pilota di una serie distopica sui danni della dipendenza dalla tecnologia e invece si ferma, potremmo dire, sul più bello.
La storia descrive cosa potrebbe succedere se, nel nostro digitalizzato e satelliti-dipendente 2023, la tecnologia venisse improvvisamente a mancare, e si sofferma anche sulle diverse reazioni delle persone, indugiando sui complottismi, sugli egoismi, sulle superficialità dei diversi tipi umani. Dal punto di vista del messaggio, molto obamiano, niente da dire: siamo in mano a forze più grandi di noi che però ci governano con la nostra colpevole connivenza, e prima ci rendiamo conto che non è salutare dipendere totalmente da device tecnologici e meglio è. (Scena credibile ed efficace perché prefigura uno scenario da alcuni temutissimo quella in cui Clay si muove in macchina dalla casa per andare in paese per provare a capire cosa sta succedendo e, non avendo il GPS, si perde miseramente, non arrivando mai a destinazione e per un pelo riuscendo a tornare da dove era partito). Ma dal punto di vista narrativo il film, con le sue belle scene da pinacoteca 2.0, non spiega proprio niente, lasciando nel vago motivi, logica, avvenimenti, ragioni di quello che è accaduto. Peccato non veniale, in un racconto, quello di far montare una tensione fino a un punto e poi lasciarti lì, a sbollire piano piano, senza giustificazione, senza picco emotivo, senza, quindi, un vero perché.
Il film ha una prima parte molto interessante ma un finale inespressivo e francamente frustrante, somiglia un po’ all’esperienza di quel primo presidente nero degli Stati Uniti che ha voluto produrlo: sfavillante, pieno di promesse e di impegni nella prima parte, si risolve alla fine in una specie di nulla di fatto che lascia ai posteri solo un pugno di immagini telegeniche e il gusto amaro di un’occasione perduta.

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