Figura centrale del cinema contemporaneo, David Fincher ha saputo coniugare le esigenze del cinema d’autore con quelle del cinema commerciale, sulla falsariga di uno dei suoi miti, Alfred Hitchcock. Tutti i suoi film sono disponibili in streaming e ve li raccontiamo qui sotto, in ordine cronologico di realizzazione, accompagnati da un voto del tutto sindacabile.
ALIEN³ voto: 6.5
(Disney)
Per la sua opera prima, David Fincher si incunea nella saga aperta da Ridley Scott, agganciandosi al secondo capitolo diretto da James Cameron. Unica superstite della Nostromo, Ripley finisce su un pianeta abitato da 25 criminali affetti da una rara sindrome. Il mostro è ancora in circolazione e un altro sta crescendo dentro di lei. Regia tetra e apocalittica, su sceneggiatura di Walter Hill, anche produttore.
SEVEN voto 8,5
(Amazon, Mediaset Infinity)
I sette peccati capitali si abbattono sul piovoso thriller metropolitano che ha consacrato David Fincher. Brad Pitt e Morgan Freeman sono i due detective sulle tracce del serial killer Kevin Spacey, fanatico demiurgo dalle scioccanti provocazioni morali. Finale da antologia, incastrato alla perfezione dentro l’ingegnosa sceneggiatura di Andrew Kevin Walker. Qualsiasi narratore del cinema anni 90 deve soffermarsi su questo film e chiunque intenda girare un poliziesco è obbligato a dialogarci.
THE GAME – NESSUNA REGOLA voto 7
(Netflix, Sky, Now)
La vita ordinaria di un uomo d’affari (Michael Douglas) diventa un incubo a occhi aperti quando suo fratello (Sean Penn) gli regala il biglietto d’ingresso per un movimentato gioco di ruolo, in cui il confine tra reale e artificioso è intangibile. Posta in gioco altissima, profumo di cospirazioni e inganni per un meta-thriller che trova la sua potenza nel susseguirsi frenetico e meccanico delle sequenze. All’epoca fu considerato un passo indietro dopo l’eccitante stordimento di “Seven”. A rivederlo oggi, però, “The Game” è un marchingegno diabolico finemente oliato che si diverte a giocare a carte scoperte con gli ingranaggi del thriller.
FIGHT CLUB voto 8
(Amazon Prime, Disney, Netflix)
Fincher adatta il romanzo di Chuck Palahniuk e confeziona un film diventato un marchio iconoclasta. Un consulente tanto rampante quanto frustrato (Edward Norton) entra nel cerchio magico e destabilizzante dell’enigmatico macho Tyler Durden (Brad Pitt) che lo introduce nel giro dei pestaggi clandestini, fra scantinati e adepti esagitati. Manifesto contro la società del consumismo e urlo contro il disagio prodotto dall’alienazione, dall’interpretazione politicamente ambivalente. Teorema sul plagio e la manipolazione condotta dentro il territorio di guerra di un Io scisso.
PANIC ROOM voto 6+
(Sky, Now, Tim Vision)
Tre malviventi si introducono in una casa di New York costringendo una donna e sua figlia diabetica (Jodie Foster e una Kristen Stewart preadolescente) a nascondersi in una stanza blindata e inviolabile, ma la cassaforte è occultata proprio lì dentro. I rapinatori non possono entrare, le inquiline non possono uscire, ma da un monitor possono guardare cosa succede nel resto della casa. “Panic Room” è un claustrofobico thriller da camera, girato rispettando l’unità di tempo, luogo e azione, che rende estremo l’atavico terrore dell’aggressione esterna da parte di intrusi. Uscito l’anno successivo agli attacchi dell’11 settembre fa sua una metafora più grande.
ZODIAC voto 9
(Netflix, Sky, Now, Mediaset Infinity)
Attivo nella California di fine anni 60, mai catturato e neppure identificato, il killer dello Zodiaco diventa per Fincher la sfida più grande e vincente: spostare il peso drammaturgico sull’investigazione e sul lento scomparire dalla cronaca nera di un assassino che, alla fine del film, sembra essere esistito esclusivamente nella burocrazia del meccanismo mediatico, cioè la stessa levatrice che lo aveva portato alla luce. Un killer che agisce senza logica, carisma, personalità o rituali. L’esatto opposto del John Doe/Kevin Spacey di “Seven”. Lì un killer inventato per un film rispettoso degli schemi del genere; qui un assassino reale per un film minimalista e avaro di suspense, che quegli schemi li prosciuga. Mentre l’ossessione di chi indaga (un detective, un giornalista e un vignettista) si ingigantisce, Zodiac, a furia di rifiniture e false piste, sparisce dalla scena dell’etere e della carta stampata, riducendosi a un trafiletto. Un killer senza volto, che a volte è un’ombra, altre volte un sospetto astratto, più spesso un’intuizione troppo ottimistica di chi lo bracca. Fino a disattivarsi nell’oblio. Fincher abbandona la sua regia iperattiva in luogo di un montaggio misuratissimo e antispettacolare con cui firma uno dei capolavori più significativi del genere, di fatto violandone i canoni.
IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON voto 6
(Sky, Now)
Tratto da un racconto breve di Francis Scott Fitzgerald, la grottesca vicenda di un uomo che con il passare degli anni ringiovanisce invece di invecchiare. Scritto da Eric Roth, lo stesso sceneggiatore di “Forrest Gump”, il film è un melodramma favolistico che attraversa il XX secolo insieme all’insolita metamorfosi e alla prospettiva ‘all’incontrario’ del protagonista (Brad Pitt), la cui straordinarietà ostacola ma non impedisce il suo amore per Daisy (Cate Blanchett). Riflessione sul tempo e sull’età come regole sociali, è forse l’opera più mainstream di David Fincher, con annessa scorpacciata di candidature agli Oscar, tredici, di cui tre conquistate: scenografia, trucco ed effetti speciali visivi, mirabolanti grazie al meraviglioso lavoro del sistema Performance Capture.
THE SOCIAL NETWORK voto 8.5
(Netflix)
Il film che racconta la nascita di Facebook offre una valanga di domande, spunti di riflessione e sottotesti. Un western digitale in cui la frontiera è virtuale e la terra promessa si misura in gigabyte, con un gruppo di cowboy del XXI secolo in lotta per spartirsi il malloppo. Il mondo della net economy sembra più selvaggio del Far West e le vie del nuovo capitalismo sono invisibili e insidiose. Tornano le tematiche care a Fincher: nel film fanno capolino i sette peccati capitali e l’imboscata finale a colpi di clausole contrattuali pesa, in crudeltà, quanto il brutto scherzo tirato da Kevin Spacey a Brad Pitt in “Seven”, dopo che nessuno dei protagonisti ha risparmiato colpi proibiti degni del più disumano dei ‘Fight Club’. “The Social Network” è un identikit delle nuove forme di lotta tribale, apologo sulla nevrosi dell’incomunicabilità e sulle nuove fisionomie della sociopatia. 4 i golden Globe vinti: regia, film, colonna sonora e sceneggiatura non originale scritta da Aaron Sorkin. La sceneggiatura e la colonna sonora hanno vinto anche l’Oscar. Premiato con la statuetta anche il montaggio.
MILLENNIUM – UOMINI CHE ODIANO LE DONNE voto 7
(Amazon Prime)
Secondo adattamento dell’omonimo romanzo dello svedese Stieg Larsson, già portato sullo schermo un paio di anni prima da Niels Arden Oplev. Stoccolma: l’indagine di un giornalista, incaricato di fare luce sulla misteriosa scomparsa di una ragazza avvenuta quarant’anni prima, scoperchia un mondo sommerso, sadico e nazistoide, fatto di abusi sessuali, torture e delitti. Il reporter protagonista è Daniel Craig, ma l’energia più febbrile la sprigiona la sua compagna di caccia, la hacker Lisbeth Salander, interpretata da Rooney Mara, che riversa sul film tutto il tormento e le cicatrici di un personaggio scorticato e borderline. Oscar al montaggio.
L’AMORE BUGIARDO – GONE GIRL voto 7,5
(Amazon Prime, Disney)
Il più hitchcockiano dei thriller fincheriani, “Gone Girl” irrompe nella coppia intesa come luogo ambiguo di scontro fra vittima e carnefice in una par condicio di gender, e manifestazione del male. Lei, Rosamund Pike, scompare misteriosamente e sembra essere stata uccisa; lui, Ben Affleck, è il marito che diventa il principale indiziato, messo all’angolo dai media e da prove schiaccianti. Un congegno a orologeria che Fincher monta e smonta davanti agli occhi dello spettatore, similmente a quanto fatto con “Fight Club”. E intanto svela i capisaldi della società rispettabile (oltre alla coppia, la famiglia tradizionale) dove le relazioni umane sono basate sull’apparenza e sulla manipolazione. Tratto dal bestseller di Gillian Flynn, autrice anche della sceneggiatura.
MANK voto 7.5
(Netflix)
Il racconto della Hollywood degli anni 30 attraverso la figura di Herman J. Mankiewicz, lo sceneggiatore di “Quarto potere”, figura donchisciottesca dentro il rodato meccanismo dell’industria cinematografica governata dalle major. “Mank” (leggi QUI la nostra recensione) è un’opera visivamente impeccabile – premiata con l’Oscar alla scenografia e alla fotografia, che simula le pellicole di allora, in primis proprio “Quarto potere”. Con un sostanzioso lavoro filologico e mosso da evidenti esaltazioni cinefile, Fincher smonta tessera per tessera il puzzle dello star system, disegnando un affresco ambizioso sul cinema come mito, magia, potere, illusione e falsificazione, sullo sfondo della Grande Depressione e della rivoluzione creativa dovuta all’avvento del sonoro.
THE KILLER voto 6.5
(Netflix)
Un thriller che segue il flusso di coscienza di un assassino metodico, glaciale e ubbidiente a un incessante mantra personale. Un’opera che lo stesso regista ha definito “un noir brutale, elegante e sanguinario”. Tratto dalla graphic novel francese, “Le Tueur, e sceneggiato da Andrew Kevin Walker (lo stesso di “Seven”), il film comincia a Parigi dove il puntiglioso e paranoico sicario commette un errore, subendo la ritorsione dei committenti. Da esecutore a pagamento, il killer si trasforma quindi in un freelance della vendetta e, sul modello della Uma Thurman di “Kill Bill”, comincia la sua caccia a coloro che hanno aggredito la sua compagna nella Repubblica Dominicana. Una vendetta compiuta con un’accuratezza ossessiva, mentre il monologo interiore non si interrompe mai. Prova maiuscola di Michael Fassbender.