E’ morta a 76 anni Jane Birkin, attrice, cantante, autrice e soprattutto simbolo di fascino e femminilità di un periodo irripetibile del secolo scorso: l’Algoritmo Umano ne ricorda alcuni film
Il mondo si divide in due (dividere il mondo in due è sempre possibile ed è un facile esercizio di stile): quelli che “con Jane Birkin scompare un’idea di stile e carisma inimitabile”, e quelli che “Jane Birkin chi?”. Spiegare a questi ultimi chi sia l’attrice e cantante inglese ma francese che nel 1969 scandalizzò i benpensanti con l’orgasmica canzone “Je t’aime (moi non plus)” cantata col compagno chansonnier Serge Gainsbourg non è impresa facile. Jane era giovane e già ribelle e famosa (per aver mostrato un androgino nudo nel capolavoro di Michelangelo Antonioni “Blow Up”) quando incise questa canzone con il suo altrettanto noto fidanzato: il pezzo stravolse l’Europa, fece saltare le coronarie al Vaticano (che al tempo ancora si occupava di musica leggera), subì censure e scatenò polemiche per il suo contenuto esplicitamente erotico, e quindi divenne allo stesso tempo e per gli stessi motivi un inno di liberazione sessuale, vendendo la cifra strabiliante di cinque milioni di copie (tipo Ed Sheeran oggi). Ecco, Jane era quella roba lì, da quel momento lì. Affascinante, disinibita, ribelle, bella in un modo chic e sexy che non ha avuto bisogno di bellezza canonica, recitava film e cantava canzoni, ma soprattutto viveva alla moda, e portava la sua esile figura in giro per i posti che contavano, rendendo charmant tutto quello che toccava. Una donna capace di essere elegante con la maglietta bianca e le scarpe rasoterra, una ragazza col coraggio incosciente di indossare per un decennio la stessa borsa in tutte le occasioni, un cestello di paglia che definire iconico è finalmente usare l’aggettivo adatto. Una per cui, a proposito di borse, negli anni ’80 la casa di alta moda Hermes ha creato e dedicato personalmente una borsa, la Birkin dei desideri di tutte le aspiranti vip del mondo, ma anche una che negli anni 2000 quella borsa in pelle ha rinnegato in nome dell’ambientalismo e dell’ecologismo. Una donna cool, madre di tre ragazze la cui più famosa è l’attrice e regista Charlotte Gainsbourg, un personaggio la cui riservatezza negli ultimi anni non ha appannato la visibilità degli splendidissimi anni ’70. Jane Birkin è “un’atmosfera, un periodo, un modo d’antan di stare al mondo”, rappresenta un modo di essere all’avanguardia sempre e a prescindere, un modo di esistere prendendo la vita a morsi, un modo di essere snob pienamente consapevole, e accettato. Non si muore, quando si è così Birkin, non si dovrebbe morire quando al broncio più sensuale sei capace di far seguire il sorriso più coinvolgente del mondo.
Quindi bando ai necrologi, e per chi non sa/non ricorda Jane Birkin, l’Algoritmo Umano suggerisce tre film che raccontano tre fasi di un’attrice che, pur rappresentando un personaggio, era anche un’interprete versatile e per niente banale.
LA PISCINA, RAI PLAY, 1969 regia di Jaques Deray
Piccolo mistery crime psicologico ambientato in una villa sulla costa francese, caratterizzato dall’atmosfera di sensualità calda e morbosa. Alain Delon e Romy Schneider sono una coppia che ospita un ex fidanzato di lei e quella che presentano come la figlia di lui, e tra i quattro personaggi scattano attrazioni e gelosie che portano a un omicidio. Jane Birkin definisce il suo personaggio attraverso poche caratteristiche sfumate e nette al tempo stesso: apparente ingenuità, sensualità quasi casuale, una carica erotica che nasce da sguardi e movenze che paiono fortuiti, non voluti. Come la sua coolness naturale, anche il suo carisma era ‘effortless’, senza sforzo, tanto da rendere credibile il suo attrarre nientemeno che il divino Delon, che per lei nel film tradisce nientemeno che la divina Romy Schneider.
JANE BY CHARLOTTE, APPLE TV, 2021 regia di Charlotte Gainsbourg
Charlotte Gainsbourg, una delle tre figlie di Jane Birkin, racconta sua madre prendendo in prestito il titolo e lo stile di un film degli anni ’80 di Agnes Varda (Jane B. by Angés V.), che raccontava i primi quarant’anni dell’icona Birkin. Qui vengono raccontati i suoi primi settanta, dall’angolazione soggettiva, affettiva, impietosa e critica e adorante della figlia: un documento affascinante, adatto per chi, come dicevamo, abbia solo una vaga idea di cosa abbia rappresentato Jane Birkin in una parte dell’immaginario cinematografico ed estetico del secondo Novecento.
DELITTO SOTTO IL SOLE, AMAZON PRIME, APPLE TV, 1982 regia di Guy Hamilton
In uno degli adattamenti dei romanzi di Agatha Christie a cui la presenza di Peter Ustinov nei panni di Poirot ha dato un lustro immortale, Jane Birkin dà una notevole prova di attrice. In “Delitto sotto il sole” Jane non fa LA Birkin, e se non si ha molta dimestichezza col suo volto non è immediato riconoscerla sotto gli ‘strani paludamenti’ di una giovane donna fragile, timorosa e platealmente tradita. Il film è una chicca godibilissima, con la classica ambientazione en plein air ma claustrofobica di un’isola in cui avviene un omicidio, e il ruolo di Miss Redfern un’occasione per Jane Birkin di mettere in evidenza la sua capacità di avere una serie di strati espressivi a lento rilascio, che le danno la possibilità di creare in personaggio, letteralmente, sorprendente.