E Barbie sia! Il blockbuster rosa pastello, prima avventura in live action della bambola più venduta al mondo, entra a valanga nella cultura pop. Una gestazione pluridecennale cominciata alla Universal Pictures nel 2009, passata poi per la stanza dei bottoni della Sony, fino all’accordo tra la Mattel e la Warner Bros raggiunto nel 2018.

Un’incubazione che ha viaggiato di pari passo con le molte scosse di assestamento culturale che hanno distinto il periodo recente. Le varie staffette tra attrici, sceneggiatori, produttori e registi hanno finito per generare una selezione naturale. Più casuale che strategica, certamente, ma il fatto che dal collo di bottiglia sia spuntata Greta Gerwig centuplica le attese su un adattamento scritto e diretto da una delle penne più femministe e impertinenti di Hollywood, che ha fatto palestra nei circuiti più trendy del cinema indipendente americano.

In un pugno di film, insieme al sodale Noah Baumbach, la Gerwig ha imposto la sua impronta di cinema calato nella trincea della ‘female exploitation’, con uno sguardo minimalista e chic, dalle tinte progressiste e vaginocentrico.

È lecito perciò attendersi uno stravolgimento pompato di arguta ironia della percezione complessiva che si ha di Barbie, assurta nel tempo a simbolo di un ideale femminile tramandato con prepotenza nel cuore della cultura di massa dal 1959: una lunga età dell’oro in cui la bambolina incantevole ha saputo resistere a polemiche burrascose, sempre salda e fieramente incastonata nei sogni delle bambine, in tutte le sue innumerevoli e inclusive versioni.

Un film ‘per adulti’ sull’umanizzazione di un giocattolo considerato emblema del capitalismo, la fedele pupa di quel gangster chiamato patriarcato. E umanizzazione di un marchio glam, strappato per l’occasione dalle pudiche mani delle bambine e dalla scatola variopinta ed eternamente infiocchettata della Mattel.

Priva dei suoi scintillanti e feticistici accessori, oltrepassando i confini ‘trumanshowneschi’ di Barbieland, la ragazza Barbie approda a Los Angeles, nel mondo reale. Oppure un mondo costruito con plastica differente. Dove comunque si muore, si va dal ginecologo, esiste la cellulite e ci sono perfino donne che non indossano i tacchi alti.

Barbie e il suo viaggio d’iniziazione, che da oggetto omologato e privo di difetti diventa donna, umana ed emancipata, guadagnandosi il più prezioso dei diritti: l’autodeterminazione. Siamo dalle parti di Pinocchio e delle sue avventure. La metamorfosi di un giocattolo di plastica da una parte, di un burattino di legno dall’altra. Il viaggio dell’eroe schietto ignaro dei brutti peli sullo stomaco della vita reale. In comune, Barbie e Pinocchio hanno il fatto di essere personaggi immancabili nel rito di passaggio nell’infanzia del mondo occidentale e di aprire una voragine di infiniti sottotesti – politici, sociali e psicanalitici – da scovare e approfondire da prospettive infinite.

Ma sono chiacchiere da retrovie per i “Robbers”, il soprannome che la stessa Margot Robbie ha dato ai suoi fan.  È l’attrice australiana ad essersi trovata nel posto giusto e nel periodo storico giusto. Con un phisique du role che nemmeno i creativi della Mattel avrebbero mai previsto. Una donna nata per essere immortalata su ogni copertina, sebbene abbia rifiutato quella di Playboy. Subentrando ad Amy Schumer e Anne Hathaway, scomparse nella palude della lunga pre-produzione, la Robbie rischia di aver trovato il personaggio da stampare in grassetto rosa nella sua futura biografia. 33 anni e già 25 film all’attivo più una soap opera e qualche serie tv, due candidature agli Oscar e 5 nomination ai Golden Globe, Margot Robbie non è solamente il sorriso smagliante di Barbie,  ma è anche la produttrice della pellicola insieme a David Heyman (il produttore dell’intera saga di Harry Potter, di cui la Robbie è una fan talebana).

Punta dell’iceberg di un carriera costantemente ‘on fire’, Barbie ci offre l’occasione di inabissarci nella filmografia della Robbie per rivisitare i ruoli più significativi che l’hanno portata ad essere la regina di Barbieland.

LA TRILOGIA DI HARLEY QUINN

Margot Robbie indossa in tre film il look acido della sciroccata antieroina della Dc Comics innamorata di Joker perché “chi si somiglia si piglia”. Suicide Squad (Amazon/Netflix), Birds of Prey o la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn (Rakuten/Apple Tv/ Google Play) e Suicide Squad – Missione suicida (Netflix). Un personaggio che otterresti se Barbie ingoiasse un chilo di allucinogeni.

 

SHARON TATE: C’ERA UNA VOLTA A… HOLLYWOOD

(Netflix/Tim Vision)

Quentin Tarantino si tuffa nel 1969 per ribadire la sua idea di cinema che ribalta l’assetto della storia (QUI LA NOSTRA RECENSIONE). E quindi Sharon Tate, moglie di Roman Polanski e una delle vittime del massacro di Cielo Drive, viene salvata dalla forza salvifica della settima arte.

TONYA HARDING

(Amazon/Sky/Now/Infinity)

Il progetto più appagante della mia carriera. Un personaggio di cui non sapevo nulla prima di produrre e interpretare il film”. Tonya è un biopic su Tonya Harding, campionessa di pattinaggio sul ghiaccio che negli anni 90 fu protagonista di un’aggressione nei confronti di una compagna di squadra. Margot Robbie ottiene la sua prima nomination agli Oscar. Il film ne vince 1: Allison Janney come non protagonista, premiata anche ai Golden Globe.

NAOMI LAPAGLIA: THE WOLF OF WALL STREET

(Sky/Now/Netflix/Raiplay)

Per il suo debutto hollywoodiano, Margot Robbie viene tenuta a battesimo da Martin Scorsese nel biopic sulla tumultuosa parabola del broker newyorkese Jordan Belfort, interpretato da Leonardo DiCaprio. Lei, australiana delle Queensland, incanta sfoderando un perfetto accento di Brooklyn, “imparato guardando dozzine di video di gente reale su YouTube” e sale sul podio dei migliori personaggi femminili pennellati da Scorsese, nel ruolo dell’ambiziosa modella che usa il suo corpo come moneta di scambio, entrando nella vita dissoluta e avida di potere del ‘lupo’.

KAYLA POSPISIL: BOMBSHELL – LA VOCE DELLO SCANDALO

(Netflix)

L’altra candidatura agli Oscar, per ora, Margot Robbie se la aggiudica nel biopic che ricostruisce lo scandalo sessuale di Roger Ailey, il potente imperatore del colosso dell’informazione Fox News. Insieme alle altre coraggiose giornaliste, Nicole Kidman e Charlize Theron, si adopera per spodestare il capo in un dramma serrato che ricostruisce la bufera giudiziaria contro i ricatti e molestie perpetrate ai danni delle dipendenti.

ANNIE/BUNNY: TERMINAL

(Amazon)

Cameriera e spogliarellista, ma soprattutto una spietata killer dalle ammalianti abilità manipolative e dai tentacoli letali. Prodotto dalla stessa Margot Robbie, “Terminal” è un thriller che saccheggia le atmosfere hard-boiled facendosi un giro nei sottoboschi al neon di una caotica metropoli, emulando (con manierismo un filo eccessivo)  pellicole cult come “Sin City”, “Snatch” e “Trainspotting”. La Robbie domina il palcoscenico che condivide con Simon Pegg e Mike Myers, ed è una femme fatale da dizionario del cinema.

 

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