Su Sky On Demand la surreale serie di spionaggio creata da Phoebe Waller Bridge: da vedere assolutamente ma astenersi perditempo, puristi della spy story classica e quelli che ‘addirittura?’

Per la nostra rubrica ‘dovete proprio vedere questa cosa anche se siete convinti che non sia il vostro genere’, segnaliamo un titolo che per essere incasellato ha bisogno di più definizioni: black comedy a sfondo spionistico, con temi di femminismo e salute mentale, politica internazionale distopica e ipercorrotta e componenti di romanzo sentimentale a tinta omosessuale.
No, non è strano per niente che una serie strabordi dalla definizione di genere: succede all’essere umano, figuriamoci se non succede ai prodotti creativi, di avere un genere indefinito, anzi, di non voler essere definiti in un unico genere.
Consigliamo quindi “Killing Eve” a tutti, tranne agli appassionati di spionaggio classico e che si innervosiscono se invece di saltare sulla sedia gli viene da ridere, e diamo solo una microbussola per capire il mood della serie: pervasa da un humor nero che fa da ‘sovragenere’ che tutto confonde e comprende, “Killing Eve” è scritta dall’autrice comica britannica Phoebe Waller Bridge, la stessa che col suo sorprendente “Fleabagsi è fatta beffe di tutte le regole della fiction, sovvertendole e sfottendole. Quindi preparatevi a un viaggio spiazzante, una specie di variante moderna e surreale della dark comedy con svolte spericolate che trasformano il thriller in qualcosa di inaspettato e mai visto, sempre senza prendersi troppo sul serio.

UNO STRACCIO DI TRAMA
La trama di spionaggio con risvolti volutamente assurdi moltiplica il rischio di incappare in spoiler ad ogni capoverso sospinto, per cui daremo una velocissima occhiata al ‘what’, concentrandoci piuttosto a descrivere ‘who’, cioè i personaggi furiosamente originali per cui vale la pena di guardare questo glorioso ircocervo della serialità televisiva, premiato dalla critica e apprezzato dal pubblico, ma pare destinato ad essere incompreso dai più.
Eve Polastri è una poco importante agente dell’MI5, il servizio di controspionaggio inglese che si occupa della sicurezza interna. Annoiatissima, studia alcuni casi, e per una serie di coincidenze si trova a conoscere meglio di chiunque la storia di una killer internazionale: grazie a questo è proprio lei a venire scelta dal capo della sezione russa dell’MI6 (spionaggio e sicurezza internazionale) Carolyn Master, che la arruola in una task force più segreta del segreto per catturare la letale sicaria. Quest’ultima si fa chiamare Villanelle, è più efficace del gas nervino, e ha un fascino personale che devasterà l’equilibrio mentale, la vita e la carriera appena iniziata della povera Eve. Villanelle ed Eve sono attratte l’una dall’altra, creano un rapporto tra loro che complica le vicende già non proprio lineari che consistono in un gruppo di misteriosi Dodici che gestisce malevolmente la politica internazionale, un pugno di superspie che fanno ognuna il quadruplo gioco, morti ammazzati per designazione, errore, fastidio e mera antipatia.

LE PROTAGONISTE

EVE POLASTRI
Eve Polastri, americana di origini orientali sposata con un insegnante polacco, è interpretata da Sandra Oh (Christina di “Grey’s Anatomy”), vincitrice di un Golden Globe per il ruolo nella prima stagione. Del cliché femminile orientale, la Oh ha solo una certa imperturbabilità espressiva, mancandole la compostezza elegante che solitamente lo distingue. E anche la sua Eve, sanguigna e casinista, è piuttosto un’adorabile goffa (lato che ricorda quello del personaggio autobiografico di Fleabag: Eve è la quota di ego che si è ritagliata la Waller Bridge nella serie) che una raffinata agente segreta. L’agente Polastri è una simpatica secchiona, una donna comune molto intelligente, che si trova a fare un lavoro ‘fichissimo’ correndo rischi atroci ma divertendosi pazzamente in un mondo il cui cinismo impara presto ad accettare. Il suo peccato originale, che dà motore all’azione, è un’attrazione invincibile per la killer che dovrebbe catturare, l’ineffabile folle Villanelle. Affascinata e conturbata dalla sua rivale, Eve finisce, spiazzante paradosso, a ‘voler bene’ alla proteiforme assassina.
VILLANELLE
Oksana Astankova, magnetica ragazza russa che parla solo inglese, vive a Parigi e si fa chiamare Villanelle, è una sicaria dall’efficacia chirurgica, un’assassina creativa e fuori di testa che insuffla un tono grottescamente allegro in ogni delitto che le assegnano. Di difficile gestione per un’innata insofferenza alla subordinazione, si incapriccia dell’agente imbranata che le hanno messo alle calcagna, e inizia con lei un gioco che più del gatto col topo sembra quello del Vagabondo con la sua Lilli. Villanelle gira il mondo, finisce in carcere, accoltellata, torturata, cambiata di mansione, ma il suo sguardo allucinato e apparentemente divertito rimane fisso sulla chioma ribelle di Eve, a cui lascia la mela del peccato ad ogni passaggio. Jodie Comer (premiata con Emmy e BAFTA) dà alla sua pazzoide assassina un’aura straniante ma non fredda, anzi: il suo risulta un personaggio incredibile, imprevedibile, portatore quasi incolpevole del male, una ragazza interrotta a cui lo spettatore, come Eve, inaspettatamente finisce per affezionarsi. Ebbene sì, addirittura: Villanelle è un’assassina davvero efferata, ma non solo è affascinante, è letteralmente simpatica, e anche se nel fondo del suo cuore non c’è cuore, quella sua raggelante allegria solitaria finisce per fare tenerezza, e di lei un personaggio per cui tifare.
CAROLYN
Carolyn Masters è un personaggio venuto talmente bene che la produzione di “Killing Eve” sta pensando a uno spin off che ne racconti la giovinezza. Il perché questa spia di alto livello risulti tanto divertente e spiazzante non si può rivelare per la solita clausola anti-spoiler, dato che la sua definizione come personaggio è legata a snodi cruciali della trama. Diremo solo che Fiona Shaw (che non è solo zia Petunia di Harry Potter, ma ha un curriculum che pare un lenzuolo matrimoniale) tratteggia una donna che tutte vorrebbero essere: assertiva, colta, alta (…), ironica, sempre padrona della situazione, carismatica e dal superpotere invidiatissimo di ottenere sempre quello che vuole. Carolyn sbuca ovunque, sa tutto in ogni situazione, non ha mai una piega sugli impermeabili di sartoria e ha talmente fastidio delle scenate che quando è arrabbiata invece di urlare, sbadiglia. Il suo rapporto con Eve è fatto di sobria stima e autentico sfruttamento, ma non esclude punte di quasi amicizia, che si spingono alla condivisione della crema idratante, massimo segno di simpatia.

Queste sono le tre donne che sorreggono la serie, senza portare reali istanze femministe ma, con il loro semplice stare, rivoluzionando stereotipi e fondando tipi, che torneranno buoni nella prossima ‘non-spy story al femminile’.

Ma cosa accomuna questi personaggi, tanto diversi? Le tre sono unite da un insano attaccamento al lavoro che fanno, che le rende straordinarie nei loro settori, apprezzate e temute dai colleghi, sfuggenti nei rapporti interpersonali, dotate di carisma individuale che soggioga tutti intorno e rende complicato l’intreccio dei rapporti tra loro tre. Ma quello che veramente le accomuna è la noia: Villanelle, Eve, Carolyn sono macchine da guerra dal punto di vista professionale, ma ogni cosa che fanno è motivata dallo strenuo tentativo di sfuggire al tedio: esistenziale, intellettuale, emotivo. Le avvicina il vuoto di senso, la rottura di scatole dei cervelli sopra la norma che a fare cose normali si annoiano fino a star male, o a far del male. Eve sacrifica amore e famiglia alla caccia della ‘sua’ killer, Carolyn si tuffa nelle ambigue e doppiogiochiste trame di spionaggio internazionale usando il sesso come grimaldello senza rimanerne mai avvinghiata, Villanelle – in un rarissimo momento di verità – denuncia di non provare niente di niente, mai, se non per brevi momenti mentre uccide e manipola selvaggiamente il prossimo.

Il dubbio, ozioso ma speriamo non noioso, è che la bravissima, eccezionale, stra-ricercata Phoebe Waller Bridge sia lei stessa vittima di questa brutta bestia, questo sentimento di disagio che raramente viene perdonato, la noia, e che descriva così bene gli esiti dell’horror vacui perché li conosca, a conti fatti, molto a fondo.

 

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