I FIGLI DI SAM: VERSO LE TENEBRE

(Netflix)

 

True Crime. Crimine vero. Nel già nutrito gruzzolo di docuserie targate Netflix arriva “I figli di Sam”. per ripercorrere le ipotesi, i retroscena e gli angoscianti fatti acclarati che riempiono il volume di cronaca nerissima dedicato a David Berkowitz, serial killer e satanista, spauracchio della New York anni 70. Una metropoli-giungla che soprattutto in quegli anni era già violenta di suo.

Erano gli anni di Abraham Beame sindaco, della gravissima crisi finanziaria e del black out che attirò nelle strade sciacalli e rivoltosi.

E’ in questo scenario, fra il 1976 e il 1977, che si scatena la follia omicida di David Berkowitz, postino di Brooklyn che per sei volte preme il grilletto di una calibro .44, uccidendo a bruciapelo altrettante persone e ferendone sette. Nessun collegamento fra le vittime ma stessa modalità di esecuzione. Fino a una lettera sgrammaticata lasciata sul luogo del delitto e vergata con la firma “Son of Sam”.

Ma Berkowitz ha veramente agito da solo?

Non secondo il giornalista Maury Terry, che per anni ha compiuto indagini e ricerche per avvalorare una tesi suggerita dallo stesso Berkowitz. Al momento dell’arresto, dopo un anno e tre giorni dal primo omicidio, l’assassino dichiarò di aver ascoltato gli ordini di un demone con le sembianze di un cane, Sam. E affermò di non essere l’unico a seguire le direttive di un culto di adoratori di Satana.

Ed ecco che un caso chiuso si riapre, anzi si spalanca accogliendo prospettive inedite.

Un caso chiuso è solamente l’inizio” recita una delle frasi di lancio della docuserie in quattro episodi che si tuffa nelle tenebre seguendo impressionanti congetture, armata di lente d’ingrandimento per scovare il particolare che non quadra, il dettaglio inedito, la testimonianza che infittisce un mistero che sembrava risolto. Il tutto arricchito da filmati d’epoca che ci riportano nella Grande Mela del secolo scorso.

Maury Terry lavorò su questo dubbio, attratto dalla mancanza di certezze, lasciandosi convincere dall’ipotesi di una cospirazione demoniaca, dall’esistenza di una rete di killer. Il resoconto della sua indagine è contenuto nel libro “Ultimate Evil” pubblicato nel 1987. Troppe le domande senza risposta, troppi gli identikit che non corrispondevano e la convinzione che l’investigazione fosse monca, per non aver mai approfondito l’eventuale presenza di complici. Un caso destinato ad essere perennemente in stand-by. Per la gioia degli appassionati, una docuserie impeccabile che azzarda perfino un legame fra i delitti di Berkowitz e quelli altrettanto famigerati di Charles Manson. Due icone della cronaca nera che in un pugno di anni macchiarono di sangue la costa ovest e la costa est degli Stati Uniti.

L’ALGORITMO UMANO CONSIGLIA

S.O.S. Summer of Sam – Panico a New York (Disney)

Il lancio di “I figli di Sam” può essere l’occasione per recuperare uno dei migliori film di Spike Lee, un inedito nella sua filmografia perché non schiera attori afroamericani fra i protagonisti, né tratta argomenti riguardanti la comunità black. Si tratta invece di un sontuoso affresco d’epoca che ci restituisce, meglio di ogni docuserie, la New York del punk e della disco music – due fenomeni musicali popolarissimi e agli antipodi. “La città che non dorme mai” tiene gli occhi bene aperti sulle contraddizioni e le micce in procinto di esplodere fra le varie comunità che affollano le streets e le avenues. Oltre due ore di grande cinema frenetico e traboccante di trovate registiche per ammirare l’estro di Spike Lee insieme a un cast che comprende Adrien Brody, Mira Sorvino, John Leguizamo e l’indimenticato Ben Gazzara.

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