Love to Love You Baby: Donna Summer

(Sky, Now)

Donna Summer e l’estetica della Disco Music

 

Cos’è stata la disco music negli anni 70? In sintesi, se vogliamo coniare uno slogan, fu la riscoperta e la riconquista del corpo e della strada: una corrente parallela che si contrapponeva al nichilismo ribelle del punk. Agli sputi sul pubblico, agli strumenti sfasciati e ai diti medi sventolati dal palco, la disco music rispondeva con la sensualità del ballo, la vitalità sociale delle coreografie collettive. La riconquista del corpo e della strada che regalò un posto nel mondo alle comunità afro e italo americane, alle melodie dello swing, del funky e della musica latina, alla tradizione del gospel: tutto nel nome di uno spirito d’accoglienza che invitava intorno al totem del ‘groove’, individui e generi musicali emarginati dal dominio del rock in tutte le sue declinazioni. E per la quale il night club rappresentava il centro di gravità imprescindibile, quartier generale in cui si amalgamavano diverse estrazioni sociali. Per eventi più aperti e popolari rispetto a quelli proposti dalla controcultura. Una rivoluzione sgargiante simboleggiata dagli scintillii della discoteca e dalla rotazione ipnotica della mirror ball.

E tra le icone di quella rivoluzione, ad indossare la corona di the Queen of Disco, c’era la bostoniana Donna Summer, radiosa regina che con impudico orgoglio e ormone fuori giri usciva nella giungla metropolitana alla ricerca di ‘Hot Stuff’, a petto in fuori alla ricerca di un amante per infuocare di sesso la sua notte, come recitavano le audaci strofe della canzone più rilevante del periodo (tratta da “Bad Girls”, l’album di maggior successo della sua carriera) insieme con “I Will Survive” di Gloria Gaynor.

“Love to Love You” titolo di un altro suo famosissimo hit, è anche il titolo del documentario/bopic marcato HBO che ne ripercorre l’ascesa al trono del sabato sera, a paladina della black music, nonché prima donna afroamericana ad entrare nella programmazione video di Mtv, successivamente, nel 1983, con “She Works Hard for the Money”. Scartabellando nelle interviste dell’epoca e in quelle più recenti, – Donna Summer muore in Florida nel 2012 – e con a corredo le testimonianze di amici e confidenti, il documentario ricostruisce il mood di un’epoca indiavolata, tra luci stroboscopiche, ingenti metraggi di paillettes e pantaloni a zampa. Ma è soprattutto un’intima monografia scavata nell’era della disco music. Che impelliccia e fa da sfondo all’evoluzione umana e artistica di una donna di cui scoprono i lati meno noti. Quelli che vanno oltre i record (uno su tutti: i 22 gemiti d orgasmo emessi durante i 17 minuti di “Love to Love You Baby”). “Ho una vita segreta. Quello che vedete non corrisponde a ciò che sono”, confessa Donna Summer in pieno spirito soul, spavalda ma enigmatica, nello sfogliare le pagine meno lette di una vita passata in pista e sul palco: vita danzante e canterina, fiorita in Germania, negli anni 60, quando venne scritturata per la versione tedesca del musical “Hair”, per poi sbocciare nei templi della disco, oltreoceano a New York.

La narrazione della sua vita mette definitivamente in risalto la misura di un’epoca diventata un’estetica a sé, che già da sola rende più accattivante e solenne ogni biografia che abbia avuto la fortuna di intersecarsi con un periodo storico non riproducibile, nemmeno dentro i solchi del revival e delle rinascite.

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